Luca Giordano, dalla Deposizione alla Pietà (o viceversa?) e l’importanza di una placchetta in bronzo da un’idea di Giacomo della Porta

della Redazione di Antiqua

In un articolo pubblicato su Robinson (allegato settimanale al quotidiano La Repubblica, 21 agosto 2021, p, 31), la giornalista Vera Mantengoli parla della Deposizione del pittore napoletano Luca Giordano (1643-1705), conservata a Venezia presso le Gallerie dell’Accademia, reduce da un restauro eseguito da Francesca Bartolomeoli e Claudia Vittori [Figura 1].

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Figura 1. Luca Giordano, Deposizione, 1660 circa, olio su tela cm. 440 x 243, Venezia, Gallerie dell’Accademia.

Nell’articolo si legge che il dipinto fu commissionato a Giordano, che non risulta sia mai stato a Venezia, dagli Zanardi, una famiglia di origine bergamasca per la loro cappella nella chiesa veneziana di Santa Maria del Pianto.
L’effetto prodotto da un’opera neo caravaggesca e barocca fu notevole in una Venezia ancora impregnata di classicismo cinquecentesco.
Il successo fece sì che l’opera fosse copiata innumerevoli volte.
Nel segnalare una copia che si trova nel Santuario della Madonna de Jesu a Bocchigliero (Cz) [Figura 2], Carlo Andreoli scrive: “… della stessa opera si contano tuttora varie copie – di formato diverso e sparse in varie parti d’Italia e dell’estero – tanto da formare un ristretto caso storiografico. Forse copie di bottega, eseguite per soddisfare una richiesta impellente sull’onda del successo del capolavoro veneziano; ma anche copie d’artisti regionali (veneti e campani) che avranno voluto emulare il pennello del maestro per esaudire la richiesta di qualche chiesa di provincia o, in formato minore da cavalletto, di qualche privato collezionista. È da dire che la serie delle copie risulta, comunque, di eccellente qualità e la loro esecuzione sembrerebbe concentrarsi tra la fine del ‘600 e la prima parte del ‘700”.
Altre versioni si segnalano a Vicenza (chiesa di San Lorenzo), Bari (Pinacoteca Corrado Giaquinto) [Figura 3], Bergamo (Accademia Carrara), Riga, Lettonia (Collezione Olsen), Roncone, Trento (chiesa di S. Stefano) (nota 1), alle quali aggiungiamo serie una copia di bottega proveniente dal mercato antiquario [Figura 4].

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Figura 2. Luca Giordano (seguace di), Deposizione, fine XVII secolo, Bocchigliero (Cz), Santuario della Madonna de Jesu.

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Figura 3. Luca Giordano, Deposizione, 1665 circa, olio su tela cm. 97 x 55, Bari, Pinacoteca Corrado Giaquinto.

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Figura 4. Luca Giordano (seguace di), Deposizione, fine XVII secolo, olio su tela cm. 175 x 120, mercato antiquario.

L’articolo citato in premessa conclude: “Giordano è come una spugna, ma non cade mai nella pura imitazione: osserva, introietta, reinterpreta”. Prolifico da essere soprannominato ‘Luca fa presto’ …”.
Quanto segue è un divertissement, frutto di una mera suggestione.
Osservando la Deposizione, pare che Maria si disponga ad accogliere il Figlio tra le sue braccia.
Attraverso un semplice collage tra le due figure, è stato possibile ricostruire un’immagine che restituisce in modo abbastanza verosimile il tradizionale gruppo della Pietà [Figura 5]. Si noti che le mani posizionate sotto le ascelle del Figlio, che nel collage sembrano appartenere a Maria, sono in realtà quella dell’uomo che nel dipinto sorregge il Cristo durante la discesa dalla Croce.

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Figura 5. Ricostruzione di un gruppo della Pietà con parti della Deposizione di Luca Giordano.

Questa immagine può essere messa in relazione a una celebre placchetta in bronzo, nota in vari esemplari variamente attribuiti di cui mostriamo un esemplare eseguito a Roma attorno al 1569, assegnato da Michael Riddick a Jacob Cornelis Cobaert su disegno di Guglielmo della Porta [Figura 6, nota 2].
Si noti, in particolare, la posizione del braccio destro del Cristo e il suo collo che si allunga in modo quasi innaturale.

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Figura 6. Jacob Cornelis Cobaert (da un disegno di Guglielmo della Porta), Pietà, bronzo dorato, 1569 circa, Washington, National Gallery of Art [immagine e didascalia sostituite in data 20.6.2023]

Non si vuole assolutamente qui sostenere che, nonostante la sua propensione a “osservare, introiettare, reinterpretare”, Luca Giordano sia partito da una placchetta tardo cinquecentesca della Pietà, l’abbia scomposta e abbia costruito una Deposizione con l’aggiunta di altre figure.
Sarebbe un’ipotesi veramente troppo fantasiosa.
Ciò che sicuramente accomuna le due opere, indipendentemente dalle somiglianze e da qualunque forma di derivazione, è la loro notorietà e la presenza di innumerevoli repliche.
È questa l’occasione per introdurre una terza opera, anch’essa nota in numerosissimi esemplari, eseguiti con le tecniche più diverse: si tratta di un dipinto su marmo esposto in occasione della mostra Pietra Dipinta svoltasi nel 2000 presso Palazzo Reale a Milano (Figura 7).

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Figura 7. Pittore tedesco, Pietà, circa XVII secolo, olio su marmo, cm. 53 x 30,5 (compresa cornice), in Pietra dipinta. Tesori nascosti del ‘500 e del ‘600 da una collezione privata milanese a cura di M. Bona Castellotti (catalogo mostra Milano, Palazzo Reale), Motta, Milano 2000, p. 146 n. 86.

Nella scheda redatta per l’occasione, Andrea De Marchi veniva indotto, sulla base di una supposizione espressa da Federico Zeri, a ritenerla opera di un pittore manierista internazionale, probabilmente tedesco, classificazione che si sposa perfettamente con quella proposta da Francesco Rossi per l’esemplare della Collezione Scaglia (vedi ancora didascalia alla Figura 6).
Veniva fatto notare come la composizione avesse avuto ampia fortuna – fornendo un elenco delle opere “organizzate con identico schema – e come la sua diffusione fosse dovuta a una fonte a stampa non ancora identificata.
A titolo puramente esemplificativo, mostriamo due immagini, tra le tante raccolte, che dovevano costituire il corredo iconografico di un articolo a sé stante [Figure 8 e 9].

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Figura 8. Pittore tedesco (?), Pietà, olio su rame, cm. 27,5 x 20,5, sec. XVII, mercato antiquario.

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Figura 9. Pittore anonimo, Pietà, olio su tela, cm. 138 x 108, casa d’aste Wannenes 25 giugno 2020 n.  675.

Il rapporto tra questo gruppo di opere e le placchette sopra identificate è decisamente più stretto. Nonostante ciò, quando si è trattato di scovare l’origine delle prime, non si è mai parlato di placchette. Potrebbe essere proprio la più antica di queste ultime a collocarsi a monte del processo che ha prodotto così tante versioni, sostituendosi come “prototipo” all’ipotetica incisione di cui si cercano le tracce.
Accreditando l’intuizione di Riddick, l’origine della placchetta sarebbe romana (fine XVI secolo) e non nord-europea, nonostante il successo incontrato a diverse latitudini.
Ci rendiamo conto che questa visione che pone la placchetta all’inizio dell’iter creativo sia il frutto di un approccio “partigiano” alla materia, così come gli studiosi di incisioni sono propensi a identificare in esse le idee primigenie.
Su questo solco, segnaliamo uno straordinario e documentatissimo saggio del più volte citato Riddick, che tutti dovrebbero leggere come esempio di metodo, dedicato all’insospettabile influenza esercitata da Guglielmo della Porta su El Greco (nota 3).

NOTE

[1] [Leggi].

[2] [Leggi].

[3] [Leggi].

Gennaio 2022

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