Un Arlecchino di Ferretti (?) su faesite (!).

della Redazione di Antiqua 

Riceviamo la fotografia di un dipinto in cornice raffigurante un Arlecchino che ritrae Colombina in presenza di un’altra dama (Rosaura?) e ci viene richiesto un parere sul dipinto e sulla cornice [Figura 1].

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Figura 1. Anonimo, Arlecchino pittore, oleografia su faesite, cm. 25 x 19,5; cornice in stucco (cm. 44,5 x 39) dipinto a “finta mecca” e patinato, prima metà del XX secolo, collezione privata.

Viene naturale pensare, come per altro suggerito dagli stessi proprietari, alle opere di Giovanni Domenico Ferretti (Firenze 1692-1768).
Sappiamo, infatti che, tra il 1746 e il 1749, Ferretti eseguì una serie di dipinti, noti come I travestimenti di Arlecchino, per il nobile senese Orazio Sansedoni, Direttore Generale dei boschi in Toscana e consigliere delle finanze del granduca Francesco Stefano di Lorena. Lo apprendiamo dalla presentazione della mostra I colori di Arlecchino. La Commedia dell’Arte nelle opere di Giovanni Domenico Ferretti, allestita nello Spazio Mostre della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze tra il 26 febbraio e il 31 maggio 2020, in cui è stato esposto il nucleo di 16 dipinti di proprietà della Fondazione [Figura 2, nota 1].

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Figura 2. Giovanni Domenico Ferretti, Arlecchino pittore, Firenze, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze.

Poiché molti dipinti furono ripetuti più volte con gli stessi soggette, ne troviamo un importante gruppo presso il Museo John & Mable Ringling di Sarasota (Florida), provenienti dalla collezione di Max Reinhardt (Baden 1973-New York 1943), uno dei più celebri registi teatrali del Novecento (nota 2).
Alcuni degli Arlecchini di Ferretti, per l’esattezza quattro soggetti, furono incisi dal suo allievo Francesco Bartolozzi (Firenze 1727-Lisbona 1815) presso la bottega veneziana di Joseph Wagner (Thalendorf 1706-Venezia 1786) e questo contribuì enormemente alla diffusione degli stessi in Veneto. Si veda il confronto tra l’incisione di Bartolozzi raffigurante proprio Arlecchini che ritrae Colombina [Figura 3, nota 3] e una serie di dipinti di anonimi imitatori del Ferretti che si attengono più o meno fedelmente all’originale [Figure 4 e 5].

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Figura 3. Francesco Bartolozzi da Giovanni Domenico Ferretti, Arlecchino pittore, 1750 circa, acquaforte, Venezia, stamperia Joseph Wagner, Firenze, Biblioteca Marucelliana.

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Figura 4. Anonimo da Giovanni-Domenico Ferretti, Arlecchino pittore, Firenze, Museo Stefano-Bardini.

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Figura 5. Anonimo da Giovanni-Domenico Ferretti, Arlecchino pittore, olio su tela, cm. 56 x 42, mercato antiquario.

Per completezza, mostriamo anche un esemplare dello stesso soggetto apparso in asta a Londra nel 2020 con una plausibile attribuzione a Ferretti [Figura 6] e quello che viene considerato un bozzetto, presentato pochi mesi prima in un’asta a Roma [Figura 7].

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Figura 6.  Giovanni Domenico Ferretti (attr.), Arlecchino pittore, olio su tela cm.  85 x 69, BONHAMS 17.12.2020 n. 81.

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Figura 7.  Giovanni Domenico Ferretti (attr.), Arlecchino pittore, olio su tela cm.  47,5 x 38, Babuino ottobre 2020 n. 192.

Per una certa ingenuità e una ridotta aderenza agli originali, il dipinto di Figura 5 sembra vicino al “nostro” che riproduciamo [Figura 1a]. Esso non sembra essere tratto dai lavori di Ferretti per cui dobbiamo pensare a un’altra fonte di ispirazione.

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Figura 1a. Anonimo, Arlecchino pittore, particolare della Figura 1.

Prima di proseguire, dobbiamo rivelare i risultati di un esame tecnico del manufatto, reso possibile dalle immagini messeci a disposizione. Abbiamo verificato che il dipinto è stato prodotto su carta e successivamente applicato su un pannello rivelatosi faesite (nota 4).
Nelle immagini seguenti si vedono chiaramente gli spessori della carta e del supporto [Figura 1b] e il tipico retro della faesite a “buccia d’arancia” [Figura 1c].

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Figure 1b e 1c. Particolari del dipinto di Figura 1.

Poiché la produzione di faesite risale agli anni Trenta del Novecento (vedi ancora nota 4), il manufatto non può sicuramente essere antico, a meno che sulla faesite non sia stato applicato un dipinto originale su carta. Dall’immagine di Figura 1b si noti, tra l’altro, che la carta è stata appare coperta da una vernice traslucida.
Un ulteriore approfondimento scongiura questa ipotesi perché, esaminando con una lente d’ingrandimento la superficie del dipinto, si vede lo sfondo “sabbioso” tipico dell’oleografia o di tecniche di stampa similari [Figure 1d e 1e, nota 5].

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Figure 1d e 1e. Particolari del dipinto di Figura 1.

L’esatto riconoscimento della tecnica impiegata è questione complessa; basti però osservare come l’opera su carta non presenti le caratteristiche proprie di un originale, come, ad esempio, il rilievo della pennellata.

Per quanto riguarda la cornice, da quanto si può ricavare dalle immagini [Figure 1 f e 1g], si è propensi a non ritenerla antica e a considerarla un oggetto eseguito a stampo – quindi non in legno intagliato, ma in stucco – verniciato a pennello a simulare la doratura a mecca e poi anticato con pennellate abbastanza visibili.

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Figure 1f e 1g. La cornice, particolari del dipinto di Figura 1.

In conclusione, tutto concorre a far ritenere il complesso un oggetto eseguito attorno agli anni Cinquanta del XX secolo. Poiché la faesite è stata tagliata in modo irregolare, non si tratta di un prodotto seriale, bensì artigianale, da parte di qualcuno – senza necessariamente pensare a un falsario – il quale, con i mezzi a sua disposizione, si sia costruito il suo “Ferretti”.
Certamente seriale è la stampa oleografia, per cui resta ancora da chiedersi quale ne sia la fonte, ossia il soggetto originale resosi meritevole di una produzione plurima che in genere riguardava solo opere di una certa fama (nota 7).

NOTE

[1] Vedi .

[2] Vedi.

[3] Questa incisione rispetta il verso del dipinto, mentre altri soggetti sono stati incisi in controparte, per cui le varie versioni anonime di questi ultimi rispecchiano la stampa.

[4] La faesite è un materiale composto da fibre vegetali (legno) pressate con il quale vengono prodotti dei pannelli. Prende il nome da Faé, una frazione di Longarone (Bl) dove la produzione ebbe inizio nel 1936 a causa di un embargo internazionale che vietava l’importazione di legname. È del tutto simile alla masonite, inventata nel 1924 nel Mississippi da William H. Mason.

[5] L’oleografia è un processo cromolitografici che imita la pittura a olio. L’argomento richiederebbe nozioni specifiche sulle tecniche di stampa per essere sviluppato.

[6] La doratura “a mecca” viene eseguita applicando foglie in argento battuto, anziché in oro zecchino, e ricoprendo con alcune mani di una vernice a base di gommalacca e altri ingredienti, chiamata mecca.

[7] Chiediamo ai visitatori del sito di collaborare alla ricerca della fonte da cui il dipinto è stato tratto.

Settembre 2022

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