Maggiolini al fuorisalone, (catalogo mostra Milano 13-19 aprile 2015), Milano 2015, 140 pagine (circa) formato 16 x 22, euro 20,00.

Solo una settimana, troppo poco, per ammirare sedici mobili di Giuseppe Maggiolini nell’ambito di una mostra flesh organizzata a Milano presso la Galleria San Fedele in concomitanza del Salone del Mobile 2015. Per fortuna resta il catalogo che si aggiunge autorevolmente alla bibliografia sull’ebanista di Parabiago (Mi). La mostra e stata curata da Giuseppe Beretti, restauratore e storico dell’arte, esperto di Maggiolini, Sandrina Bandera, direttore del polo museale della Lombardia e Francesca Tasso, conservatrice delle Raccolte Artistiche del Castello Sforzesco di Milano, i quali firmano i saggi introduttivi. Le schede sono redatte dallo stesso Beretti e da alcuni suoi allievi.
A parte la grafica accattivante – una caratteristica alla quale ci ha abituato l’editore Inlimine fin dal volume Laboratorio del 2005 – il pregio del volume sta nella presentazione di alcuni inediti, ma soprattutto nel tentativo (riuscito) di ordinare la produzione di Maggiolini in senso cronologico, dall’exploit degli anni Settanta, del Settecento, alla fama raggiunta nei due decenni successivi, alla crisi dovuta alla dominazione francese di Milano e alla perdita delle più altolocate committenze, fino alla ripresa e all’orientamento verso produzioni più seriali e stereotipate, ma sempre di qualità elevata.
Le singole schede, scritte da mani diverse, inquadrano ciascun mobile nella propria epoca evidenziando, ove possibile, i riferimenti iconografici delle scene e delle decorazioni intarsiate nei lavori di Giuseppe Levati, Andrea Appiani e altri, la maggior parte dei quali raccolti nel catalogo ragionato dei disegni di Giuseppe Maggiolini, a cura di Alvar Gonzales Palacios e dello stesso Beretti, pubblicato nel 2014.
Impossibile trovare la chiave che consenta di identificare un Maggiolini autentico; ogni mobile costituisce un unicum, al di là del ripetersi di alcune soluzioni decorative, e la sua patente di autenticità, a parte alcuni rari esemplari firmati, deriva dalla sua storicizzazione.

Post scriptum
A beneficio di chi sottopone il mobile dell’Ottocento a un’analisi di tipo lenticolare, rileviamo alcune interessanti considerazioni per quanto riguarda l’epoca. La prima a proposito di una commode di inizio Ottocento (cat. n. 14) per la quale si rileva l’uso del palissandro come fondo per gli intarsi, un materiale diffusamente impiegato in quegli anni, tanto quanto pressoché sconosciuto nella precedente produzione durante il periodo austriaco.
La seconda a proposito dell’ultimo mobile esaminato (cat. n. 16), un tavolo [Figura] che, da un punto di vista strettamente formale in base a ciò che convenzionalmente si ritiene, presenta elementi sia del Direttorio (gambe incurvate raccordate da un “pianalino circolare”), sia della Restaurazione (gambe incurvate poggianti su un piano sollevato da terra da corte gambe).

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Anche da un punto di vista decorativo, il tipo di intarsio potrebbe essere ricondotto sia allo stile Luigi XVI, sia al tardo classicismo dello stile Carlo X. Il fatto che il tavolo sia databile attorno al 1808, quindi in piena epoca Impero, mette in crisi il principio della riconoscibilità dell’epoca in base allo stile se applicato in termini assoluti. In questo caso specifico si potrebbe tuttalpiù aprire a un interessante dibattito se lo si debba considerare un mobile ritardatario o anticipatore.