Stefano Pierguidi, Pittura di Marmo. Storia e fortuna delle pale d’altare a rilievo nella Roma di Bernini, Olschki, Firenze 2017, 294 pagine formato 24 x 17, euro 29,00.

Stefano Pierguidi, professore di Museologia e Storia della critica d’arte presso l’Università della Sapienza di Roma, ha scritto un testo per specialisti – senza particolari intenti divulgativi quindi – relativamente a una materia tanto affascinate quanto specifica come la diffusione delle pale d’altare in marmo a Roma tra la seconda metà del Cinquecento e la fine del secolo successivo.
Si assiste alla rivalità tra Algardi e Bernini, e i rispettivi allievi, talvolta in competizione tra loro anche all’interno di ciascuna scuola, sia per affermare una diversa idea dell’opera d’arte, circa il suo significato e la tecnica da impiegare, sia, più prosasticamente, per ottenere il primato a Roma e assicurarsi le committenze più pingui.
L’Adorazione dei Magi, bassorilievo in marmo di Pietro Paolo Olivieri (1596-1599) per l’altare della Cappella Caetani in Santa Prudenziana segna a Roma la nascita di un genere nuovo, sebbene già utilizzato con successo nell’ambito dei monumenti funebri.
Dopo l’exploit di Olivieri, cui fa seguito quello di Pietro Bernini con L’assunzione per il Battistero di Santa Maria Maggiore (1607-1610), la pala a rilievo subisce una battuta d’arresto anche perché il figlio di Pietro, Gian Lorenzo Bernini, le disdegna, influenzato dall’avversione di Michelangelo (al quale Bernini junior si ispira), sebbene Michelangelo avesse esordito proprio con due bassorilievi: La battaglia dei Centauri e la Madonna della Scala, entrambi a Firenze presso Casa Buonarroti.
Tra il 1646 e il 1653 Alessandro Algardi esegue per San Pietro il bassorilevo in marmo Incontro di Leone Magno e Attila, tappa epocale nella storia dell’arte del Seicento a Roma e vero paradigma del bassorilievo moderno.
Quest’opera avrà un enorme seguito, costringendo lo stesso Gian Lorenzo Bernini a confrontarsi con il bassorilievo per non perdere la sua egemonia artistica a Roma.
Sullo sfondo di questa e altre vicende si articola il dibattito sul “paragone” tra pittura e scultura, non facile da riassumere in poche righe. Sostanzialmente, troviamo da un lato gli esecutori di rilievi (a loro volta distinti tra “bassi”, “mezzi” e “alti”) che si propongono di raccontare delle “istorie”, adottano le regole della prospettiva e competono con la pittura, dall’altro gli scultori “a tutto tondo” i quali aborriscono la prospettiva avversando i rilievi e, quando vi sono costretti, le loro figure sono come sospese e prive di sfondo.
Nel dibattito si inserisce anche Galileo sostenendo che tanto più il mezzo con cui si imita un soggetto è lontano da esso, tanto più l’imitazione è meravigliosa, sottintendendo il primato della pittura sulla scultura. Bernini concorda e raccoglie la sfida con un paradosso: fare con la scultura ciò che la pittura non può fare, imitare la natura ricorrendo all’inganno e all’artificio senza che la scultura tradisca le sue caratteristiche di plasticità.
Questi sono solo alcuni degli spunti che il volume offre e lo fa in una veste editoriale sobria ed elegante con decine di belle immagini in bianco e nero.
Per chi teme di dover affrontare una lettura troppo impegnativa, ne suggeriamo un utilizzo più disinvolto: sfruttando un eccellente indice dei nomi finale, dotato per ciascuno degli artisti citati di un elenco delle rispettive opere con la relativa ubicazione, ci si può servire del volume come baedeker per un percorso “alternativo” alla (ri)scoperta di alcune tra le più belle chiese di Roma.

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