Il servito “Andujar”: maioliche della manifattura bolognese Finck
di  Cristina Campanella

Sciò da botiglia è il termine usato nelle carte di inventario della manifattura Finck per definire questo genere di vasellami da mensa e la morfologia del pezzo rientra nel repertorio produttivo tradizionale, di cui anche la marca di fabbrica costituita dalla sigla “F.” tracciata in azzurro sotto la base conferma la paternità (v. Bertocchi, Liverani 1981). L’eccezionalità del pezzo è costituita dal motivo araldico riprodotto sul fronte considerando la limitata conoscenza odierna di corredi stemmati realizzati dalla manifattura. Il verso ospita un mazzetto floreale di gusto naturalistico con connotazioni pittoriche tipiche di questa produzione [Figura 1].

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Figura 1. Rinfresca bottiglie in maiolica policroma a piccolo fuoco e dorature caricato dello stemma Andujar, marcato “F.” sotto la base, h. 14.5 cm, Bologna, manifattura Finck, 1775-1782 (collezione privata).

La struttura dell’arme rivela che l’esemplare era destinato ad un alto prelato e precisamente un abate mitrato dell’Ordine dei Domenicani, il cui emblema è alzato nella prima partitura dagli attributi di appartenenza: la stella, simbolo di predestinazione e segno personale di S. Domenico; il giglio e la palma, a indicare rispettivamente l’integrità e l’eroismo della fede; la corona allude al premio delle virtù suddette, mentre il cane con la fiaccola sottostanti stanno a significare l’uno la fedeltà al messaggio evangelico e l’altra la diffusione della parola di Dio tra i fedeli e gli infedeli per opera dei Frati Predicatori (quest’ultima immagine si lega ad un racconto immaginifico, in cui si descrive la visione avuta dalla madre di S. Domenico al momento del parto di un cane con una fiaccola fiammeggiante tra le fauci, che correva illuminando il mondo). La mitria che sovrasta lo stemma è affiancata dal pastorale e da una spada che esprime un esercizio della giustizia secolare, per tradizione in uso in alcune sedi.
Sono attualmente noti solo altri tre pezzi associabili alla nostra maiolica, che consentono di riunire gli elementi in un unico servito: il Museo Internazionale delle Ceramiche a Faenza custodisce un coperchio di salsiera (Inv. n. 2142) caricato della stessa arme, purtroppo mancante del corpo, mentre una coppia di piatti con identico emblema è stata esposta in occasione della mostra Le più belle maioliche – Capolavori di Colle Ameno, Rolandi e Finck nella Bologna del Settecento svoltasi al Museo Medievale di Bologna nel 2011 ed è pubblicata nel catalogo relativo. Ringrazio Luisa Foschini per avermi fornito l’immagine dei piatti [Figura 2].

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Figura 2. Coppia di piatti in maiolica policroma a piccolo fuoco e dorature caricati dello stemma Andujar, marcati “F.” al verso, diam. 25 cm, Bologna, manifattura Finck, 1775-1782 (collezione privata).

Recenti indagini hanno permesso di sciogliere l’enigma dello stemma, di cui sono debitrice all’araldista Marco Foppoli per il fondamentale apporto nell’individuazione della dignità prelatizia, confermata da fonti d’archivio della Biblioteca Casanatense, riferibile a Giuseppe Luigi de Andujar (1693-1782). Come segnalato dallo studioso, la tipologia della blasonatura è spagnola, resa evidente dalla conformazione della bordura perimetrale dello scudo, che mostra la sovrapposizione di otto crocette decussate e lo stesso dicasi per la presenza delle tre “caldaie” o “pignatte” poste in capo; a completare l’arme è la fascia di verde accompagnata in punta da tre sbarre di rosso.
Questi, in sintesi, i dati che inquadrano il soggetto collocandolo in un arco temporale preciso e che hanno suscitato la curiosità di approfondire le notizie riguardanti il destinatario del sontuoso servizio da mensa commissionato alla manifattura Finck di Bologna.
Alfonso de Andujar nacque il 6 gennaio 1693 nel Forte di “Fuentes” [Figura 3], fatto erigere in posizione strategica sull’ultimo Montecchio di Colico nel 1603 (al tempo appartenente alla mensa vescovile di Como) dall’allora governatore spagnolo dello Stato di Milano, Don Pedro Enriquez de Acevedo, conte di Fuentes, per difendere il confine con i Grigioni.

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Figura 3. Forte di Fuentes, stampa di editore sconosciuto (1600-1699), 18 x 29 cm, Biliothèque nationale de France, département Cartes et plans, CPL GE DD-2987 – parte della Collection d’Anville (5140 verso).

Tra i governatori della fortezza si annovera il padre del nostro Alfonso, il generale don Luis de Andujar y Bracamonte, spagnolo di illustre lignaggio che ne fu a capo dal 1682 fino al sopraggiungere della morte nel 1706. Egli aveva sposato in seconde nozze una comasca, donna Caterina Lambertenghi, nel cui sepolcro di famiglia presso la chiesa di S. Giovanni Pedemonte venne poi tumulato. Dei suoi tre figli, Luigi e Francesco seguirono la strada delle armi, mentre Alfonso si avviò alla carriera ecclesiastica. Entrando nell’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani) intorno al 1711 cambiò il suo nome di battesimo con quello di frate Giuseppe Luigi (v. Giussani 1905). Fin da giovane fu vicino a Papa Benedetto XIII, che lo fece suo teologo e prefetto della sua biblioteca privata, oltre che cameriere segreto e lo adoperò quale consultore nel Sinodo Romano, come pure nelle Congregazioni de propaganda fide. Ricoprì incarichi importanti anche con i successori, quali Clemente XII che lo nominò inquisitore generale a Bologna, a cui fece seguire l’elezione a vescovo di Bobbio. Nel 1743, infine, durante il pontificato di Benedetto XIV e su istanza di Carlo Emanuele Re di Sardegna, ottenne l’investitura al più insigne vescovado di Tortona, che resse per quasi 40 anni, morendo poco meno che novantenne il 2 dicembre 1782 (v. Rovelli 1803).
La documentazione rintracciata al riguardo contempla inoltre un contributo di G.A. Bottazzi, autore di inizio Ottocento di una trattazione su Le antichità di Tortona e suo agro, da cui si ricavano elementi utili a comprendere la personalità dell’illustre prelato e che riteniamo interessante riportare dallo scritto originale:

[…] Dell’Ordine de’ Predicatori, oriondo di nobiltà spagnola, nacque però in Italia nel Forte di Fuentes castello del milanese; e pare che egli stesso si compiacesse di questa sua patria, allorché rispondendo ai richiami del General Spagnuolo, che pretendeva maltrattata la sua Nazione dal Vescovo, che come Spagnuolo doveva anzi favorirla contro la Casa d’Austria, e contro la Casa di Savoia, egli così scrisse in una lettera ms. al Generale D. Benito Eles de Mier: «Mi do l’onore di risponderle, che io sono Italigno, nato in Italia, e in Italia educato, e figlio di un’Italiana. Confesso e me ne glorio avere il Padre spagnuolo ma questo non mi esclude dall’essere Italiano, ed al più la Spagna non la posso nominare mia patria se non se con l’aggiunta d’antica, come Salustio disse la Spagna antiquam patriam». […] Le sue cognizioni non furono ristrette alla sola Teologia e Canonica, ma si estesero altresì alla erudizione Sacra, e profana, alla Storia naturale, in guisa che era versato in ogni genere di letteratura. Diede più volte saggio di un giusto criterio nelle arti liberali, poiché possedeva le teorie della pittura, scultura, architettura, e della tattica sì terrestre, che navale. […] A tutti è noto il carattere di vigilanza, e di fermezza con cui si adoperò a richiamare il buon ordine e la disciplina nella sua Chiesa. A tal fine scrisse più Editti, e più Lettere Pastorali, le quali, come anche i suoi manoscritti inediti, ci danno l’idea di un gran vescovo, e di un gran letterato. Siccome, oltre l’Ecclesiastica ammirazione era versato nella politica, e né misterj de’ gabinetti d’Europa, così fu sovente consultato da un de’ più grandi Sovrani qual fu Carlo Emanuele, e dal suo successore Vittorio Amedeo III, Re di Sardegna. […]”.

Il quadro fin qui delineato offre la figura di un aristocratico di grande levatura culturale e decisamente potente. Nell’esercizio della sua missione apostolica è presente in territorio bolognese, anche se con notevole anticipo rispetto alla data di avvio dell’operatività ceramica di Finck, che sappiamo essere attestata a Bologna solo dopo la fuga dalla Real Fabbrica di Parma nel 1764, dapprima in società con Rolandi e poi individualmente a partire dal 1775 (v. Campanella 2010 e 2013; cfr. Bertocchi, Liverani 1981).
A quest’epoca Giuseppe Luigi de Andujar aveva superato gli ottant’anni e la sua morte avvenuta nel 1782 permette di circoscrivere la realizzazione del servito in maiolica entro il medesimo anno del grave incendio che devastò la fabbrica nel 1782. Lo stemma conservato negli archivi della Biblioteca Casanatense propone l’arme sovrastata dal tipico galero con i cordoni a sei nappe, in riferimento alla consacrazione a Vescovo di Tortona, mentre nel nostro caso l’araldica mostra la perfetta applicazione degli attributi che designano l’alta carica di appartenenza all’Ordine dell’abate.
Difficile stabilire se il servito sia stato commissionato direttamente alla manifattura Finck o si sia trattato di un dono offerto all’alto prelato in una circostanza di particolare rilievo. Dato certo è che questo corredo da mensa dichiara opulenza e preziosità straordinarie nell’ampia profusione di porpore (estratte da cloruro d’oro) lasciando immaginare la solennità di una tavola adorna di raffinati motivi floreali coniugati all’imponenza della singolare arme araldica.

Bibliografia di riferimento

Archivio della Biblioteca Casanatense, Stemmi: ms. 2680, pos. c.69r.

G. Rovelli, Storia di Como – Parte III, Tomo III, Como 1803, pp. 180-181.

G. A. Bottazzi, Le antichità di Tortona e suo agro, Alessandria 1808, pp. 52-54.

A. Giussani, Il Forte di Fuentes – Episodi e documenti di una lotta secolare per il dominio della Valtellina – V, Como 1905, pp. 251-253.

G. Bertocchi, F. Liverani, Ceramiche bolognesi del Settecento, Bologna 1982.

C. Campanella, La Real Fabbrica della Maiolica e Vetri e la ceramica nel Settecento a Parma, Costa di Mezzate (BG) 2010.

Luisa Foschini (a cura di), Le più belle maioliche – Capolavori di Colle Ameno, Rolandi e Finck nella Bologna del Settecento, catalogo della mostra svoltasi presso il Museo Civico Medievale di Bologna (26 novembre 2011-4 marzo 2012), Torino 2011.

C. Campanella, La Real Fabbrica della Maiolica e Vetri: relazioni tra Parma e Bologna nel XVIII secolo, «FAENZA», a. XCIX, n. 2 – 2013, pp. 38-54.