Alcune forme del paesaggio nella decorazione pittorica su porcellana e su tela nel Settecento

di Gianni Giancane

Premessa
Lungi dal presentare un’esaustiva argomentazione sul tema, meritevole di ben altri spazi e attenzioni, il presente contributo mira a focalizzare quelle particolari espressioni stilistiche che nel XVIII secolo videro l’affermarsi delle scene di porto e delle vie d’acqua – tanto nella più nobile arte della pittura quanto nella decorazione su porcellana – nei differenti contesti territoriali, marittimi, fluviali, lacustri e con le più disparate movimentazioni di mezzi e di persone.
Tali scenografie erano generalmente incastonate da attenti profili costieri che esulando da mera e naturale cornice, ne assumevano sovente rafforzamento prospettico, spaziando da sfondi di pura invenzione ad altri dalle riferibili caratterizzazioni geografiche.
Tra le numerose testimonianze fortunatamente a noi pervenute – presenti nelle istituzioni museali, nelle collezioni pubbliche e/o private, sul mercato antiquario – i manufatti individuati per la nostra disamina, provenienti tutti dalla stessa collezione privata, sono rappresentati da due tazzine con piattino, realizzate in Sassonia nella prestigiosa manifattura di Meissen intorno al 1740, e due tele dipinte in quel di Verona da Andrea Porta nell’ultimo quarto dello stesso secolo.
Pur con naturali distinguo dovuti anche ai differenti ambiti territoriali raffigurati, le porcellane e i dipinti sono accomunati da notevoli decorazioni pittoriche nelle quali le scene di porto rappresentate legano indissolubilmente l’aspetto estetico-espressivo a quello storico-sociale dell’epoca, offrendo chiari “affreschi” spazio-temporali ormai lontani.

Doverosa precisazione
Mentre l’analisi delle porcellane sassoni è stata curata dallo scrivente che ne ha esaminato i vari aspetti da quelli composito-costruttivi a quelli stilistico-formali, si deve ad un importante lavoro della dottoressa Federica Spadotto lo studio dei due dipinti, due tempere su tela, che la studiosa, storica dell’arte e tra i massimi esperti della pittura veneta del Settecento (nota 1), ha magistralmente ricondotto alla mano del pittore veronese Andrea Porta.
Tali studi sono stati sintetizzati in un’expertise che la stessa studiosa ha gentilmente messo a disposizione per il presente lavoro e che pertanto sentitamente si ringrazia.
Prima di affrontare l’obiettivo centrale del presente contributo, si porge all’attenzione del lettore una preliminare presentazione dei singoli manufatti onde coglierne le caratteristiche specifiche e instaurare di conseguenza un confronto critico, al fine di rendere quest’ultimo scientificamente significativo.
La documentazione fotografica, ove non diversamente specificato, è stata effettuata dallo scrivente.

Le tazzine e i loro piattini, analisi tecnica dei manufatti
Iniziamo con le due piccole stoviglie, a ognuna delle quali si associa una dettagliata sequenza iconografica.
Decisamente rare, di grande livello qualitativo e in uno stato di conservazione eccellente (quasi irreperibili in tali condizioni sul mercato antiquario), sono state realizzate in un ben preciso momento della manifattura, tra il 1735 ed il 1740, certificato sì dall’aspetto stilistico-espressivo ma anche dalla tipologia dei marchi di fabbrica apposti, le spade incrociate dipinte in blu sotto vernice (nota 2), dai numeretti incussi in fase di fabbricazione nella pasta ceramica ancor umida e, in un solo caso, anche da un simbolo che ricerche effettuate dallo scrivente hanno condotto  all’identificazione di uno specifico autore (il formatore al tornio o modellatore).
Ogni tazza, senza manico, detta Köppchen (nota 3) presenta due miniature contrapposte, incastonate in riserve su fondo bianco (come già da premessa) scandite da tratti mistilinei; orlo e piede sono impreziositi da spesse profilature in oro. All’interno, racchiusa tra due cerchi concentrici dipinti in rosso ferro (tipico pigmento usato a Meissen nel periodo), un’altra miniatura con scene di porto arricchisce ulteriormente i manufatti.
I piattini presentano al recto una notevole scenografia centrale su campo bianco tra girali, cartigli, nastriformi volute, ed eleganti profilature dorate; al verso domina il colore nel campo esterno, giallo in un caso, pulce nell’altro, chiuso in basso da un robusto filetto in oro e lasciando il bianco dominante alla parte interna dell’anello di base, il tutto chiaramente documentato nei supporti fotografici che qui di seguito vengono proposti.

Tazzina senza manico con il suo piattino “a fondo giallo”
Nella prima delle due tazzine con piattino (Köppchen und Unterschale) [Figura 1], il fondo giallo ricopre la parte esterna della tazzina dove spicca una delle due miniature in riserve mistilinee dal doppio profilo, bruno e oro.

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Figura 1. Tazzina con piattino (Köppchen und Unterschale), porcellana, cm. 7,3 x 4,4 di altezza (tazzina), cm. 13,4 di diametro (piattino); Manifattura di Meissen, 1740 circa, collezione privata.

Il piattino, presenta un’elegante espressione pittorica con il paesaggio scandito da viandanti e barcaioli in un pacato intreccio di vita fluviale [Figura 2]. Si noti l’elegante dinamicità scenografica, dalla vibrante pennellata, con grande attenzione a movenze chiaroscurali, esaltate in particolare sulla schiena dei due viaggiatori, uno a cavallo, con mirabili colpi di luce. La dipintura è delimitata da doppio profilo, uno mistilineo in oro e una composita cornice color pulce (stesa a camaïeu) a conchiglia centrale, cartigli e racemi fogliari, tipica espressione definita Laub-und Bandelwerk (a foglie e nastri).

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Figura 2.  Il piattino con scena policroma è chiuso sulla tesa da uno spesso profilo in oro.

La tazzina è dipinta su due versanti contrapposti con scene di porto e viandanti, racchiuse da un profilo a due contorni (bruno e oro) a fermare il campo bianco della riserva, in contrasto cromatico con il giallo del fondo; in basso, verso il piede, un filetto in oro chiude il giallo separandolo dalla porcellana bianca del profilo di base.
In una delle due scene un popolano, seduto ai bordi di una stradina su rocce affioranti, indica a un viaggiatore a cavallo la strada per il porto, appena visibile in lontananza [Figura 3].

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Figura 3. Una delle due facce dipinte della tazzina con la scena pittorica rappresentata.

Nella scena dipinta sull’altra faccia [Figura 4], due frondosi alberi scandiscono l’asse prospettico, mentre una piccola imbarcazione con figure atte al trasporto di mercanzie, un cavaliere e, sullo sfondo, un castello turrito, completano lo scenografico paesaggio.

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Figura 4. Il dipinto presente sull’altro versante della gialla tazzina.

All’interno della tazzina, chiusa sul bordo superiore da “robusto” tratto in oro, appare una terza decorazione pittorica, una classica Kauffahrteiszenen, delimitata da un motivo spesso ricorrente nella manifattura tra gli anni Trenta e i primi anni Quaranta del XVIII secolo, cioè due esili circonferenze concentriche dipinte in rosso ferro [Figura 5] Nel dipinto, volutamente collocato su un lato della scena, le figure, pur delineate, si fondono armoniosamente con imbarcazioni, vele e sartiame formando un unico corpus, dal forte cromatismo sui toni del bruno-rossastro e in netto contrasto col bianco di fondo.

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Figura 5. La vista dall’alto della tazzina consente di apprezzare meglio la mancanza del manico.

Da rilevare, mera curiosità, l’assenza totale – in tutte le miniature dell’intero set (quattro dipinture) – del benché minimo evento atmosferico, normalmente presente in altre analoghe raffigurazioni; come eleganti macchiette di colore solo pochi volatili solcano il cielo.
Occupiamoci ora dei marchi, presenti al verso delle due piccole stoviglie tanto sul piattino quanto sulla tazzina.
Sul piattino sono stati riscontrati tre marchi [Figura 6].
Le famose spade incrociate, in blu sotto vernice (unterglasurblaue Schwertermarke); il n° 63 incusso (pressmarke), identificativo del formatore (modellatore/torniante); la lettera H e un puntino in basso a destra, entrambi in oro, apposti dal doratore (non il pittore!) in riferimento a tutti gli oggetti appartenenti a uno stesso servizio, corredati pertanto da unico elemento identificativo; non è un suo monogramma (nota 4).

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Figura 6. Il retro del piattino; al centro una piccola e naturale crepa di cottura attraversa la punta delle spade.

Sulla tazzina [Figura 7] appaiono sia il marchio delle spade che la lettera H (con puntino), ma il n° 24 incusso, relativo a un torniante sicuramente differente da colui che aveva formato al tornio il piattino.

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Figura 7.  I marchi presenti sul fondo della tazzina; in alto, poco visibile, il n° 24 incusso (capovolto).

Studiamo il secondo manufatto sassone.
Tazzina senza manico con il suo piattino “a fondo pulce”
Nella seconda tazzina con il suo piattino (Köppchen und Unterschale), che presenta identica struttura formale alla prima, la parte esterna della tazzina e parte del dorso del piattino ospitano il colore pulce di fondo [Figura 8].

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Figura 8. Tazzina con piattino (Köppchen und Unterschale), porcellana, cm. 7,8 x 4,5 di altezza (tazzina), cm. 13,0 di diametro (piattino); Manifattura di Meissen, 1735-40 circa, collezione privata.

Il piattino, realizzato intorno al 1740, presenta una scena fluviale dai vibranti toni pittorici, con armoniosa interazione tra ambiente e figure in un momento di calma autunnale; tutti gli elementi raffigurati risultano perfettamente scanditi e imperniati sul particolare caseggiato turrito [Figura 9].
A differenza del precedente piattino, la riserva mostra una cornice con un altro motivo Laub-und Bandelwerk, senza racemi fogliati e altri elementi fitomorfi, ma caratterizzato da soli nastri e cartigli in oro, profilati in bruno. La tesa appare particolarmente luminosa grazie a un’ulteriore e baroccheggiante decorazione, molto in voga in quegli anni a Meissen, il Goldspitzenbordüre, vale a dire un merletto di pizzo traforato, in oro.

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Figura 9. Il piattino impreziosito dal particolare decoro sulla tesa.

Vediamo adesso le scene dipinte sui versanti contrapposti della tazzina, unico pezzo dei quattro in esame che presenta un piccolissimo “insulto del tempo”: qualche minima sbeccatura sull’orlo del piede, abbastanza datata, che non inficia assolutamente la bontà del set.
In uno dei dipinti, due attenti personaggi ai piedi di un albero, quasi del tutto disadorno, sembrano voler raggiungere, indicandolo, un vicino corso d’acqua (poco visibile in basso a destra) tra alberi e turriti caseggiati [Figura 10]. A differenza dell’altra tazzina, in questo esemplare la riserva è delimitata dal solo profilo in oro.

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Figura 10. La tazzina, Meissen 1735-1739 circa, con uno dei due dipinti. 

Sul lato opposto della stessa tazzina [Figura 11], in una medesima riserva a fondo bianco, una scena di trasporto delle merci sul fiume. Si coglie il livello qualitativo del dipinto, in particolare le figure proiettate sullo sfondo di un nucleo abitativo con alta torre e la notevole definizione del fasciame della piccola imbarcazione. Completano il quadro due figurette, più lontane, e sullo sfondo, alcuni rilievi collinari.

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Figura 11. L’altro dipinto presente nella tazzina.

Così come nella corrispondente a fondo giallo, anche quest’esemplare è decorato all’interno con scena fluviale, ma impreziosito ulteriormente sull’orlo dalla particolare cornice a merletto [Figura 12].
La miniatura mostra un viandante a riposo sulle rive di un fiume, quasi attendendo il transito di un’imbarcazione; un caseggiato turrito si staglia sul profilo costiero.

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Figura 12.  L’interno della tazzina, con scena dipinta e Goldspitzenbordüre sull’orlo.

A differenza del primo set, nella tazzina e piattino appena visti i cieli sono accarezzati da rade nuvolette emergenti sul fondo biancastro; schizzate a tratteggio, guidano il volo degli uccelli.
Passando all’aspetto tecnico e occupandoci dello studio dei marchi, presenti in entrambi gli oggetti del set, scopriamo quanto segue.
Sul piattino [Figura 13] sono stati rilevati tre marchi: le spade incrociate, in blu sotto vernice (unterglasurblaue Schwertermarke), marchio della manifattura nel periodo considerato; il n° 2 incusso (pressmarke) identificativo del formatore (modellatore/torniante); il numero 54 con puntino, in basso a destra, entrambi in oro, apposti dal doratore in riferimento a tutti gli oggetti appartenenti allo stesso servizio (vedasi ancora nota 3).

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Figura 13. Il retro del piattino con il color pulce steso sulla parte esterna ed i marchi visibili; non visibile, il n° 2 incusso nella pasta nell’interno del piede, il tutto su fondo bianco.

Nei marchi presenti sulla tazzina, oltre alle spade incrociate ed al numero 54 in oro, compare un nuovo elemento identificativo molto importante per la datazione, un simbolo incusso al posto del solito numeretto [Figura 14].

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Figura 14. Il retro della piccola stoviglia consente di cogliere il sistema di marcatura nel periodo di realizzazione.

La presenza di tale simbolo testimonia una realizzazione della tazzina (ci riferiamo alla formatura al tornio e modellatura del manufatto) sicuramente precedente al piattino. Per la facilità di confusioni iconografiche tra di essi, infatti, i simboli indicanti il formatore, introdotti nel 1735, vennero sostituiti da numeretti, ugualmente incussi, a partire dal 1739 (Syz-Jefferson Miller- Rückert 1979 pp. 591-592).
In particolare, il simbolo distintivo del formatore, due linee perpendicolari e un punto in ogni quadrante, riconduce ad Andreas Schiefer, 1690-1761 (Rückert 1990, p. 126).
Ne stabiliremo pertanto una ristretta datazione tra il 1735 ed il 1739 circa.
Molto evidente la lucidatura dell’oro nel numero 54, e puntino, rilevabile da piccole linee subparallele dovute allo sfregamento con pietra d’agata.

Ipotesi attributiva
Si considerino innanzitutto le difficoltà normalmente incontrate dai pittori su porcellana quando si cimentavano con oggetti di piccole dimensioni quali i nostri.
Rappresentare con grande finezza e armoniosa distribuzione cromatica, proiettare definite figure in antropici e/o naturalistici ambienti ma in uno spazio di così ridotte dimensioni quale un piattino o, peggio ancora, una tazzina, non era certamente cosa facile e solo i grandi pittori, riuscivano pienamente nell’intento.
Nella manifattura sassone nel secondo quarto del XVIII secolo non erano molti i pittori abilitati alla decorazione delle importanti stoviglie sfornate per soddisfare una clientela assai esigente. Su tutti sicuramente il grande Johann Gregorius Höroldt (Jena, 6.08.1696 – Meisssen, 26.01.1775) creatore dei motivi a cineserie, capo indiscusso del laboratorio di pittura di Meissen e direttore della manifattura tra il 1723 ed il 1731; tra gli altri ricordiamo: Johann Christoph Horn, Bonaventura Gottlieb Häuer, Johann Ehrenfried Stadler, Johann George Heintze e, in particolare, Christian Friedrich Herold (Berlino, 1700 – Meissen, 24.08.1779), oltre ad alcuni allievi in bottega (nota 5).
Herold, seguendo il pensiero del maestro (Höroldt) si dedicò dapprima alle cineserie con notevoli risultati, per abbracciare successivamente i motivi delle scene di porto arricchite spesso da attività commerciali, le Kauffahrteiszenen.
Anche Heintze concentrò i propri sforzi soprattutto su questo filone decorativo.
Ora, mirando all’attribuzione di paternità dei dipinti presenti sulle nostre porcellane, pur non escludendo del tutto l’ipotesi di Johann George Heintze, assegnerei entrambe le miniature al pensiero pittorico di Christian Friedrich Herold, definendole più correttamente “nello stile di…” (nota 6). Entrambi infatti, come già evidenziato, si cimentarono (con enorme successo) nelle stesse tematiche utilizzando tavolozze simili e tratti pittorici non molto distanti (nota 7).
Tuttavia, volendo quasi in via speculativa “premiarne” uno in particolare, vedrei maggiormente nelle nostre porcellane  la “cifra stilistica” di Herold (e/o della sua “scuola”), cifra che traspare ad esempio nella postura di alcuni personaggi (qualcuno sempre accovacciato, seduto …), nella distribuzione delle figure (spesso una coppia di personaggi isolati dei quali uno in posizione anche frontale), nell’attenta definizione degli elementi zoomorfi (per noi straordinaria la pennellata del cavallo nella prima tazzina), nella distribuzione dei rapporti cromatici della scena oltre a un tratto pittorico più fluido e vibrante (vedi Menzhausen-Handt 1960).
Tali elementi, che ritengo di individuare anche nelle nostre porcellane, presi congiuntamente, distinguono il pensiero pittorico di Herold nelle scene di paesaggio, fluviale, di porto, mercantile, da egli dipinte.
A titolo di confronto si propongono due opere, una di mano certa di Herold ed una ufficialmente riportata come “nello stile” di Herold.
La prima è un’elegante caffettiera [Figura 15] con coperchio, collo, piede e beccuccio rivestiti da grossi tratti in oro. Al centro del corpo piriforme e sul coperchio sono dipinte da C.F. Herold delle Kauffahrteiszenen, in monocromo seppia-nerastro con tecnica Schwarzlot, un particolare tipo di decorazione nella quale il colore dello smalto utilizzato viene cotto nel materiale a una temperatura di 600 °C.

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Figura 15. Caffettiera dipinta da C.F. Herold, Meissen 1730-35, Londra, Victoria and Albert Museum.

Il secondo manufatto [Figura 16] è invece un piattino catalogato “nello stile” di Herold, con impianto scenico molto simile al nostro, presentato sopra nella Figura 2.
Cromie, stesura del tratto pittorico, movenze chiaroscurali sono praticamente identiche; anche la cornice Laub-und Bandelwerk, dall’uguale pigmento color pulce, è abbastanza vicina nei contenuti e nella definizione. A mio parere, opera della stessa mano.

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Figura 16. Piattino dipinto nello stile di Herold, Meissen 1740 circa, Cambridge, Harvard Art Museum.

I dipinti
Occupiamoci ora delle opere pittoriche, due tempere su tela che appaiono di notevole bellezza, assolutamente inedite e sottoposte, come premesso, all’attenzione della dottoressa Federica Spadotto, gli studi della quale hanno potuto evidenziarne le caratteristiche composito-stilistico-formali e stabilirne la paternità.

Scena di porto con barcaioli e villani
Il primo dipinto ci offre un’immagine di porto con viaggiatori su barche, contornata a sinistra da un grande albero e a destra da un arrampicarsi di arbusti intrecciati.
Il primo piano esalta dei popolani in attesa sulla riva di una spiaggia illuminati dalla luce solare, mentre in secondo piano, al centro della scena, una lingua peninsulare arredata da alberi e vecchia casupola ospita una febbrile attività con veliero alla fonda. Le piccole imbarcazioni nella rada, tipicamente fluviali o lacustri, qui probabilmente pensate quale veicolo di trasporto verso il più grande veliero, completano lo scenario [Figura 17].

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Figura 17. Andrea Porta, paesaggio, tempera su tela, cm. cm 43 x 28 (49 x 34 con cornice), Verona, settimo-ottavo decennio del XVIII secolo.

Si coglie un fluido e armonioso cromatismo, giocato sui toni dominanti dell’ocra, delle tenui espressioni del verde e del celeste-azzurrino.
La tela è inchiodata al telaio ed ulteriormente fissata con listelli perimetrali originali.
Il dipinto, corredato da cornice coeva (in legno di noce e dorata a mecca), è protetto da un vetro molto antico (qui non presentati).
Il dettaglio evidenzia lo scafo dell’imbarcazione con figure e un’altra piccola barca in secondo piano; sulla riva opposta, a ridosso di un costone roccioso, un imponente caseggiato con evidenti piloni d’attracco e figurette appena abbozzate, ma perfettamente individuabili [Figura 18].

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Figura 18. Particolare del dipinto di Figura 15 in cui i grossi rami dell’albero ospitano macchiette arbustive e una rete da pesca stesa ad asciugare.

Scena di porto con mercanti turchi
Nel secondo dipinto, Porta si cimenta con un’immagine di porto con veliero, pescatori e mercanti turchi in primo piano. Notevole appare la cura dei riquadri prospettici, con elementi architettonici a sinistra e quinte arboree a destra, mentre in secondo piano un veliero e una torre, simmetricamente disposti, delineano al meglio “l’imbuto prospettico” spingendo lo sguardo dell’osservatore verso il più lontano orizzonte dove l’articolato profilo costiero si stempera, tra acqua e aria, nelle meteorologiche dinamiche [Figura 19].

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Figura 19. Andrea Porta, paesaggio, tempera su tela, cm. cm 43 x 28 (49 x 34 con cornice), Verona, settimo-ottavo decennio del XVIII secolo.

Molto attenta la distribuzione dei pigmenti e la loro stesura, con armoniosa resa cromatica.
Il quadro presenta le stesse caratteristiche composite (tela, telaio, listelli, cornice e vetro di protezione) dell’opera gemella vista in precedenza.
Il dettaglio evidenzia il primo piano del dipinto con i due personaggi turchi al centro di contrattazioni con un popolano, mentre alcuni pescatori osservano interessati la scena; elementi antropici e naturalistici si fondono sulle rive costiere, con un castello a due torri che emerge imponente su un piccolo promontorio roccioso [Figura 20].

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Figura 20. Particolare del dipinto di Figura 17: acquirenti e venditori, la legge dei mercati.

Considerazioni storico-artistiche
Provenienti dal mercato antiquario e proposte all’acquirente come “tempere grasse su tela di scuola probabilmente romana, della prima metà del XVIII secolo”,  i due dipinti, “viaggiano” ancor oggi in condizioni di conservazione strepitosa. In prima tela, “mai toccati”, conservano cromie e stesure intatte, ben protetti nel tempo dai vetri, così come correttamente occorre adoperarsi quando si è in presenza di dipinti a tempera.
L’esame alla lampada di Wood, accertata in via preliminare dal collezionista – tra l’altro non affatto convinto di un’ipotetica scuola romana quale bacino pittorico di provenienza e ipotizzando molto più concretatamente un’area veneta delle stesse – ha appurato per entrambi la mancanza assoluta di ridipinture e/o interventi di altro genere, affidando pertanto alla dottoressa Spadotto la ricerca di quei parametri essenziali che potessero condurre verso un periodo storico, un’area, una bottega o meglio ancora verso l’esecutore materiale delle opere, studio che la ricercatrice, pur nella complessità comportata, ha magistralmente evaso.
Le prime considerazioni apportate dalla studiosa sono state il riconoscimento dell’ambito veneto delle pitture e la loro destinazione d’uso, laddove tempere di piccolo formato venivano stese quale “modelletto” per opere ben più grandi da realizzare nelle dimore nobiliari, in pratica gli affreschi.
Leggiamo dall’expertise:
“… La coppia di dipinti in esame va a buon diritto considerata una versione preliminare – generalmente chiamata modelletto – per gli esemplari ad affresco che il maestro veronese Andrea Porta (Verona, 1719/20-1805) realizzò durante la seconda metà del XVIII secolo nelle più prestigiose ville della provincia scaligera. Il medium usato dall’artista si rivela, infatti, particolarmente idoneo a rendere l’idea del risultato finale, in quanto possiede una consistenza affine alla tecnica su muro, oltre che ad una facies coloristica quasi identica …”.
Nella sua disamina la studiosa, dopo essersi  soffermata sull’origine della bottega dei Porta avviata dal padre Tomaso sin dal suo arrivo a Verona nel 1718 e gestita in seguito con il figlio Andrea, focalizza l’attenzione sulle tematiche pittoriche normalmente affrontate da quest’ultimo, prima insieme al padre e poi da solo, rilevando come le scene bucoliche, agresti e pastorali rappresentassero un espressione tipica della loro arte. In tale contesto la Spadotto evidenzia come, a differenza di lagunari ambienti raffigurati da altri maestri veneziani nei loro dipinti, in ambito veronese si sviluppasse maggior attenzione verso gli aspetti legati all’agricoltura ed al territorio, affermando il concetto di “santa agricoltura” quale fonte di benessere sociale ed economico delle nobiliari famiglie dell’entroterra.
Osservando le opere dei due maestri, in particolare di Andrea – pubblicate in vari testi [Figura 21] o presenti (come affeschi) in numerose ville venete, in musei, ecc. – non si può che condividere quanto appena suggerito dalla studiosa.

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Figura 21. Andrea Porta, paesaggio con fattoria e gregge all’abbeverata, affresco, cm. 180 x 270, Mezzane di Sotto (Vr), Villa Maffei (Butturini 1977, fig. 16).

Tuttavia, non c’era soltanto l’Arcadia o la “santa agricoltura”.
Infatti … “… le nostre tempere, si discostano dall’abituale repertorio campestre, per rivolgersi ad un ambito tematico oggi trascurato dalla storiografia artistica, sebbene annoveri numerose testimonianze pittoriche. I cosiddetti “porti di mare”, infatti, spesso popolati – come accade nel secondo esemplare – da personaggi con turbante ed abiti esotici, trovano vasta rappresentanza già agli esordi del secolo d’oro …” (Spadotto).
Quasi una novità, un’aggiunta al repertorio di Andrea Porta che nel Settecento avanzato, sulla scia di maestri lagunari quali Francesco Zuccarelli (Pitigliano, 15.08.1702 – Firenze, 30.12.1788), attinge ad una diversa e particolare tematica, le scene di porto, esprimendo al meglio le sua abilità descrittive ed interpretative “… con linguaggio schietto e vivace …” (Spadotto).

 

Kauffahrteiszenen e venete interpretazioni, le origini
Se differenti risultano i paesaggi raffigurati e differenti anche i supporti e le tecniche utilizzate nella rappresentazione pittorica, tanto le due tazzine con piattino quanto le due tempere su tela presentano, come ampiamente documentato, delle rilevanti e peculiari scene legate all’acqua e alle vie d’acqua.
Ma da dove proveniva questo filone decorativo?

In riferimento alle prime
Dalla metà degli anni Venti in poi e per tutti gli anni Trenta, i motivi a “cineserie”, precedentemente introdotti da Johann Gregorius Höroldt e che tanto successo avevano incontrato sui mercati, vennero affiancati da un nuovo tema pittorico: le scene di porto (nota 8), spesso (ma non sempre) con mercantile attività, definite, come già visto, con un temine tedesco un po’ particolare: Kauffahrteiszenen.
Esse traggono origine dalle incisioni tedesche di porti italiani fatte da Melchior Küsel (1626-1684) ad Augusta (Augsburg) verso la fine del XVII secolo (Honey 1946, pag. 86) e dalle stampe olandesi a tema paesaggistico della prima metà del XVII secolo di Jan van de Velde II (1593-1641) (vedi) [Figura 22].
Probabilmente furono soprattutto queste ultime ad innescare il nuovo motivo a Meissen.
Mari, laghi, canali e fiumi offrivano validi supporti iconografici per rendere alla gente la migliore interazione tra i flussi commerciali che solcavano le vie d’acqua e la pacatezza della vita rurale.

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Figura 22.  Jan van de Velde II, Pescatori presso la torre vecchia, acquaforte, cm. 20,3 x 26,7, mercato antiquario.

Tale continua interazione tradotta in grafica conquistò subito i mercati locali e contagiò ben presto i paesi limitrofi, approdando in Sassonia, dove fu tradotta su porcellana nella manifattura di Meissen.
Ed è esattamente la convivenza di tratti naturalistici e antropici quella che riscontriamo nei nostri manufatti, dove un’ansa fluviale, un piccolo porto o un semplice approdo, offrono spazio a popolani, viandanti, mercanti per accogliere il viaggiatore, godere di temporaneo riposo, o tuffarsi nelle commericiali attività.

E nelle tempere?
Le vie d’acqua del nord Europa raffigurate sulle porcellane, dove in un ambiente tranquillo e disteso, un quotidiano vissuto interseca a meraviglia mercantili interessi, lasciano il posto a contesti ambientali delle più basse latitudini, più mediterranei, tipiche espressioni dell’area italiana (e nelle nostre veneta in particolare), con più o meno veritieri porti di mare, fluviali o lacustri, nei quali una più intensa e dinamica movimentazione di mezzi e di persone diventa funzione scenica centrale, incastonata da splendide rive costiere, molto vicine a reali proiezioni geografiche dell’ambiente gardesano.
Ma se le prime traevano “aggancio” artistico alle incisioni olandesi, quali ispirazioni indussero in area veneta alcuni maestri vedutisti, paesaggisti, rinunciando talvolta alle arcadiche tematiche, a cimentarsi con raffigurazioni costiere e portuali?
Decisamente interessante quanto riporta ancora la dottoressa Spadotto nella sua expertise: “… Le Vedute di mare del grande maestro [Joseph Vernet (Avignone, 1714-Parigi, 1788)] circolavano in Veneto attraverso le incisioni (…)  eseguite da Fabio Berardi (Siena, 1728-Venezia, 1788), valente collaboratore di Joseph Wagner, presso la cui bottega fa il suo ingresso nel 1742” [Figure 23 e 24] (corrispondenti alle figure 2 e 3 del documento redatto da Spadotto).
Si noti come in entrambe le incisioni – due stampe di traduzione realizzate con la tecnica dell’acquaforte – compaia a sinistra il nome dello Zuccarelli con la dicitura “Fran. Zuccherelli dis.”. In altri termini un dipinto di Vernet veniva “disegnato” dallo Zuccarelli, per poi essere inciso su lastra e passato alle stampe dal Berardi.

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Figure 23 e 24. Incisioni di Fabio Berardi su disegno di Francesco Zuccarelli (da Joseph Vernet).

Ancora dal lavoro di Federica Spadotto:
“… Il confronto tra queste ultime ed i nostri esemplari evidenzia la medesima impaginazione, che vede l’imbuto prospettico delimitato da promontori rocciosi, che introducono la medesima torre, nell’identica posizione in secondo piano della seconda opera oggetto di studio …”.
Spiegazione chiarisima e puntuale che non necessita di aggiuntive considerazioni.
Ci permettiamo soltanto di constatare come, ancora una volta, le incisioni abbiano giocato un ruolo determinante nella creazione di uno specifico filone artistico. E non poteva essere differente dal momento che, in un’epoca scandita da ben altri ritmi e condizioni, il supporto grafico di una stampa portato in giro per paesi e città innestava nuova linfa nei tessuti culturali, veicolava immagini e messaggi, anche pubblicitari, e non c’era bisogno di Internet
Un’ulteriore, importante, considerazione.
Le nostre  scene di porto, dipinte a tempera su supporto tessile, si presentano con coreografie abbastanza simili: popolani, mercanti, imbarcazioni in un contenitore portuale meno ideale di quanto si possa pensare, ma con importanti distinguo legati alla presenza, in una delle due, dei mercanti turchi, a evocare particolari contesti storico-sociali scanditi dall’orizzonte motivazionale dell’autore e con magistrale perizia dal suo pensiero pittorico.
Perché i Turchi?
Riprendiamo quanto riferisce l’esperta:
“… Tali soggetti [leggi personaggi con turbante ed abiti esotici] venivano apprezzati dal pubblico veneziano, in quanto traducevano in pittura la vocazione mercantile e cosmopolita della Repubblica, legata all’Oriente per lunghissima tradizione. Lo stesso Zuccarelli vanta un discreto nucleo di dipinti “turcheschi”, divenuti una vera e propria moda che attraversa l’intero Settecento, grazie alla suggestione dei referenti francesi, tra cui spicca Joseph Vernet …”.
E poi ancora:
“… Su siffatta piattaforma referenziale Andrea innesta la coppia di mercanti turchi, vero e proprio leitmotiv della cultura figurativa veneziana legata alle scende di porto, che da metà Settecento annovera significativa rappresentanza negli apparati decorativi delle ville…”.
E infine:
“… L’ispirazione del Porta si allinea perfettamente al gusto del tempo, in special modo rispetto alla provincia, fisiologicamente “in ritardo” nel rielaborare quanto si andava formalizzando in Laguna, per tradurlo con un linguaggio schietto e vivace, dove la cronaca vince rispetto all’edulcorata narratività dei maestri veneziani”.
E almeno in questo caso non parleremo certamente di “bottega”, “cerchia”, “stile”, o “maniera”.

NOTE

[1] La studiosa, figura molto nota negli ambienti della critica pittorica e della storia dell’arte, dal 1999 arricchita da un prestigioso curriculum, è autrice di diversi testi e pubblicazioni sulla pittura veneta del Settecento e dei suoi artefici, con particolare riferimento all’espressione della veduta e del paesaggio. Risulterà sicuramente utile al lettore consultare, qualora lo desideri, il sito web dedicato http://www.spadottofederica.it.

[2] La grafia delle stesse con la pennellata più o meno “lunga”, più o meno “grassa”, con la presenza o meno di pomoli sull’elsa e così via, testimonia, dalle origini ai nostri giorni, un determinato periodo di fabbricazione più che un altro, ed è uno dei parametri esaminati dagli specialisti in una porcellana di Meissen.

[3] Come le corrispondenti “chicchere” di area italiana della metà del XVIII secolo (Capodimonte periodo Carlo III, manifattura Ginori a Doccia, ecc.), le tazze senza manico sono generalmente tipiche degli inizi di una manifattura, passando progressivamente all’ammanicatura delle stesse, dopo periodi più o meno brevi, per motivazioni tanto ergonomiche quanto estetico-espressive.
Nel linguaggio tecnico autoctono le nostre prendono il nome di Köppchen (una sorta di cappelletto, o cappuccetto, o berrettino, comunque capovolto).

[4] È purtroppo opinione diffusa, anche da diversi addetti ai lavori, che le lettere e/o i numeri dipinti in oro rappresentino il simbolo di un doratore (e persino del pittore…) e pertanto lo identifichino. Niente di più sbagliato.
Tali caratteri erano apposti sì dal doratore ma non per identificarlo, bensì per facilitare l’univoca aggregazione di tutti i pezzi di uno servizio, visto l’elevato numero di stoviglie (e non solo) che la manifattura di Meissen produceva; in altri termini era un necessario “passaggio logistico” all’interno dell’opificio ad uso soprattutto dei magazzinieri, dei consegnatari ecc. (cfr. Bode-Dohme-Jordan-Lippmann, 1893 pp. 224-226; Honey 1946, p. 167; Syz-Jefferson Miller-Rückert 1979, p. 591).

[5] Per una più attenta disamina sui pittori di Meissen nel periodo qui preso in esame, soprattutto in riferimento agli hausmaler (pittori a domicilio, che operavano al di fuori della manifattura…) si rimanda ad un interessante lavoro di Alessandro Biancalana, in sei parti, la sesta delle quali affronta il complesso argomento (Biancalana 2022).

[6] Si preferisce riferire “nello stile di Herold” e non “mano di C.F. Herold” perché non esistono i dati oggettivi sufficienti per poterlo certificare. Vediamo perché.
Nella manifattura di Meissen raramente i pittori su porcellana firmavano le loro opere, anzi per disposizioni aziendali, era praticamente vietato farlo!
È pur vero che si trovano (per quanto molto raramente) delle firme “occluse”, nascoste, mimetizzate in angoli particolari di una porcellana dipinta, così come è pur vero come alcuni pezzi per la casa reale o per altri importanti committenti venissero siglati ufficialmente avendo avuto una sorta di autorizzazione, quasi in deroga, ma la norma era sicuramente l’espresso divieto di firma. E questo valeva per tutti i decoratori, il nostro compreso.
Oggi, istituzioni museali, importanti case d’asta ecc. preferiscono, in mancanza di elementi certissimi di attribuzione al maestro (molto rari), presentare un oggetto – che pur avrebbe tutte le carte in regola per essere stato dipinto da C.F. Herold – “nello stile di Herold”.
Anche perché moltissime porcellane dipinte con le scene di porto nel decennio tra la metà degli anni Trenta e la metà dei Quaranta, presentano sì un notevole livello qualitativo, spesso eccellente, tuttavia non sufficiente per l’attribuzione alla mano diretta di Herold, vista la presenza nel laboratorio di pittura di altri pittori (inizialmente probabili allievi) che lo affiancavano.
Si precisa infatti che oltre Herold, per tutti gli anni Trenta, vi furono sei pittori che si cimentarono nelle scene di porto (Syz-Jefferson Miller-Rückert 1979, p. 101), per arrivare ad una decina intorno alla metà degli anni Quaranta.
Noi ovviamente allineandoci con tale corretta linea di pensiero, preferiamo riferire “nello stile di Herold”.

 [7] Si riporta quanto leggiamo testualmente in una scheda tecnica redatta per una tabacchiera in porcellana di Meissen e conservata presso il Museo Gianetti di Saronno:
“… Notizie storico-critiche: La resa pittorica delle scene di porto miniaturizzate è molto raffinata. Il genere “Kauffarhteiszenen” (scene di commercio di porto fluviale o marittimo) si impone a Meissen a partire dal 1730 e costituisce un’iconografia peculiare della manifattura.
Si ritiene che i pittori di Meissen utilizzassero tavole di modelli, appositamente eseguite per la manifattura, nelle quali sono accostati soggetti tratti da diverse stampe del XVII secolo, della cerchia dei pittori olandesi italianizzanti. È quasi impossibile attribuire tali scene di porto ad un maestro in particolare, giacché i pezzi firmati sono rarissimi; tuttavia, Johann George Heintze, – attivo dal 1720 al 1749 – e Christian Friedrich Herold (1770-1779) sono fra i pittori di Meissen che si dedicarono a questo genere con maggiore continuità” (vedi).
Personalmente mi permetto di aggiungere, anche con maggior successo.

[8] Esistono tazzine e similari stoviglie con scene ancora a cineserie ma proiettate su sfondi “paesaggistici europei”, quindi testimoni di una prima presenza delle nuove tematiche pur ancorate alle precedenti con straordinaria integrazione pittorica; databili intorno alla seconda metà degli anni Venti del XVIII secolo sono attribuibili con molta probabilità alla mano diretta Christian Friedrich Herold.

Bibliografia citata
-W. Bode, R. Dohme, M. Jordan, F. Lippmann, Jahrbuch der Königlich Preussichen Kunstammlungen, Vierzehnter, Berlin 1893.
W. B. Honey, Dreden China, London 1946
Ingelore Menzhausen-Handt, Christian Friedrich Herold. Über das Erkennen eigenhändiger Malereien auf Porzellan und Email, Mitteilungsblatt , Keramik-Freunde der Schweiz heft 50, Zürich, 1960.
-F. Butturini,Tomaso, Andrea Porta e Agostino. Paesisti Veronesi del Settecento, Verona 1977
-Hans Syz, J. Jefferson Miller II, Rainer Rückert, Catalogue of The Hans Syz Collection. Meissen Porcelain and Hausmalerei, Smithsonian Institution Press, Washington 1979
-R. Rückert, Biographische Daten der Meissener Manufakturisten des 18. Jahrhunderts, München Bayerisches Nationalmuseum 1990.
F. Spadotto, Tomaso Porta vedutista, Sommacampagna 2013.
-F. Spadotto, Paesaggisti veneti del ‘700, Minelliana 2014.
-A. Biancalana, Gli hausmaler su porcellana: un fenomeno complesso e ancora poco conosciuto. Parte VI (maggio 2022) [Leggi].

Dicembre 2023
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