Coppia di commodes firmate Giuseppe Colombo detto Mortarino

di Cristina Corsi

Linee mosse e curve disegnano la sagoma bombata di queste due commodes a pieds eleves, interamente rivestite da un’impiallacciatura in legni esotici, che fa da sfondo sul fronte e fianchi, ad intarsi raffiguranti panoplie ed allegorie musicali. Completano la decorazione importanti ed inusuali montature bronzee, raffiguranti leoni affrontati e zampe belluine, e un piano altrettanto anomalo, di alabastro cotognino, incassato, profilato da una bordura intarsiata [Figura 1].

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Figure 1. Giuseppe Colombo detto Mortarino, cassettone (uno di una coppia), 1775, Mantova, Palazzo d’Arco.

Un cartellino all’interno recita: 1775 Adi 9 Mago fecit Gosepe Colombo deto il Mortarino [Figura 2].

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Figura 2. Particolare del cassettone di Figura 1.

Ma facciamo un passo indietro.
Non sappiamo molto circa questo ebanista il cui nome compare in due documenti, conservati presso l’Archivio storico di Milano: “Osservazioni fatte dal Corpo degl’Individui dè Legnamari sopra i libri, e le Scritture della loro Università esistenti negli Atti del Supremo Real Consiglio” e nell’ “Instrumento della Abolizione e Sopressione della
Università o sia Scuola dei Falegnami della città di Milano”datato 11 Gennaio 1773, presso il medesimo Archivio (nota 1).
Originario di Mortara, piccolo paese della Lomellina, da cui deriva il soprannome, teneva bottega a Milano in Porta Ticinese.
Noto alla critica è un esiguo gruppetto di mobili, alcuni conservati in collezioni private, altri transitati sul mercato antiquario; due datati e firmati, e gli altri a lui riconducibili per evidente somiglianza.
Questo ristretto corpus comprende per lo più commodes a pieds eleves, molto simili tra di loro, sia per quanto riguarda la struttura, sia per quanto riguarda il rivestimento.
Il modello adottato consiste in una declinazione, in forma del tutto dialettale, dei più raffinati prototipi rocaille di gusto internazionale. Una costante, è l’utilizzo della radica di noce, poco costosa e molto diffusa in Lombardia, che fa da supporto ad ingenue e timide cartuches svolazzanti, intarsiate in legno di bosso o acero; modello, che si ripete sempre uguale a se stesso, e che ci restituisce l’idea di un artigiano modesto e di scarsa immaginazione.

Ma non era del tutto così, Mortarino non era solo questo.
Nel 1983 appare sul mercato (Asta Finarte) una commode, che pur mantenendo inalterata la consueta foggia, spiccatamente rocaille, mostra una decorazione già in linea con il nascente gusto neoclassico, intarsiata inoltre su di uno fondo, non più in radica, ma in legni esotici.
Enrico Colle, rende in seguito noto, nel 1995, un inginocchiatoio rivestito in bois de violette, oggi conservato nella Fondazione Morando Bolognini a Sant’Angelo Lodigiano, che reca la firma e la data “Guseppe Colombo deto il mortarino 1774 decembre adi 8” che presenta le medesime caratteristiche (nota 2).
La nostra coppia di comò può essere, a buon titolo inserita, per le evidenti assonanze, a questo ancor esiguo gruppetto di mobili.
Tali arredi dimostrano e confermano la personalità di un artigiano che, oltre ad essere in possesso di una certa abilità tecnica, denuncia un gusto perfettamente aggiornato a quanto si andava producendo al di là delle Alpi.

La scelta iconografica delle decorazioni e il lessico ornamentale traggono certamente ispirazione dai repertori a stampa parigini che si stavano diffondendo in maniera capillare attraverso tutta l’Europa, proponendo un ornato “alla nuova maniera”, secondo il moderno gusto neoclassico.
Anche il modello della struttura, al quale resta più o meno fedele, apportando irrilevanti modifiche, risulta tutto sommato meno sgraziato e più riuscito, se confrontato con alcune opere licenziate negli stessi anni da Maggiolini o dalle coeve botteghe lombarde.
Ma l’assoluta straordinarietà ed unicità dei nostri, rispetto a tutti gli altri menzionati, non consiste né nell’invenzione, né nella qualità tecnica degli intarsi, che seppur buona non potremmo definire straordinaria, né nella profusione dei bronzi, probabilmente fusi ad hoc, ma nella presenza dei bellissimi piani in alabastro cotognino.
Questi, pittoricamente superbi, sono i veri ed indiscussi protagonisti di questo progetto d’arredo, incassati e profilati a mo’ di cornice da un’importante bordura lignea intarsiata.
Insomma si tratta di un unicum, almeno ad oggi, all’interno del panorama dell’ebanisteria lombarda [Figure 3 e 4].

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Figure 3 e 4. Particolari del cassettone di Figura 1.

L’importante ed eminente famiglia Cavriani, che qualche decennio prima aveva fatto ristrutturare il palazzo dal rinomato architetto bolognese Alfonso Torreggiani, probabilmente già in possesso degli splendidi e costosissimi marmi antichi, commissiona al nostro, le due commodes, che puntualmente esegue dimostrandosi perfettamente all’altezza del compito.
Attraverso il programma iconografico, basato su trofei militari, e sulla presenza dei leoni quali maniglie e bocchette, si voleva forse restituire una memoria di ordine militare, e forza, ed inoltre sottolineare la magnificenza della famiglia grazie proprio all’utilizzo degli splendidi marmi. Ma di questo la sottoscritta si sta occupando attraverso le notizie d’archivio.
L’unica sfortuna del nostro ebanista fu probabilmente quella di dover condividere la scena con il grande Maggiolini, astro illuminato della scena milanese, ma in virtù di questa scoperta si può gettare una nuova luce sulla sua figura, e scrivere un nuovo capitolo, importante, per la ricostruzione della sua vicenda artistica.
Grazie alla munifica donazione da parte del Marchese Federico Cavriani alla Fondazione Palazzo d’Arco, i due mobili, fino ad oggi sconosciuti agli studi, possono essere finalmente ammirati [Figure 5-7].

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Figure 5-7. Particolari del cassettone di Figura 1.

NOTE

[1] Legnamari” attivi a Milano nella seconda metà del Settecento tra associazioni e libera iniziativa (15.11.2009) [Leggi ].

[2] E. Colle, Il Mobile Rococò in Italia, Electa, Milano 2003, p.3 95.


Prima pubblicazione: Antiqua.mi, luglio 2016

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