Coppia di tavolini da gioco con l’etichetta di Ferdinando Dardanone, Milano fine del XVIII secolo.

di Andrea Bardelli e Manuela S. Carbone

Sono stati di recente proposti alla nostra attenzione due tavolini da gioco formanti una coppia, decorati con un rosone che si svela al centro del piano una volta aperti [Figure 1 e 1a].

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Figura 1. Coppia di tavolini da gioco, cm. 75 x 37,5 (chiusi), 77 x 75 (aperti), altezza 78, Milano, fine del XVIII secolo, Francesco Turrini Antiquariato.

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Figura 1a. Uno dei due tavolini di Figura 1 con il piano completamente aperto.

Pur nella loro semplicità, i tavolini sono molto eleganti e costruiti con notevole perizia, lasciando intuire che la loro esecuzione sia da ascrivere a un artefice di un certo talento.
A questo proposito, un sicuro motivo di interesse sul piano della conoscenza del mobile neoclassico lombardo è costituito da due cartigli reperiti entro il vano interno dei mobili [Figure 1b e 1c].

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Figure 1b e 1c. Cartigli all’interno di un vano dei tavolini.

I due cartigli sono identici e, a scapito delle parti mancanti, si può leggere:
Ferdinando Dardanone
Mercante di Mobilia
Perito stimatore
Sull’angolo di San Pietro all’Orto [cancellato con un tratto di penna] [aggiunto a penna] all’omo di Pietra
Porta Orientale in Milano al n. 609 [corretto a penna in 603].

Ferdinando Dardanone è un personaggio già noto agli studi. Ne abbiamo parlato nell’articolo Ferdinando Dardanone, ebanista e/o mercante di mobilia nella Milano neoclassica, pubblicato su Antiqua nell’aprile del 2022 a cui si rimanda (nota 1).
In quella sede, si suggeriva che Dardanone potesse essere un mercante di mobilia e non un ebanista, questione sulla quale torneremo tra poco.
Sui due cassettoni di cui si è dato conto nel suddetto articolo compaiono delle scritte a penna che situano la bottega di Dardanone, nel 1780, “sul Cantone di S. Pietro al orto In porta orientale vicino à S. M.ia / de Servi In Milano al No 609 …” e, nel 1787, “ai Servi Milano”.
Per chi non è pratico di Milano, tantomeno della sua toponomastica a fine Settecento, San Pietro all’Orto esiste ancora ed è una traversa di Corso Vittorio Emanuele, centralissima via che collega la piazza del Duomo con piazza San Babila; Santa Maria dei Servi è invece una chiesa che non esiste più, demolita nel 1847 per lasciare spazio all’attuale chiesa di San Carlo al Corso, ossia Corso Vittorio Emanuele che una volta si chiamava, appunto, Corsia dei Servi; infine, Porta Orientale è uno dei sestieri in cui era diviso il centro di Milano all’interno del percorso delle antiche mura medioevali.
Le correzioni “a penna” sui cartigli dei tavolini in esame ci dicono che Ferdinando Dardanone aveva lasciato la bottega al civico numero 609, all’angolo con San Pietro all’Orto, per spostarsi al civico 603.
Il riferimento “all’omo di Pietra” ci dice che il nuovo negozio si trovava sull’attuale corso Vittorio Emanuele, ma più verso piazza Duomo dove è collocata la statua del “sciur Carèra”, una scultura romana di epoca imperiale che per i milanesi equivale a quella del Pasquino a Roma, attualmente sotti i portici di corso Vittorio Emanuele nei pressi del civico 13 (nota 2).
Negli stessi cartigli, Dardanone si qualifica come mercante di mobilia e perito estimatore, rafforzando in modo appariscente questo duplice ruolo rispetto a quello di ebanista.
Cerchiamo nuove conferme nell’analisi stilistica della coppia di tavolini da gioco.
Come già anticipato, i due tavolini sono molto semplici, privi di quei decori intarsiati, talvolta ridondanti, che caratterizzano la maggior parte dei mobili neoclassici lombardi. Si potrebbe supporre che i tavolini siano stati realizzati nel rispetto del gusto austero che caratterizza il Direttorio, coerentemente con la presunta datazione all’ultimo decennio del Settecento.
Rileviamo, innanzi tutto, che essi non hanno nulla in comune con la produzione che si raccogliere attorno ai due cassettoni riportanti le scritte di cui sopra, per la quale si rimanda all’articolo di cui alla nota 1.
Pensiamo invece essi siano da inquadrare nell’ambito dei lavori di Giovanni Gorla, ebanista milanese attivo a Canegrate – comune facente parte della città metropolitana di Milano – nel 1798 e nel 1801. Anche di questo ebanista ci siamo già occupati in un articolo su Antiqua quando il suo cognome era stato erroneamente letto come Porta (nota 3).
Il modo con cui Gorla risolve la gamba nel comodino datato 1798, già pubblicato nell’articolo del 2020 [Figura 2], con particolare riferimento alla mensolina, alla strozzatura sottostante e all’inserto intarsiato a forma di piramide rovesciata allungata, è identico a quello riscontrabile nei tavolini da gioco del presente articolo [Figura 1d].

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Figura 2. Giovanni Gorla, comodino neoclassico, firmato e datato 1798, Finarte Roma giugno 2002 n. 701.

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Figura 1d. Particolare di uno dei due tavolini da gioco di Figura 1.

Dai cartigli di cui alle Figure 1b e 1c, si poteva già dedurre che i due tavolini da gioco fossero da datare dopo il 1787, ossia dopo lo spostamento della bottega, ma questo confronto ci consente di spostarne ulteriormente la datazione verso la fine del secolo.
Cogliamo l’occasione di mostrare [Figura 3] un ulteriore tavolino, inedito, appartenente anch’esso alla produzione più sobria di Giovanni Porta. Le somiglianze con il comodino di Figura 2 ci sembrano abbastanza evidenti. Il decoro sul piano del tavolino è identico a quello che si vede sull’anta del comodino, così come sono uguali le gambe e i piedi (nota 4).

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Figura 3. Giovanni Gorla (qui attribuito), tavolino neoclassico, 1795-1800 circa, Finarte Roma giugno 2002 n. 702.

Presentiamo un altro comodino, anch’esso inedito, passato in asta da Finarte a Milano nel 1988 [Figura 4]. Riteniamo si possa ascrivere alla produzione di Giovanni Gorla – anche in questo caso attraverso il confronto con il comodino di Figura 2 – sebbene presenti delle peculiarità che testimoniano una gamma di soluzioni stilistiche che l’ebanista era in grado di adottare di volta in volta [Figura 4].

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Figura 4. Giovanni Gorla (qui attribuito), comodino neoclassico, 1795-1800 circa, Finarte Milano aprile 1988 n. 337.

In conclusione, la coppia di tavolini da gioco è a nostro avviso attribuibile a Giovanni Gorla che potrebbe averli eseguiti a Canegrate attorno negli ultimi anni del Settecento.
In questo caso, si avrebbe un’ulteriore conferma del fatto che, a quell’epoca, Ferdinando Dardanone non fosse un ebanista – sia che non lo fosse mai stato, sia che non lo fosse più – e che la sua attività esclusiva fosse quella di mercante di mobilia, capace di promuovere sulla piazza di Milano il talento misurato ma sicuro di Giovanni Gorla, milanese “costretto” per ragioni ancora oscure a lavorare a Canegrate.

NOTE

[1] Leggi

[2] Il nome deriva dalla prima parola che si legge nella scritta incisa sotto la statua: “Carere debet omni vitio qui in alterum dicere paratum est” (“Deve essere privo di ogni colpa chi è pronto a parlare contro un altro”) [Figura A]. La testa non è pertinente, aggiunta attorno all’anno 1000.

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Figura A. Scultura in marmo, Roma, epoca imperiale (testa XI secolo circa), Milano, corso Vittorio Emanuele n. 13.

[3] L’articolo in questione è Alcuni mobili firmati da Giovanni Porta [sic] (settembre 2020) [Leggi ].

[4] I due mobili, quelli di Figura 2 e quello di Figura 3 sono stati battuti nella stessa asta romana di Finarte nel 2002 ed è quindi assai probabile provenissero dalla stessa dimora e che appartenessero originariamente alla medesima fornitura.

Ringraziamo l’antiquario Francesco Turrini per averci fornito le immagini e alcune informazioni.

Aprile 2024
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