Gli affreschi del maestro di Clot
della Redazione di Antiqua
D’accordo che è un racconto poliziesco per cui ci si aspetta l’intrigo e il mistero, però sorprende che, al suo interno, si annidino riferimenti a una chiesa e un ciclo di affreschi cinquecenteschi che nella realtà non esistono o forse sì, ma in un contesto diverso.
Diciamo subito che La vita paga il sabato (Einaudi 2022) non è solo un “giallo”, bensì un romanzo scritto benissimo da Davide Longo, come sa chi ha letto i precedenti con gli stessi protagonisti principali (nota 1). Qui, in più, ci sono dosi di umorismo un po’ paradossale distribuite ovunque, per cui si ride parecchio (nota 2).
A parte i personaggi che sono di pura invenzione, il contesto è realistico, ma, contrariamente alle apparenze, non reale.
Si sarebbe dovuto capire subito dall’ambientazione nello sperduto comune di Clot nelle valli del Cuneese: Clot non esiste, così come non esiste il vicino comune di Assiglio, o meglio, esistono due frazioni Clot, rispettivamente nei comuni di Inversa Pinasca e di Perrero in provincia di Torino.
Della chiesa di Clot, quella di fantasia, si parla per la prima volta a pagina 92: sulla facciata sono disposti “piccoli volti in rilievo dagli occhi ciechi” e, sul lato della chiesa, “due volti, un animale a quattro zampe, un albero e uno stemma”.
La chiesa che compare in copertina – elaborazione grafica da foto di Markus Kirchgessner, fotografo a Francoforte – è il santuario di Santa Maria di Morinesio, frazione del comune di Stroppo in Valle Maira in provincia di Cuneo [Figura 1].
Figura 1. Chiesa di Santa Maria di Morinesio, Stroppo (Cn), foto di Andrea Einaudi.
La chiesa è affrescata, ma i dipinti si devono al pittore d’arte sacra itinerante Francesco Agnesotti (1882-1960) di Sampeyre nella vicina Valle Varaita, attivo dalla fine dell’Ottocento. Non può quindi essere Stroppo il Clot che stiamo cercando.
A Sampeyre, esiste anche un altro edificio religioso, dedicato ai santi Pietro e Paolo, ma noto come chiesa di Sampeyre, anch’essa affrescata con il concorso di quattro artisti diversi tra la seconda metà del XIV secolo e gli inizi del XVI secolo, ma l’unico pittore di rilievo è il cosiddetto Maestro della Natività attivo nei primi decenni del XV secolo [Figura 2].
Figura 2. Maestro della Natività, Affreschi, inizi XV secolo, chiesa di San Pietro e Paolo, Sampeyre, foto di Roberto Beltramo.
Nulla a che vedere con gli affreschi di Clot di cui si inizia a parlare a pagina 184.
Li avrebbe eseguiti Johannes Van Drift, pittore olandese famoso all’inizio del Cinquecento in tutta Europa, pare in fuga dalla Francia e conosciuto da allora come il Maestro di Clot.
Incuriositi, abbiamo fatto alcune indagini in rete, ma l’unico pittore reperito con questo nome è Johannes Adrianus Van der Drift, nato a L’Aia nel 1808 e morto a Weert nel 1883 [Figura 3].
Figura 3. Johannes Adrianus Van der Drift, Basilica di Sint Odiliënberg, 1858, olio su tela cm. 78 x 110, Sint Odiliënberg, Museo Roerstreek.
Altre ricerche del tipo “maestro di Clot”, “affreschi chiesa di Clot” e simili non hanno avuto alcun riscontro.
Se il maestro di Clot non esiste come non esiste Clot, come può Davide Longo essersi inventato degli affreschi descritti, come vedremo, in modo così realistico? Evidentemente deve aver traslato nella narrazione una situazione che si trova altrove. Ma dove? (nota 3).
Il Piemonte sud-occidentale abbonda di chiese affrescate che possono aver fornito uno spunto per la narrazione (nota 4).
Tra le tante, quella su cui abbiamo puntato la nostra attenzione è la chiesa di Santa Maria Assunta a Elva, anch’essa in Valle Maira.
Il portale è decorato con i piccoli volti a rilievo [Figure 4a e 4b], simili a quelli di cui si parla nel romanzo che, sempre a pagina 184, si dice rievochino “le teste dei nemici conficcate all’ingresso de villaggio o appese agli usci per scoraggiare visite ostili e tenere lontani gli spiriti”.
Figure 4b e 4b. Portale della chiesa di Santa Maria Assunta a Elva (Cn) e un dettaglio.
Ciò che però rende famosa la chiesa di Elva è l’interno affrescato dal pittore fiammingo Hans Clemer.
Pare che, in realtà, Hans Clemer fosse di origine piccarda. La sua identificazione, negli anni Settanta del secolo scorso, come l’anonimo Maestro d’Elva, è stata confermata da un documento contabile del 1494 in cui i membri del comune di Revello (Cn) lo cercano per commissionargli un retablo. La sua attività nota si colloca tra questa data e la morte, avvenuta attorno al 1511. Il ciclo per la parrocchiale di Elva con la Crocefissione e storie della Vergine è databile agli anni attorno al 1500 (si veda ancora nota 4).
Tuttavia, non sembra vi sia una relazione tra gli affreschi di Hans Clemer a Elva [Figura 5] e gli affreschi di Clot, così come meglio descritti nelle pagine 215 e seguenti.
Figure 5. Hans Clemer, Crocefissione e storie della Vergine, 1500 circa, affreschi, Elva (Cn), chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, foto di Roberto Beltramo.
Nel romanzo si parla delle pareti laterali affrescate “nell’intervallo delle piccole finestre” e la “grande crocifissione che occupa la parete dietro l’altare” che possiamo riscontrare anche a Elva (a parte le finestre che sono due e non certo piccole), ma qui non vi è traccia, ad esempio, di una fila di uomini incappucciati legati in vita da una corda, ciascuno con la mano appoggiata sulla spalla di chi lo precede, dipinta in controfacciata
Poco dopo si parla di un arco gotico alla destra dell’altare sotto il quale è dipinta la Madonna del Labreno che, come viene spiegato, significa salamandra in lingua provenzale (nota 5); l’animale è posato “come una spilla sopra il seno, dal lato del cuore”.
È scattata immediatamente la ricerca, nonostante uno dei protagonisti del romanzo dica “No,infatti non ci sono altre madonne con la salamandra”.
Effettivamente è così, sembra non esistano dipinti raffiguranti una Madonna con salamandra, se non nella fantasia dello scrittore.
Nelle saghe popolari e secondo la tradizione alchemica, la salamandra, spesso raffigurata nei bestiari medioevali, ha la capacità di attraversare la fiamma senza bruciarsi (nota 6).
Presso gli alchimisti, la salamandra era stata scelta per simboleggiare sia il processo di calcinazione (nota 7), sia il sale che essi giudicavano indispensabile per la produzione della Pietra filosofale accanto allo zolfo e al mercurio.
Per quanto riguarda il secondo aspetto caro agli alchimisti, la situazione è complessa, ma è quella che più si lega alla figura della Vergine, il cui culto era considerato un’allegoria del loro magistero; le cattedrali gotiche francesi, da taluni considerate templi eretti all’arte alchemica, erano intitolate a Nostra Signora (Notre Dame). La Vergine Maria viene identificata con il sale, talvolta evocato proprio dalla salamandra che non brucia nel fuoco (nota 8).
La salamandra assume anche significati cristologici per la capacità di risorgere dalle fiamme, come la Fenice, quindi dalla morte oppure, come tra fiamme la salamandra si purifica, così l’anima nell’ardore della fede in Cristo (nota 9).
Ancora, la salamandra come metafora dell’amore che brucia e non consuma. Ne troviamo traccia in una composizione lirica dal siciliano Giacomo da Lentini, notaio della corte di Federico II, dal titolo Madonna dir vo voglio, che recita “… foc’aio al cor non credo mai si stingua, anzi si pur alluma: perché non mi consuma? La salamandra audivi che ’nfra lo foco vivi stando sana…”, dove “Madonna”, in questo caso, non si riferisce alla Vergine, ma alla donna amata.
La composizione è tuttavia la traduzione di una canzone provenzale del trovatore Folchetto da Marsiglia (nota 10).
Sarà un caso, ma Folchetto da Marsiglia viene citato come Folquet de Marshela a pagina 417 del romanzo come l’autore dei versi che il Maestro di Clot scrive sotto gli affreschi!
Si legge. “Folquet de Marshela come trovatore ha influenzato molti poeti dei secoli a seguire. Johannes [Van Drift] certamente conosceva la sua opera, avendo frequentato le corti di Francia” (nota 11). Abbiamo qui un saggio di come l’autore Davide Longo mescoli sapientemente le sue fonti; quello che non è stato possibile accertare, fino a questo momento, è se anche le scritte che compaiono sotto gli affreschi di Elva si possano collegare all’opera di Folchetto che Hans Clemer potrebbe benissimo aver conosciuto in Francia.
Nella chiesa di Clot si conserva un altro affresco dove si vede una Madonna che allatta il bambino, una versione più giovane è più fiamminga della Madonna del Labreno. Accanto a lei, un Giuseppe anziano che le cinge il fianco; sia l’uomo, sia il bambino hanno i capelli rossicci (nota 12). Il dipinto si trova nell’abside, a cui si accede da una piccola porta sulla parete dietro l’altare.
Da tutto quanto precede, vi sono elementi del romanzo che portano a Elva, altri ci allontanano.
A Elva l’abside si trova subito dietro l’altare (vedi ancora Figura 5) e non si vedono porte che immettono in alcun spazio retrostante; non vi è traccia del dipinto con la processione di incappucciati, della Madonna col bambino dai capelli rossi e, tantomeno, della Madonna della Salamandra (nota 13).
Tuttavia, Hans Clemer è attivo nel Cuneese negli stessi anni in cui viene affrescata la chiesa di Clot, è “fiammingo” e reduce dalla Francia come Johannes Van Drift e viene definito Maestro di Elva, così come Johannes è il Maestro di Clot. Inoltre, sia a Elva che a Clot, sotto gli affreschi compaiono delle scritte.
Ma vi sono alcuni altri elementi che possono collegare la finzione di Clot alla realtà di Elva.
Nel romanzo i personaggi locali hanno “strani” cognomi come Dao, Claro, Mattalia, Lunel, Dro.
Almeno i primi tre trovano riscontro a Elva, dove quello dei cognomi è considerato un elemento tipico che si perpetua nel tempo. Dao viene declinato in vari rami con riferimento alle diverse frazioni (Dao Ormena, Dao Castellana, Dao Castes, ecc.), Claro dovrebbe essere di origine lombarda, mentre Mattalia di origine ebraica (nota 14).
Possiamo veder confermata questa circostanza da una serie di immagini ottocentesche di famiglie di Elva, contenute nel volume di Alberto Bersani e Franco Baudino, Elva: un’umanità che era, Fusta Editore, Saluzzo (Cn) 2008 (nota 15).
In alcune fotografie le persone sembrano proprio avere le sembianze e alcune caratteristiche fisiognomiche che si riscontrano nei personaggi affrescati a Clot e che uno dei protagonisti del romando riscontra negli abitanti attuali “Le facce delle donne sono dure e senza giudizio, quelle degli uomini segnate, i nasi a volte storti, le orecchie grande e deformate” [Figura 6].
Figura 6. Famiglia di BRUNA Raimondo (1848-1931) di Co di Matalia; la moglie DAO Anna Maria (1852-1929) di Quios (de Lhi Lisan); le figlie (da sn): Angelina (1887-1952) con una figlio in braccio; Anna Maria (1882-1933); Maria Margherita (1878-1956); sotto (a sn) DAO CASTES Raimondo (Monet d’Pepe) (1919.1943 [Russia]) figlio di Angelina; (a ds) DAO Costanzo (Costanti d’Barba Joan) (1920-1982) figlio di Anna Maria.
NOTE
[1] Ci si riferisce al Caso Bramard (Feltrinelli 2014, Einaudi 2021), Le bestie giovani (Feltrinelli 2018 con il titolo Così giocano le bestie giovani, Einaudi 2021) e Una rabbia semplice (Einaudi 2021).
[2] Ovviamente, non sveleremo nulla dell’intreccio e del finale; niente di quello che scriveremo in questo articolo interferisce con la soluzione del caso poliziesco.
[3] Si sarebbe fatto prima a chiedere direttamente a Davide Longo, ammesso di riuscire a contattarlo, però addio gioco dell’estate 2022.
[4] Per quanto riguarda la pittura murale quattrocentesca, si veda La pittura quattrocentesca nel Piemonte sud-occidentale di Stefano Manavella [Leggi].
[5] Si veda anche Franco Bronzat, Beštiari Brigašc Analisi di alcuni zoonimi della parlata brigasca, La Vastera n. 55 autunno-inverno 2013-2014, p. 12-13 (semestrale della comunità brigasca comprendente zone della provincia di Cuneo, Imperia e delle Alpi Marittime in Francia).
[6] Sui vari significati attribuiti alla salamandra, si veda il piacevole articolo di Sara Besana postato sul sito Alpintales il 24 aprile 2019 [Leggi].
[7] La calcinazione, in generale, è un processo con cui eliminare tutte le sostanze volatili da una miscela solida attraverso il riscaldamento in forno ad alta temperatura. Visto che parliamo di dipinti, è interessante il suo impiego per la produzione di pigmenti pittorici inorganici, come il minio, ottenuto per calcinazione dal carbonato di piombo eliminando l’acqua di cristallizzazione [Leggi].
[8] Su questo aspetto, vedi Alessandro Orlandi, La Vergine e il sale filosofico degli alchimisti [Leggi].
[9] Si veda la suggestiva ipotesi che il celebre disegno di Michelangelo raffigurante la Pietà, donato a Vittoria Colonna, oggi a Boston presso il museo Isabella Stewart Gardner, nasconda nel suo tratto una salamandra che lo stesso artista utilizza come simbolo in un sonetto dedicato proprio a Vittoria: “Se ‘l foco al tutto nuoce e me arde e non cuoce non è mia molta né sua men virtute ch’io sol trovi salute qual salamandra là dove altri muore …” (Bruno Fermariello, Michelangelo e la misteriosa Pietà-Salamadra, 19.4.2014 con modifica in data 22.4.2014; leggi).
[10] Vedi Roberto Tartaglione, Madonna dir vo voglio, di Giacomo da Lentini, la “prima” poesia della Scuola Poetica Siciliana [Leggi].
[11]
Nel romanzo si parla di lui come di un vescovo che Dante inserisce tra i beati nel canto IX del Paradiso nonostante “nella prima parte della sua vita era stato un poeta amoroso”. La citazione dantesca non è di fantasia, Folchetto da Marsiglia (1155-1231), noto anche come Folco da Tolosa fu un vescovo cattolico e trovatore occitano, il quale si distinse nella lotta contro gli albigesi in Provenza.
Con riferimento alla possibilità che Johannes Van Drift, il Maestro di Clot, potesse aver conosciuto le sue composizioni in Francia, citiamo per completezza il fatto che Francesco I (1494-1547), re di Francia dal 1515 alla morte, aveva adottato la salamandra nel suo stemma.
[12] Il colore dei capelli, che troverà un senso nello sviluppo della narrazione, potrebbe essere un sottile riferimento al pittore Bartolomé de Cárdenas detto Bermejo, ossia il rosso (1440-1498), il quale, influenzato dalla pittura fiamminga, soprattutto di Rogier van der Weyden, svolse tutta la sua attività in Spagna. L’unica sua opera in Italia è il magnifico trittico di Montserrat che si trova nella cattedrale di Acqui Terme (Al) dedicata a Santa Maria Assunta. Bermejo era un “converso”, nome dato agli ebrei convertiti al Cristianesimo e ai loro discendenti. Poiché subito dopo aver parlato del dipinto, si parla di una lapide del cimitero di Clot, adiacente alla chiesa, in cui è incisa la stella di Davide, si è pensato a possibili sviluppi in questo senso. La stella di Davide compare solo su una lapide e, stranamente, è unico simbolo religioso nel cimitero; non ci sono croci neanche all’esterno e all’interno della chiesa, a parte la Crocefissione dipinta dietro l’altare “Dove la croce però ha solo tre braccia”, affermazione questa che non siamo in grado di decifrare.
[13] Detto per inciso, a Elva non vi è traccia della diga che incombe su Clot. Le uniche dighe nel Cuneese sono quella di Chiotas e della Piastra nel comune di Entraque in Valle Gesso e quella di Rio Freddo vicino a Vinadio nella Valle Stura di Demonte.
[14] [Vedi].
[15] La sezione fotografica può essere scaricata in pdf a questo indirizzo [Vedi].
Ottobre 2022
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