Il mobile del Seicento in Lombardia e lo stile borromaico

di Andrea Bardelli

La generica denominazione di mobile lombardo, applicata agli esemplari prodotti in Lombardia durante il XVII secolo è stata giudicata insufficiente nell’ottica di una crescente specializzazione della materia. E’ stato quindi prodotto uno sforzo per assegnare le varie tipologie di mobili ad ambiti più circoscritti, corrispondenti almeno ai vari territori provinciali. Il lavoro è stato svolto su base stilistica confrontando le immagini di un numero piuttosto elevato di esemplari, alla ricerca di particolari morfologici che consentissero questa più analitica classificazione. Diremo subito che il risultato pare dare ragione a chi ha sempre sostenuto che i mobili lombardi dell’epoca (ma il discorso si può estendere anche al XVIII secolo) sono “lombardi e basta”. Allo stato attuale dell’arte, quindi, pare non siano identificabili mobili prettamente “milanesi”, “varesini” o “lodigiani”. Cerchiamo di indagarne le ragioni.

cassettone-lombardo-xvii-secolo-sant'angelo-lodigiano-museo-morando-bolognini

Figura 1. Cassettone lombardo, seconda metà del XVII secolo, Sant’Angelo Lodigiano (Lo), Museo Morando Bolognini.

Delimitazione del contesto
Innanzi tutto ci siamo proposti di definire la materia nello spazio, oltre che nel tempo.
Per quanto riguarda la dimensione spaziale, è evidente che il concetto di Lombardia nell’epoca presa in esame non coincide con quello odierno.
La Lombardia seicentesca è sostanzialmente quella del 1535 quando il Ducato di Milano passa definitivamente alla Spagna, privato di Bellinzona (che passa alla Svizzera), di Parma e Piacenza (annesse prima allo Stato Pontificio, poi divenute dominio dei Farnese). Essa comprende quindi le attuali province di Milano, Lodi, Cremona, Pavia, Como, Lecco e Varese, ma anche la sponda occidentale del Lago Maggiore, la Valsesia, il Novarese, e l’Alessandrino. Ne restano escluse Mantova (che resta sotto i Gonzaga dal 1328 al 1707), la Valtellina (passata ai Grigioni nel 1512 fino al 1797), Bergamo e Brescia che sono province venete e si ricongiungono alla Lombardia solo nel 1815.
Nel 1713, dopo la guerra di successione spagnola, La Lombardia passa all’Austria ritrovando Mantova, ma perde successivamente, a più riprese (1713, 1735-48), tutte le terre a occidente del Ticino a beneficio dei Savoia (vedi tabella).

PROVINCE XVII Sec. XVIII Sec.
Bergamo
Brescia
Cremona
Como X X
Lecco X X
Lodi X X
Mantova X
Milano X X
Pavia X X
Sondrio
Varese X X
Novara X
Alessandria X

 

Lo stile borromaico
Per capire lo sviluppo dell’ebanisteria lombarda nell’epoca considerata bisogna rifarsi a una famiglia che ha dominato la regione durante il dominio spagnolo (1535-1713), quella dei Borromeo.
Come è noto, san Carlo Borromeo (1538-1584) è stato il protagonista di un’infaticabile opera di rinnovamento della chiesa lombarda anche sotto il profilo degli arredi. Arcivescovo di Milano dal 1560 al 1584, ha pubblicato nel 1577 delle precise istruzioni (Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae) destinate agli architetti e ai pittori e scultori di soggetti sacri, che rimasero quale modello di rigore per l’arte del periodo successivo. Nelle Instructiones san Carlo stabilisce una serie di norme alle quali le varie parrocchie si dovevano attenere.
L’interesse di Carlo si accentra su Milano, ma molto anche nel cosiddetto territorio dei laghi, corrispondente, più o meno, alle attuali province di Novara, Varese e Como, perché dal Nord era maggiore il pericolo di infiltrazione dell’eresia protestante.
Per quanto riguarda più precisamente gli arredi lignei, inevitabilmente, il rinnovamento interno di molte chiese, anche delle più piccole, comportava molto lavoro per le botteghe degli intagliatori e dei falegnami delle varie zone e, sebbene non vi sia traccia di istruzioni dall’alto che guidassero il lavoro di questi artefici, possiamo dire che s’impone uno stile “borromaico” che interessa tutta la Lombardia, almeno nell’accezione geografica che abbiamo sopra circoscritto.

cassettone-lombardo-fine-xvii-secolo

Figura 2. Cassettone lombardo, ultimo quarto XVII secolo, Milano, collezione Premoli.

Alla luce di questi fatti storici, diventa molto difficile tracciare una mappa del mobile lombardo per province alla ricerca del cosiddetto genius loci, ossia un modo di esprimersi artisticamente prettamente locale, riscontrabile in uno o più caratteri stilistici peculiari. Se si osservano, ad esempio, le formelle che decorano i mobili – forse il loro tratto più caratteristico al quale ci eravamo affidati nel tentativo di individuare delle varianti locali – ci rendiamo conto che le stesse forme e gli stessi disegni sono riscontrabili a Milano, così come a Como o a Pavia, tanto per citare alcune realtà geograficamente più distanti tra loro.
Rispetto alla regola di una certa uniformità della mobilia lombarda, vi sono ovviamente delle eccezioni. Alcune produzioni sono peculiari, come quella dei cassoni cremonesi. Altre volte, alcune specificità che consentono di circoscrivere la zona di produzione sono decifrabili quando l’ambito lombardo si confronta con ambiti limitrofi. E’ il caso di alcuni mobili prodotti nella Lombardia occidentale che mostrano caratteri stilistici riscontrabili nell’ebanisteria piemontese o ligure.