Le caratteristiche delle medaglie rinascimentali fuse e delle loro copie

di Marco Ottolini (*)

Premessa
Affrontando il tema delle “medaglie fuse” rinascimentali ci si chiede quali siano i criteri che permettono di distinguere un “originale” da un esemplare ottenuto successivamente mediante rifusione di una sua impronta in terra.
Cercherò qui di esporre sinteticamente quanto l’esperienza, il confronto con altri appassionati e lo studio mi hanno permesso di apprendere.
Innanzitutto: perché nasce la medaglia con ritratto?
Gli appassionati di questo argomento sanno che il primo autore rinascimentale è stato Antonio di Puccio Pisano detto il Pisanello (prima del 1395-1455) con la prima sua medaglia: quella di Giovanni VIII Paleologo realizzata a Ferrara nel 1438, dove l’Imperatore, con il suo caratteristico copricapo che tanto colpì i contemporanei, si trovava per partecipare al Concilio [Figura 1].

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Figura 1. Pisanello, Giovanni VIII Paleologo, D. busto a destra; R. L’imperatore a cavallo. Bronzo, Ø mm. 103 (collezione Mario Scaglia).

Il centro della creazione dell’autore di una medaglia è il ritratto del personaggio: lo stimolo è dato dal committente che, spinto dal desiderio di diffondere e perpetuare la propria immagine, la vuole fissare nel metallo, in un oggetto le cui dimensioni siano contenute tanto da poterlo distribuire senza timore di deterioramento e con la facilità di fruizione che le dimensioni consentono.

In tal senso, la medaglia è un oggetto “politico”: la committenza è infatti costituita da re, principi, signori, nobili o importanti soggetti civili [Figura 2].

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Figura 2. Matteo de’Pasti (Verona 1410 – Rimini 1467): Sigismondo Pandolfo Malatesta, dopo 1446, D. busto a sinistra; R. Castello di Rimini. Bronzo, mm. Ø 83,5 (collezione Mario Scaglia).

Essa costituisce un oggetto che resta, in quanto viene conservata da coloro i quali l’hanno ricevuta in dono o l’hanno acquistata direttamente dall’incisore o dal committente.
Quindi, quasi senza una precisa volontà e per una serie di fortunate circostanze, si formarono così le collezioni di medaglie e con esse si cominciò a manifestare lo spirito collezionistico che spinge ancor oggi i possessori di quegli oggetti ad arricchirle nel tempo.

Le caratteristiche di una medaglia rinascimentale fusa del XV secolo
Innanzitutto, occorre chiarire che i prototipi delle medaglie rinascimentali sono prevalentemente fuse in bronzo (nota 1) col metodo detto a “cera persa”. In sostanza, il modello in cera dell’oggetto da ottenere era ricoperto di terra di fusione (nota 2) e veniva collocato entro un contenitore detto “conchiglia”. Qui, grazie al calore del getto del metallo, la cera si scioglieva e si perdeva: da qui il nome di fusione a “cera persa”.
Questo processo dava origine a una prima medaglia “prototipo”, da cui si potevano ricavare impronte per le successive eventuali altre fusioni: le medaglie scaturite in tal modo dal prototipo sono da considerarsi originali.
Caratteristiche di queste prime fusioni sono la nitidezza del dettaglio e la pulizia dei fondi.
Esistono, peraltro, altri metodi per la creazione di modelli adatti a ottenere medaglie fuse, ad esempio, partendo con l’incisione diretta di altri materiali quali il legno, le lastre di ardesia oppure la modellazione con materiali plasmabili da cui ricavare forme in gesso così da creare un modello, sempre in gesso, riproducibile per successive fusioni da cui dar corpo alla medaglia.
Le cosiddette “rifusioni” o “copie successive” sono per lo più ottenute da impronte formate direttamente in “terra di fonderia”, prendendo come modelli medaglie precedenti: le forme del dritto e del rovescio vengono accoppiate e le due valve, chiuse in una conchiglia, consentono poi di procedere alla fusione di ogni medaglia.
Tale processo, soprattutto se ripetuto usando medaglie derivate da precedenti fusioni, fa progressivamente perdere dettaglio e qualità generale ai pezzi prodotti.

Pertanto, per confermare o meno che un esemplare di medaglia sia autentico, come spesso può accadere, dobbiamo tenere conto delle seguenti condizioni:
Nitidezza epigrafica
Le prime medaglie rinascimentali avevano come modello di riferimento le monete romane che continuavano a circolare fra gli eruditi del tempo. Si trattava, soprattutto, di “sesterzi” (grandi bronzi) (nota 3) che non considerandone l’uso monetale, venivano ricercate come “ritratti di Cesari”, medaglie (nota 4) appunto e come tali denominate.
Come gli incisori romani, gli autori del Quattrocento riponevano particolare attenzione all’epigrafia delle loro medaglie traendone spunto per l’accuratezza delle legende sulle loro opere.
In tal senso, le lettere delle legende sulle loro opere ricevevano una cura particolare, in modo che non solo risultassero ben leggibili ma che ne valorizzassero l’immagine centrale e ne aumentassero il positivo impatto visivo generale.
Per contro, le “rifusioni” mostrano scritte le cui lettere risultano impastate o recano residui di fusione; talvolta le scritte sono in parte o in tutto mancanti ovvero risultano sfocate, annebbiate e sgradevoli, cosa assolutamente inconciliabile con lo scopo stesso dell’arte medaglistica [Figura 3].
Nitidezza del ritratto e della rappresentazione
Come già detto per le legende, anche i ritratti rappresentati sul diritto e le figure modellate sul rovescio della medaglia devono possedere gli stessi requisiti di leggibilità.
Bisogna quindi analizzare con cura i dettagli, individuare la presenza dei più tenui e meno “rilevati” particolari: a questo scopo occorre confrontare il pezzo in esame con l’immagine fedele di un originale riconosciuto come tale.
Nelle rifusioni, la suddetta nitidezza non si trova ed è analizzando i dettagli che si potrà avere un riscontro. Poiché, solitamente, il ritratto è realizzato in altorilievo esso è di più semplice riproduzione, mentre i dettagli del resto della figurazione sono meno evidenti e, pertanto, nelle rifusioni, risulteranno meno incisi se addirittura non scompariranno del tutto.
Occorre infine prestare attenzione a eventuali interventi manuali che abbiano teso a ripristinare con il cesello l’auspicata freschezza dell’impronta di una medaglia.
La dimensione
Altro importantissimo parametro cui fare riferimento è quello dimensionale. Rispetto a una fusione ritenuta originale (il cui diametro e le dimensioni sono riportate dai cataloghi che le hanno pubblicate), una carenza dimensionale accettabile sarà, al massimo, di 0,5/1% in meno rispetto alla misura maggiore.
Solitamente, peraltro, le dimensioni attribuite ai diversi esemplari originali non sono asserite in maniera categorica. Essendo ogni medaglia gettata singolarmente, ritengo sia accettabile una pur minima differenza dimensionale.
Per contro, nelle rifusioni, la differenza di misura rappresenta la più evidente difformità rispetto all’originale. Questa differenza è infatti inesorabilmente dovuta al ritiro del metallo per il raffreddamento che esso subisce dopo la fusione: per il bronzo, tale riduzione è di circa 1,5% del diametro.
Peraltro, il semplice riferimento al diametro della medaglia che si vuole confrontare con una versione originale non è sufficiente per stabilire che anch’essa sia originale.
Questo parametro può infatti essere stato modificato artificialmente (e ingannevolmente) ampliando l’impronta lasciata dalla medaglia modello, così da manifestare un diametro che soddisfi i parametri codificati e indurre quindi a un’errata attribuzione di originalità.
Per ovviare a questo inconveniente, occorre confrontare la medaglia con un originale prendendo, come riferimento, due punti contrapposti (ad esempio, la distanza tra i terminali interni delle lettere della legenda). Se l’esemplare esaminato evidenzia un calo uguale o superiore a 1,5% rispetto all’originale essa è sostanzialmente una rifusione. Procedimento complicato ma risolutivo [Figura 3].

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Figura 3. Nicolò di Forzore Spinelli, detto Fiorentino (Firenze 1430-1514), Innocenzo VIII, 1486. Originale (a sinistra), mm. 54,5; copia (a destra), mm. 53,5.

Aspetto della fusione
La “fusione a cera persa” ha come caratteristica peculiare l’alto livello di finitura, quasi senza il bisogno di particolari interventi di ritocco a completamento dell’opera.
La “fusione in terra” presenta invece una bassa qualità di finitura che si esplicita in un elevato grado di ruvidità tali da impedire la riproduzione dei dettagli più fini. Liberata dai residui più grossolani, la rifusione necessita spesso dell’intervento dell’operatore, con lime, ceselli e bulini, allo scopo di aumentare la definizione delle figure e lisciare i campi sui quali esse spiccano. Ciò può avvenire, ad esempio, smerigliando la medaglia anche con l’ausilio di macchine.
Finitura della fusione
Dopo la fusione, la medaglia fresca ha comunque bisogno di ulteriore lavorazione: la prima serve a rimuovere la “materozza”, vale a dire l’escrescenza di metallo accumulatosi nel canale di immissione e di sfogo del metallo fuso che, dopo il raffreddamento, risulta solidale alla medaglia. Si tratta di un intervento meccanico che consiste nel togliere il metallo eccedente e successivamente nel sistemare il bordo con una lima: non è insolito trovare sul bordo della medaglia segni di colpi di lima o sottili martellature come, del resto, si possono incontrare segni di ritocchi fatti ad arte per ovviare a minime imperfezioni di fusione prima della eventuale patinatura.
Sulla medaglia rifusa, i suddetti interventi o sono totalmente assenti o sono molto diffusi e pesanti. Quando l’intervento è stato effettuato a macchina il bordo appare tagliente mentre, nel tentativo di eliminare le imperfezioni più pesanti e sgradevoli, le tracce del bulino appaiono particolarmente evidenti.
La patina
La patina non è solo il risultato del processo di “ossidazione naturale” della superficie cui solo alcune medaglie erano lasciate, ma un’applicazione estetica successiva alla fusione. Si tratta, cioè, spesso di una “finizione” ottenuta con metodi chimico-fisici elaborata e applicata dall’artista stesso per dare un aspetto gradevole all’oggetto e i cui ingredienti erano mantenuti gelosamente segreti.
Per le medaglie originali, la patina ha di solito un colore marrone cuoio o nocciola e, come detto, risulta caratteristica di ciascun medaglista.
Alcuni esemplari appaiono “spatinati”, cioè portati al colore originale del metallo appena fuso per interventi di maldestra pulizia.
Sulle rifusioni la patina è lasciata all’alterazione chimica naturale della superficie o è solitamente molto scura (se non nera) per l’uso di moderni metodi chimici.
Copie coeve
Alcune medaglie riscossero particolare successo tanto che, probabilmente per accontentare la richiesta, non possiamo escludere che gli stessi autori o le botteghe alle quali essi si rivolgevano, ne abbiano riprodotti svariati ulteriori esemplari e versioni, con metodi più rapidi e meno costosi di quelli usati per realizzare gli originali. Per riconoscere tali oggetti ci aiuta la patina o il colore del metallo di fusione. Poiché è impossibile avere la certezza se siano o no oggetti da classificarsi come copie originali (perdonate l’ossimoro), in questo caso solo l’occhio esperto potrà giudicare.

Considerazioni conclusive
Spero che queste note molto sintetiche possano essere da guida al neofita e da stimolo per un dibattito molto spesso solo accennato ma mai concluso… se mai conclusione possa esserci.
Per riconoscere l’autenticità delle medaglie rinascimentali, mi sento di suggerire che l’esperienza diretta sia fondamentale: vedere, toccare, formarsi opinioni, confrontarsi con esperti ma, soprattutto, immagazzinare sensazioni facendo crescere la “palestra visiva” in cui allenare l’occhio a dare giudizi non avventati o superficiali bensì fondati su reale competenza.
Guardate, frequentate i medaglieri (fatevi aprire le loro porte), assorbite sapere da collezionisti e commercianti competenti; non accontentatevi della prima opinione che vi fate di fronte agli oggetti… dei vostri desideri.

NOTE

[1] Bronzo: lega di Rame e Stagno nella percentuale di 90% e 10% (con la presenza eventuale di altri metalli in piccola quantità, come piombo e zinco). L’aspetto di colore passa dal rosso, con percentuale di stagno del 5%, al giallo scuro con percentuale al 10%, al giallo chiaro con percentuali tra il 10% ed il 25% e al bianco argenteo con percentuale di stagno oltre il 25%.

[2] Terra di fusione: generalmente, nel XV secolo, il modello veniva ricoperto di uno strato sottilissimo di argille finissime con aggiunta di osso di seppia polverizzato, corno, cenere e altro, per esaltare i minimi dettagli del modello di cera; a seguire venivano aggiunti strati più grossolani fino a ricoprire la valva o staffa entro la quale il modello era contenuto.Oggi la terra di fonderia è un composto di sabbie silicee con aggiunta di argille purissime, cemento, bentonite e altro, aventi caratteristiche di relativa plasticità.

[3] Hanry Cohen, nella sua opera fondamentale Descrition historique des mannaies frappe sous l’empire romain (Paris 1880), per classificare le monete romane in bronzo usa i seguenti termini: “grand bronze, moyen bronze, petit bronze.” Ho pertanto voluto sottolineare quella terminologia usata fino ai primi anni del Novecento per indicare le monete romane.

[4] Il termine medaglia deriva da una piccola moneta frazionale così denominata, usata nell’alto medioevo, successivamente, il termine passò a indicare oggetti non aventi più le caratteristiche monetali (vale a dire adatta ad essere scambiate con beni o servizi) ma solo funzioni artistico commemorative.

Bibliografia essenziale
-Alfred Armand, Les Médailleurs Italiens Des Quinzième et Seizième Siècles, Paris 1883.
-Jean Babelon, La Mèdaille et les mèdailleurs, Paris 1927.
-Francis George Hill, A Corpus of Italian medals of the Renaissance before Cellini, London 1930.
-Lucia Simonato e Giulia Zaccariotto (a cura di), La Collezione di Medaglie Mario Scaglia, Silvana editoriale, Milano, 2020.

(*) Marco Ottolini è da 35 anni collezionista e commerciante a Rescaldina (Mi) [Vedi].

Una prima versione di questo articolo è stata pubblicata su Il gazzettino di quelli del Cordusio n. 8 del luglio 2021.

Aprile 2024
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