Bergamo, il Veneto e il Friuli, rapporti nel campo dell’arredo ligneo

di Andrea Bardelli

Questo articolo costituisce un breve approfondimento, annunciato e dovuto, di quello dal titolo Mobili bergamaschi e “friulani” tra Sei e Settecento, pubblicato a marzo 2020 [Leggi] e ha lo scopo di verificare le possibili radici storiche di una innegabile relazione stilistica tra i mobili nei due ambiti, allargando quello friulano, come sottolineato nel precedente contributo, ad alcune zone del veneto.
Si tratta di mobili, per lo più cassettoni, che traggono origine dai canterani tardo cinquecenteschi, ma che vengono prodotti tra la metà del Seicento e i primi decenni del Settecento.
La letteratura sui rapporti tra Bergamo e il Friuli è piuttosto vasta e anche facendo una ricerca in rete si riscontra un vivace dibattito che segue varie direttrici: genealogia (origine dei cognomi, storia di famiglie), toponomastica (origine toponimi), ecc.
In questa sede è pressoché impossibile approfondire la questione citando anche solo le fonti principali. Emergono tuttavia alcuni elementi che vale la pena di evidenziare, ricordando innanzitutto che Bergamo lega i suoi destini a Venezia dal 1428, data della battaglia di Maclodio che vede la sconfitta del Ducato di Milano, fino all’epoca napoleonica.

Il primo artefice del legno bergamasco attivo in terra friulana è l’intagliatore Antonio Tironi, nato a Bergamo attorno al 1470-75 e morto a Udine nel 1520. La sua influenza sulla scultura lignea friulana è universalmente riconosciuta e, per dirla come come due autori che l’hanno studiato: “ … i lavori di sua mano, che ci restano, rivelano una formazione piuttosto estranea alla maniera dell’ultimo Quattrocento friulano e, se non andiamo errati, è più quello che gl’intagliatori nostrani […] appresero da lui, che non ciò che egli derivò da loro” (nota 1).
Egli opera tuttavia in modo pressoché esclusivo nell’ambito della statuaria e degli altari lignei e, sebbene questi manufatti siano spesso confrontabili in alcuni dettagli con gli arredi lignei collocati nelle sacrestie, se non addirittura con quelli di uso profano, qui, anche per l’epoca e per lo stile ancora pienamente rinascimentale, non è possibile trovare alcun seme che possa giustificare il legame stilistico di cui abbiamo detto all’inizio.
In tema di arredi ecclesiastici e accostandoci all’epoca oggetto del nostro interesse, mostriamo l’altare della parrocchiale di Ampezzo (Ud) eseguito da un certo Giovanni Sai nel 1641 [Figura 1] in cui vediamo le stesse testine di angeli all’interno di volute che troviamo sui lati dei cassettoni sia bergamaschi che friulani.

giovanni-sai-altare-ligneo-1641-ampezzo-udine

Figura 1. Giovanni Sai, altare ligneo intagliato e dorato, 1641, Ampezzo (Ud) (Marchetti-Nicoletti 1956, op. cit. n. 171).

Nella prima alla metà del Seicento si registra l’afflusso di mercanti, soprattutto di tessuti serici, che si spostano dalla Bergamasca in Friuli per stabilirsi in modo pressoché definitivo. Emblematico è il caso dei Caiselli, i quali si trasferiscono da attorno al 1620 da Caprino bergamasco a Udine dove nel 1657 stipulano l’atto di acquisto di un palazzo, ora sede dell’Università di Udine (nota 2).
Ovviamente la presenza dei bergamaschi non si limita al Friuli, ma interessa anche Venezia e il resto del Veneto. A metà del Settecento, negli elenchi di artigiani di varie specializzazioni i bergamaschi sono i più numerosi e ammontano ad alcune migliaia di persone al punti da far definire provocatoriamente Venezia la “seconda città bergamasca” (nota 3).
Sulla base della ricerca svolta che abbiamo ridotto a poche citazioni, possiamo tracciare un possibile conclusione.
Mi riesce difficile pensare, a parte l’episodio sopra riferito di Antonio Tironi, che l’ebanisteria bergamasca possa aver influenzato quella veneta e segnatamente quella friulana. Anche se stiamo confrontando tra loro mobili sostanzialmente provinciali e che a Venezia non si producevano mobili con le caratteristiche specifiche evidenziate, penso che l’influsso di Venezia sui mobili bergamaschi, su quelli friulani e su quelli veneti di terraferma fosse alla fine predominante.
In sostanza quindi, poiché, come visto, tra la fine del Cinquecento e buona parte del Settecento la presenza di artigiani, imprenditori, uomini d’affari e politici bergamaschi in Veneto e Friuli è costante, è probabile che alcuni mobili di matrice veneta siano stati portati a Bergamo, dal momento che dai documenti risulta piuttosto forte il legame dei bergamaschi con la madre patria. Qui, alcuni stilemi devono aver attecchito con particolare forza da diventare caratteristici e longevi al punto da caratterizzare la mobilia bergamasca come se fossero autoctoni.
Si veda un inginocchiatoio appartenente agli arredi della Basilica di Santa Maria Assunta a Gandino (Bg) che mostra intagli vegetali di gusto veneto [Figure 2].

bottega-bergamasca-inginocchiatoio-fine-xvii-secolo-gandino-basilica-santa-maria-assunta

Figura 2. Bottega bergamasca, inginocchiatoio, fine del XVII secolo, Gandino (Bg), Basilica di Santa Maria Assunta.

Questo “flusso” di mobili veneti dal Friuli verso Bergamo, come pure di disegni e progetti ad essi relativi, non è altrimenti documentabile.
Devo al prof. Giuseppe Bergamini, studioso dell’arte e della storia friulana, che ringrazio sentitamente, la segnalazione di un esempio di “senso inverso”, riguardante realtà geografiche diverse seppur limitrofe.
Si tratta di una lettera spedita da Janez Anton Dolničar, vicario generale della cattedrale di S. Nicola di Lubiana Lubjana al pittore Giulio Quaglio (nota 4) datata marzo 1704 in cui gli si chiede, essendo in procinto di tornare a Lubjana dalla Lombardia (in altra corrispondenza si cita Milano, Como e Laino), di avere “… la bontà, di dare nel passaggio nelle chiese più regolate un’occhiata riflessa circa i armari delle sacristie accomodate alla moderna per darci qualche direttione alle opere, che si faranno nella nostra …” (nota 5).
Bergamo si trovava sul percorso da Milano e per mobili accomodati “alla moderna” si potrebbe ancora intendere, nel 1704, proprio quelli eseguiti in stile Barocco in opposizione a quelli in tardo stile “rinascimentale” che ancora arredavano le sacrestie.
Tuttavia questa testimonianza, seppure di estremo interesse, non mi pare sufficiente a inficiare l’ipotesi sopra sostenuta di una dipendenza dei mobili bergamaschi in questione dai modelli veneti, anche perché i mobili di cui stiamo trattando sono già largamente diffusi durante il XVII secolo sia nella Bergamasca che in Friuli.
Piuttosto registriamo come ci potesse essere una legittima curiosità di scoprire nei mobili lombardi qualche novità da adottare.
Ricordo infine che Giulio Quaglio lavorò in più occasioni in provincia di Bergamo e, in particolare, fu lui ad eseguire gli affreschi per la terza sacrestia della Basilica di San Martino ad Alzano i cui celebri mobili intarsiati furono realizzati dalla bottega dei bergamaschi Caniana. Questo avveniva però ancora più tardi, ossia nel 1727 e anche ipotizzando precedenti contatti del Quaglio con gli ambienti bergamaschi, si tratta comunque di un’epoca troppo tarda per pensare che possa essere stato lui a veicolare in Friuli il “gusto bergamasco” su mobili che all’inizio del Settecento venivano ancora prodotti, ma la cui origine stilistica, come sottolineato più volte, risale a molti decenni prima.

NOTE

[1] G. Marchetti-G.Nicoletti, La scultura lignea in Friuli, Silvana, Milano 1956, pp. 63-66.

[2] Sul palazzo e sulla storia della famiglia è stato fatto un bel lavoro da parte del liceo classico Stellini di Udine in occasione delle Giornate Fai di primavera 2018 [Leggi].

[3] A. Zannini, L’altra Bergamo in laguna: la comunità bergamasca a Venezia, in Storia economica e sociale di Bergamo. Il tempo della Serenissima. Il lungo Cinquecento, Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo, Bergamo 1998, pp. 175-193 (citato in L’alfabeto in montagna: scuola e alfabetismo nell’area alpina … a cura di Alberto Piseri, Franco Angeli, Milano, p. 147).

[4] Su Giulio Quaglio (Laino, 1668-1751) e sull’influsso esercitato sulla pittura friulana, si rimanda alla voci redatte rispettivamente da Alessandro Quinzi per il Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 85, 2016 [Leggi] e da Giuseppe Bergamini per il Dizionario biografico dei friulani [Leggi].

[5] Ana Lavrič, Giulio Quaglio v korespondenci Janeza Antona Dolničarja, Acta Historiae Artis Slovenica, Lubjana 1996 p. 84 e 85. Nella lettera si allude alla nuova chiesa che si stava erigendo a Lubjana su progetto di Andrea Pozzo.

Dicembre 2020

© Riproduzione riservata