Ancora Cuccumos. Provenienze e cognome

di Irene Di Paola

Questa ricerca prende spunto dall’articolo Figura di San Bartolomeo, un nuovo ritrovamento nella produzione di Filippo Cuccumos (maggio 2021) [Leggi] e si propone un contributo alla storia del suo strano cognome, senza aggiungere niente allo studio delle sue opere.
Pur trattandosi di un artista nato e attivo a Roma, Cuccumos non è un cognome romano: la finale in “os” mi ha fatto subito pensare ad un’origine greca. Il nome del padre, però, non era ellenico, secondo il Biografico degli Italiani si chiamava Giulio (nota 1) e neppure quello di sua madre Isabella; la moglie, Margherita Fiaschi, poi, era sicuramente italiana.
In realtà, da tutti i documenti citati da Giuliana Santuccio, studiosa del Cuccumos, si vede che il vero nome del padre del nostro Filippo, era Giorgio e non Giulio (nota 2).
Ho avuto la fortuna, inoltre, di trovare anche un altro documento, più antico, pubblicato da due volontari dell’Archivio storico del Vaticano, Claudio De Dominicis e Mario Taglioni: si tratta dell’Indice delle Cresime a Roma negli anni giubilari del XVII e XVIII secolo, che ci fornisce il secondo nome di Giorgio, che era Giacomo (nota 3). Giorgio Giacomo fu cresimato nel 1700 a 12 anni, quindi era nato a Roma nel 1688 e il documento indica anche il nonno del nostro Filippo, che si chiamava Martino. Da qui cominciamo a vedere una certa tradizione greca nei nomi, Filippo, Giorgio e anche Martino, santo venerato nella tradizione bizantina. Anche Madalena e Gaspare, sorella e fratello di Filippo, hanno nomi comuni nel vicino Oriente.
I Cuccumos, però, sembrano essere romani da lunga data, per cui, per trovare un legame con la Grecia, si deve risalire piuttosto indietro, forse fino alla diaspora ellenica del XVI secolo, quando la Chiesa Cattolica, per salvaguardare la sua comunità orientale dall’ingerenza ortodossa e dall’islamizzazione ottomana, prese in considerazione la possibilità di ospitare a Roma un collegio greco con annessa una chiesa di rito bizantino, allo scopo di formare eventuali presbiteri da inviare in Oriente (nota 4).
La comunità greca, già piuttosto nutrita nella capitale, era concentrata nella zona tra il Tevere e Trinità dei Monti, dove oggi esiste ancora sia Via dei Greci, sia la chiesa di Sant’Atanasio con l’annesso collegio, voluta da Papa Gregorio XIII nel 1577 come chiesa nazionale greca di rito bizantino [Figure 1 e 2].

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Figura 1. Roma, via dei Greci.

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Figura 2. Roma, chiesa di Sant’Atanasio.

Forse a questo periodo di diaspora in Europa, possiamo far risalire la famiglia Cuccumos, cattolica come si evince dal documento di Cresima del padre Giorgio, dal costante buon rapporto di Filippo con i cardinali che gli concedevano prestiti e cancellavano debiti e dalla sua sepoltura presso la Chiesa dell’Ara Coeli, secondo quanto riportato nel suo atto di morte. [Figura 3].

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Figura 3. Roma, chiesa dell’Aracoeli, interno con pavimento di lapidi.

Giuliana Santuccio sostiene però che i Cuccumos fossero di origine tedesca. Certamente non è tedesco il cognome e non ci sono notizie della loro venuta dai paesi alemanni se non per un indizio che ci deriva da una lapide funeraria a nome di un certo Giovanni Cuccumos che si trova presso Santa Maria in Campo Santo dove è ubicato il Cimitero Teutonico [Figura 4], in cui possono essere sepolte solo persone cattoliche, morte a Roma, ma provenienti da un paese di lingua tedesca (Germania, Austria, Svizzera tedesca, Belgio fiammingo). Ancora oggi è così.

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Figura 4. Roma, Santa Maria in Campo Santo e Cimitero Teutonico.

Analizzando la diaspora dei Greci nel XVI e XVII secolo attraverso studi pubblicati su diversi siti tedeschi, vediamo che, molto spesso, il flusso prende la via dei Balcani verso l’Austria. Sono di solito mercanti, soprattutto di pellame, che talvolta si spostano a Venezia, importante centro di affari; molti proseguono verso Roma, dove il papato costituisce sempre un’attrattiva.
Potrebbe essere andata così anche con i Cuccumos.
Stando a quanto riportato nella pubblicazione di Vincenzo Forcella sulle iscrizioni delle chiese romane (nota 5), solo un Giovanni Cuccumos è sepolto nel Cimitero Teutonico e quindi di origine tedesca, ma ve ne sono altri, tra cui il padre e il nonno di Filippo, che hanno lapidi funerarie in altre chiese di Roma, quindi erano romani abbienti che si sono permessi sepolture proprie e non in fosse comuni.
Per elencare i Cuccumos riportati dal Forcella, possiamo citare, oltre al Giovanni che si troverebbe al Cimitero Teutonico di Santa Maria in Camposanto, anche una certa Camilla Cuccumos, sepolta nella chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio a Trevi [Figura 5].

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Figura 5. Roma, Chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio a Trevi.

Sempre secondo Forcella, altri Cuccumos sono sepolti a Santa Maria in Cappella a Trastevere [Figura 6, nota 6]; si tratta di Martino e Giorgio, nonno e padre di Filippo, a cui si aggiungono un Giovanni e un Michele, tutti appartenenti alla stessa famiglia. Inoltre, esiste anche un altro Michele Cuccumos registrato però con una numerazione diversa.

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Figura 6. Roma, chiesa di Santa Maria in Cappella.

Considerata la presenza in famiglia del nome Giovanni, potrebbe avvalorarsi la tesi della parentela dei nostri Cuccumos con il capostipite sepolto al Cimitero teutonico. Tutto ciò, però, nulla toglie all’origine greca del cognome.
Scritto in lingua originale classica, Κουκκοuμòσ, pur non avendo una precisa corrispondenza nel dizionario, potrebbe derivare da kòkkos, cioè seme o nocciolo, quindi Κουκκομòσ o Κουκκουμòσ o Kοκκομωσ avrebbero il senso di “granuloso”.
Però esiste un’altra possibilità che ci suggerisce la pubblicazione di Sergio Frasca sul lessico romanesco (nota 7).  In questa raccolta di parole del dialetto, compare il vocabolo “cuccuma” nel significato di brocca per l’acqua e poi per il caffè in tempi recenti. La parola romanesca deriva dal latino cuccuma, cioè ciotola dall’ampio ventre (cucumis è il cocomero), che a sua volta deriva dal greco κòυκκουμα, ampia ciotola per il grano, dal collo stretto e pancia tonda, cui si collega Κουκκουμòσ, nel significato di granuloso. Poteva, in origine, essere un soprannome legato al commercio di granaglie.
Secondo un’altra ipotesi il soprannome potrebbe provenire dalla forma della “cuccuma”, intendendo Κουκκουμòσ come aggettivo derivato da κòυκκουμα e quindi con il significato di “persona panciuta”, oppure, come sostantivo, nell’accezione di fabbricante o venditore di cuccume.
Antonio Rossi pubblica uno studio etimologico greco-latino di vocaboli dialettali della Basilicata, basandosi sul lessico della Magna Grecia e riporta anch’egli il vocabolo cuccuma, con il passaggio dal greco al latino e poi al dialetto locale, ritenendo la parola una onomatopea derivata da “cu cu cu”, rumore dell’acqua che gorgoglia dalla brocca (nota 8).
Vagando alla ricerca di legami col nome Cuccumos, ho scoperto proprio nella Magna Grecia, nella provincia di Reggio Calabria, nel comune di Platì, che esiste un piccolo villaggio chiamato Cuccumo. A questo punto si può ipotizzare che i Cuccumos fossero non solo greci, ma proprio della Magna Grecia, poi saliti verso l’Europa continentale e che un loro ramo sia giunto a Roma.

Il titolo di capitano
Quanto al titolo di capitano, come viene spesso definito Filippo Cuccumos, è plausibile credere che avesse militato nelle milizie pontificie col grado appunto di capitano, previsto per la Gendarmeria Vaticana, ma non può essere annoverato tra le Guardie Svizzere, essendo nato a Roma, mentre il ruolo era riservato esclusivamente a nativi della Svizzera tedesca. Questo dato sarebbe verificabile nell’archivio militare vaticano.
C’è comunque un’altra possibile spiegazione del titolo perché anche i capi delle Corporazioni di Arti e dei Mestieri, eletti dagli adepti della propria confraternita, ricevevano il titolo di Capitano e numerosi privilegi. Quale potesse essere l’Ordine di appartenenza di Filippo Cuccumos, dalla documentazione trovata in rete, non è possibile dirlo, ma negli Archivi Vaticani dovrebbero esistere ancora gli elenchi con le nomine dei Consoli, poi chiamati Capitani, delle Corporazioni.
A parte il presunto legame onomastico con le granaglie di cui sopra, i Cuccumos erano probabilmente fornai, visto che tra le loro proprietà risultano esserci stati dei forni.
Si racconta che Carlo Fea, presidente delle Antichità romane e del Museo Capitolino, nel 1805 intentò una vertenza legale contro Michelangelo Cuccumos, figlio di Filippo e altri della stessa famiglia (tra cui un Giovanni, forse figlio di Michelangelo), per un forno chiamato della Palombella, perché addossato ad un lato del Pantheon (nota 9). La causa terminò nel 1807, i Cuccumos la vinsero e il forno fu abbattuto solo 1881 [Figura 7, nota 10].

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Figura 7. Roma, forno della Palombella e Pantheon in un’immagine storica.

Il forno era sempre stato di proprietà dei Serlupi Crescenzi Bonelli, i quali lo vendettero nel 1805 ai Cuccumos che lo gestivano già in affitto.
I fatti risalgono ai primi anni dell’Ottocento, ma è verosimile che la famiglia Cuccumos utilizzasse il forno già nel Settecento, poiché i Serlupi Crescenzi, a favore dei Cuccumos nella causa, ne vantavano la proprietà da 400 anni. I Cuccumos, inoltre, definiti “fornari” come detto negli atti della causa di cui sopra, nel 1774 ebbero la possibilità di comprare un forno con un prestito dell’Annona da restituire in cinque anni e di ottenere anche grano al costo (vedi ancora nota 9).
Filippo poteva essere allora il Capitano dell’Arciconfraternita dei Pistores (in latino pistores=fornai), cioè di coloro che macinavano il grano per farne farina e poi pane, una delle Corporazioni più importanti e longeve.
Si può addirittura presumere che Filippo Cuccumos ebbe la volontà di intraprendere la via della produzione della porcellana anche per le conoscenze acquisite nell’utilizzo dei forni.
Possiamo poi aggiungere, secondo quanto scrive Giuseppe Baracconi nel 1889, che nel Rione Pigna, quello dei Serlupi Crescenzi e dei Cuccumos, si trovavano le cosiddette calcare, ossia fornaci che trasformavano in calce gli antichi marmi di epoca romana, attività iniziata nel Medioevo e continuata fino al primo Settecento (nota 11). Se ne deduce che Filippo fosse nato e cresciuto tra forni di vario genere.

Pietro Morigi
L’ultima considerazione è sul nome di Pietro Morigi. L’iscrizione sul San Francesco di Cuccumos della collezione Cagnola riporta questa frase “Petrus Morigi fecit Rome, 1769” [Figure 8 e 8 bis].

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Figure 8 e 8 bis. Manifattura Cuccumos, San Francesco in estasi, porcellana, altezza cm. 21,8 (senza base), Gazzada (Va), Collezione Cagnola, inv. PO.342 (foto di Vivi Papi).

Non sembra esistere un ceramista con quel nome, né un artista di arti applicate.
L’unico Pietro Morigi noto è un cantante evirato, molto famoso, contemporaneo di Cuccumos (nota 12).
Credo che la frase latina si possa interpretare diversamente: non “Pietro Morigi fece ecc.”, bensì “per Pietro Morigi lo fece a Roma nel 1769”, ossia considerando il nome al dativo.
Naturalmente i latinisti non ammetteranno mai una simile interpretazione, ma dobbiamo considerare che nel XVIII secolo alcune licenze erano ampiamente ammesse.
Secondo un’altra ipotesi potrebbe essere sottintesa la parola “facere” , in modo che la frase completa risulti “ Petrus Morigi fecit facere Rome 1769”, traducibile quindi in Pietro Morigi lo fece fare a Roma nel 1769”. Nelle iscrizioni e nelle epigrafi è molto comune, per ragioni di spazio, sottintendere parole, usare abbreviazioni, saltare ciò che risulta facilmente intuibile.
In entrambi i casi, Pietro Morigi non sarebbe l’autore della porcellana, ma il committente.
A maggiore conferma di tutto ciò, sappiamo che il cantante Pietro Morigi si era esibito più volte a Roma e negli anni dal 1727 al 1729 aveva cantato ad Assisi proprio in occasione delle celebrazioni per le Sacre Stimmate di San Francesco.
Nel 1769, data incisa sul San Francesco della Collezione Cagnola, egli si trovava a Londra dove ebbe modo di cantare al King’s Theatre.
Per altro, la data 1769 compare in ben due altre opere appartenenti all’esiguo catalogo di Filippo Cuccumos e questo è comunque strano perché l’impegno contratto in occasione dell’ottenimento della privativa a produrre porcellana consisteva nel consegnare alla Camera Apostolica una statua raffigurante un santo (diverso?) il 29 giugno di ogni anno per la festa dei SS. Patroni Pietro e Paolo.
A supporto dell’ipotesi che la figura di San Francesco in porcellana di cui stiamo trattando fosse stata realizzata per il cantante Pietro Morigi, si può aggiungere che presso la stessa Collezione Cagnola di Gazzada si conserva “un’altra” figura di San Francesco eseguita dalla manifattura di Filippo Cuccumos, priva di firma e di data, questa plausibilmente destinata a onorare l’impegno verso la Camera Apostolica (vedi articolo citato alla nota 1).

NOTE

[1] Lucia Arbace, Cuccumos, Filippo, Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 31 (1985) [Leggi].

[2] Giuliana Santuccio, Filippo Coccumos e la manifattura di porcellana di via Panisperna a Roma. Dati biografici e documenti d’archivio, in Bollettino d’arte, novembre dicembre 1998.

[3] Claudio De Dominicis e Mario Taglioni, Indice delle cresime a Roma negli anni santi del XVII e XVIII secolo [Vedi].

[4] Angela Falcetta, Ortodossi nel Mediterraneo cattolico: Comunità di rito greco nell’Italia del Settecento, Università degli Studi di Padova, Padova 2014.

[5] Vincenzo Forcella, Iscrizioni delle chiese e di altri edifici a Roma dal XI secolo ai giorni nostri, Roma, prima edizione 1869.

[6] L’archeologo Christien Hülsen, nella sua pubblicazione sulle chiese di Roma nel Medio Evo, sostiene che la chiesa derivasse il nome dal latino cupella, cioè recipiente per il vino o l’acqua e la riporta come sede della Confraternita dei barilai, ossia dei produttori di barili. La parola cupella si sarebbe poi traslitterata in cappella (Christien Hülsen, Le chiese di Roma nel Medioevo, Olchki, Firenze 1927).

[7] Sergio Frasca, Lessico Romanesco (di metà Novecento) [Vedi].

[8] Antonio Rossi, Etimologia greco-latina di vocaboli dialettali nella zona di Latronico [Rossi.pdf].

[9] Carlo Fea, presidente delle Antichità romane e del Museo Capitolino, contro Michel Angelo Cuccumos, Lazzarini Stampatore Roma 1807 (par. 29-69-75).

[10] M. Antonietta De Angelis, La conservazione dell’opera d’arte nella prospettiva storica e operativa, L’Osservatore Romano, 18 novembre 2004 [Vedi].

[11] G. Baracconi, I Rioni di Roma, 1889, ristampa Napoleone, Roma 1974, pp. 320-324.

[12] Giovanni Andrea Sechi, Morigi Pietro, Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 76 (2012) [Leggi].

A seguito di una verifica effettuata di recente non risulta che le lapidi dei membri della famiglia Cuccumos siano più nei luoghi di cui si è detto. Circa quella di Filippo Cuccumos all’Ara Coeli, sembrerebbe che fosse stata spostata nei locali della Sacrestia, che al momento non sono visitabili. Molto più probabile è la sua classificazione tra quelle ormai illeggibili.

Luglio 2021

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