E’ carnica ma scambiata per romagnola

di Lucien Zinutti

Presso il Museo Etnografico romagnolo di Forlì è conservato un cassone nuziale [Figura1] caratterizzato da un ornato di lessico alquanto arcaico, in noce scolpito con motivo a due delfini (ovvero ippocampi) contorti e concatenati nel pannello centrale.

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Figura 1. bottega carnica, cassone, Forlì, Museo Etnografico.

Lo stesso tema di animali ittiformi, ma in posizione verticale e con un grappolo d’uva in bocca, si ripropongono nelle lesene laterali. Un’iconografia di atipico carattere mediterraneo scambiata erroneamente per arte romagnola.
Il cassone risulta anche pubblicato come romagnolo a pagina 23 del volume Mille Mobili Emiliani di Graziano Nanni (Artioli Editore, Modena 1991).
Si tratta invece di manifattura carnica del XVII secolo ascrivibile all’area circoscritta tra Ligosullo e Cercivento e di cui forse esisteva una bottega anche a Comeglians.
Ogni mobile antico rivela una sua particolare tipologia nella foggia e negli ornati esprimendo uno spirito che ritorna, anche se con piccole varianti, su ogni manufatto di quella regione.
Per poter però attribuire con certezza l’esatta collocazione territoriale di un prodotto antico bisogna conoscere le manifatture di ogni regione in tutte le loro diverse declinazioni, e ciò si acquisisce solo avendo vissuto profonde esperienze specifiche e mirate, quali l’aver avuto per decenni assiduamente (e non occasionalmente) tra le mani innumerevoli mobili provenienti dalle più disparate aree geografiche.
Solo chi possiede queste nozioni può decifrare il linguaggio criptico di un arredo antico, giacchè esso viene rivelato d’acchito dalla sua sagoma in quanto in essa si manifesta uno stile inconfondibile.
E’ quindi plausibile e umano che alcuni conservatori di Musei o autori di pubblicazioni che trattano mobili antichi possano essere incorsi in errori di valutazione nelle attribuzioni, essendo tali nozioni di solito basate sul luogo di ritrovamento e ubicazione degli stessi manufatti.
La foggia della cassapanca carnica non è molto diversa da quella romagnola, anch’essa quasi sempre in noce; possiamo tuttavia dire che quest’ultima ha spessori di tavole di norma maggiori, il “becco di civetta” che contorna il bordo del coperchio più pronunciato, e come in tutti i mobili di pianura il legno accusa di più il tarlo. Pure la ferramenta è leggermente diversa e la modanatura di base è solitamente più marcata, sorretta da piedi a mensola, mentre la cassapanca carnica presenta in prevalenza sostegni intagliati e sagomati.
La paternità di questo manufatto, più che dalla foggia, viene in questo caso rivelato principalmente dalla tipologia dell’intaglio che riconduce alle botteghe circoscritte a Ligosullo, dove questi stilemi erano in voga nella seconda metà del XVII secolo.
La popolazione della Carnia, discendente dai Galli Carnei, fu forgiata al culto della cristianità dal più antico vescovado del Friuli con sede nella Collegiata di San Pietro, risalente al periodo paleocristiano. Le raffigurazioni a forma di pesce sono simbolo di cristianità e testimoniano la profonda religiosità della popolazione del tempo, ma contestualmente rivela un’interpretazione di chi non aveva molta familiarità col mondo marino. Il motivo decorativo, prettamente autoctono, è un autografo della manifattura di quell’area geografica, e pertanto non può assolutamente essere confuso con l’arte romagnola.
La conferma più evidente è l’esemplare quasi identico ritrovato a Ligosullo e conservato al Museo Gortani di Tolmezzo [Figura 2], pubblicato a pagina 206 del volume L’Arte Popolare in Carnia di Michele Gortani (Edizioni Aquileia, Tolmezzo Ud. 1978).

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Figura 1. bottega carnica, cassone, Tolmezzo, Museo Gortani.

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, marzo 2013

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