Giudizio di Paride o leggenda del re di Mercia

di Attilio Troncavini

Vorrei affrontare o meglio vorrei tornare su una questione iconografica relativa a una serie di placchette il cui soggetto viene interpretato talvolta come Giudizio di Paride ovvero come Leggenda del re di Mercia.
Riassumo rapidamente le due scene che si vorrebbe fossero rappresentate.
Nel Giudizio di Paride, Mercurio viene incaricato da Giove di portare Giunone, Minerva e Venere da Paride, giovane troiano considerato il più bello tra i mortali, perché scegliesse la più bella delle tre consegnandole una mela d’oro con l’iscrizione “alla più bella” (per la cronaca, vinse Venere). Per quanto riguarda la Leggenda del re di Mercia, si narra che un certo Alfredo III di Mercia (personaggio d’invenzione privo di radici storiche) si fosse recato presso Guglielmo di Albanac nel suo castello vicino a Grantham nel Lincolnshire dove, colpito dalla bellezza delle tre figlie di Guglielmo, pare meditasse di prenderne una come sua amante. Avutone il sospetto, Guglielmo recò le figlie nude davanti al re di Mercia, minacciando di ucciderle tutte a meno che lui non decidesse di prenderne una in sposa; allora Alfredo scelse una delle tre e la prese in moglie (nota 1).
Inizio a mostrare la prima placchetta in cui si vede un uomo in armatura, dormiente, e accanto a lui tre fanciulle che si stanno spogliando delle loro vesti (la prima da destra solleva la veste, quella al centro è ancora completamente vestita, quella di sinistra mostra il ventre e le gambe nude); dietro l’uomo armato si nota un pozzo e sopra una figura regale all’interno di una corona di nuvole [Figura 1].

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Figura 1. Leggenda del re di Mercia (?), placchetta in bronzo, diametro mm. 54, Firenze, Museo del Bargello, inv. 484.

Questo esemplare è conservato al Museo del Bargello di Firenze, classificato da Giuseppe Toderi e Fiorenza Vannel nel catalogo del 1996 come Giudizio di Paride e giudicato come opera francese con influssi fiamminghi databile al primo quarto del XVI secolo (Toderi-Vannel 1996 p. 183).
Nello stesso catalogo si percorre la storia critica di questa placchetta che vede diversi autori attribuirle soggetti, epoca e provenienza diversa, ma, in questa sede, vorrei concentrami esclusivamente sugli aspetti iconografici.
Di questa placchetta e di questo argomento si era già occupato esaustivamente Emile Molinier a fine Ottocento pubblicando una medaglia e altre due placchette con il medesimo soggetto, ritenendole tutte una raffigurazione della Leggenda del re di Mercia (Molinier 1866, p. 176-183 nn. 709-713) [Figure 2 e 3].

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Figura 2. Leggenda del re di Mercia (?), medaglia in bronzo (recto), Molinier n. 710 (coll. F. Spitzer).

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Figura 3. Leggenda del re di Mercia (?), placchetta (disegno), Molinier n. 711 (coll. L. Courajod).

Nel volume di Molinier, la placchetta di Figura 1 reca il n. 712, mentre la placchetta n. 713, di cui non mostra l’immagine è identificabile nella seguente, dove si vede un uomo barbuto in armatura, giacente nella stessa posizione in cui nell’iconografia classica vengono rappresentati i fiumi; di fronte a lui un uomo con un cappello dotato di ali e dietro di questo tre fanciulle nude; in basso a sinistra si vede una mela [Figura 4].

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Figura 4. Leggenda del re di Mercia (?), placchetta in bronzo dorato (fonte wikipedia commons).

Anche di questa placchetta esistono diverse versioni, ad esempio quella del Museo del Bargello di Firenze (inv. 232) che il catalogo del 1996 già citato considera, anche in questo caso, come Giudizio di Paride (Toderi-Vannel 1996 pp. 217-218 n. 384), oppure quella dei Musei Civici di Brescia, catalogata da Francesco Rossi nel 1974 come Leggenda del re di Mercia, (Rossi 1974 p, 153-154 n. 100).
Effettivamente, la presenza della mela e, soprattutto, il cappello alato che è un attributo di Mercurio potrebbe far pensare al Giudizio di Paride.
Quali sono gli argomenti addotti da Molinier per ritenere che tutte le placchette considerate raffigurino Leggenda del re di Mercia?
Dopo aver narrato la vicenda, più o meno nei termini di cui sopra, Molinier cita un’incisione che riproduce esattamente lo stesso soggetto attribuita a Dürer e intitolata Giudizio di Paride.
Penso si tratti dell’incisione che ho tratto dal volume dedicato a Dürer nella collana The Illustrated Bartsch (TIB) curata da Adam von Bartsch citato da Molinier [Figura 5, nota 2].

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Figura 5. Dürer o Jorg Breu (?), Giudizio di Paride, 1540 circa, incisione.

Molinier sostiene che vi sia un nesso tra Leggenda del re di Mercia e Giudizio di Paride, derivante da un’errata interpretazioni delle fonti figurative, fa altri esempi e conclude “Un semplice colpo d’occhio dato alle placchette mostra chiaramente che la leggenda del re di Mercia deriva direttamente da una qualunque rappresentazione del giudizio di Paride” (Un simple coup d’oeil jeté sur le plaquettes montre clairement que la légende du roi de Mercie dérive directement d’une répresentation quelconque du jugement de Pâris).
Per cui le tre dee diventano le figlie, il copricapo alato di Mercurio un berretto, il caduceo uno scettro e la mela, talvolta, il globo simbolo del potere imperiale.
A supporto della sua teoria, Molinier cita, infine, un’incisione tedesca attribuita a un ignoto maestro del 1464 (all’interno di un manoscritto conservato nella Biblioteca di Monaco di Baviera), del tutto conforme alle placchette, ma recante le iscrizioni “Troien, Iuno, Pallas, Venus”; quindi, in questo caso, la leggenda è tornata al punto di partenza (… mais cette fois, la légende est revenue à son point de départ).
Non ho reperito l’incisione (citata anche da Toderi e Vannel, sempre a proposito della placchetta di Figura 4), ma sono in grado di mostrare un affresco che si trova a Issogne in Val D’Aosta [Figura 6], in cui si vedono le tre fanciulle seminude, il guerriero dormiente e un uomo alato e, accanto a ciascuno, si leggono i rispettivi nomi “Pallas, Iuno, Venus, Parris e Mercurius”.

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Figura 6. Giudizio di Paride, affresco, Castello di Issogne, sala baronale.

Dunque, secondo Molinier, l’iconografia delle placchette raffiguranti la Leggenda del re di Mercia deriva dal Giudizio di Paride.
E se in qualche caso fosse vero il contrario?
Citando l’incisione di “Dürer” e quella del Maestro del 1464 era sulla buona strada.
Parto da un dipinto di Lucas Cranach dal titolo Giudizio di Paride [Figura 7], esposto a Milano all’interno della mostra su Dürer (2018) per spiegare lo svolgimento di questo soggetto mitologico in chiave “non-classica” riallacciandosi a raffigurazioni di epoca medioevale.

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Figura 7. Lucas Cranach il Vecchio, Giudizio di Paride, Fort Worth, Kimbell Art Museum (Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia, a cura di Bernard Aikema, Milano 2018, p. 28 fig. 8).

I rapporti con le placchette in discorso, soprattutto con quella di Figura 4 (il re Guglielmo con il petaso alato, il cavallo legato all’albero …) mi sembrano evidenti.
Mi sono chiesto allora come fosse possibile che questo e numerosi altri dipinti esposti nei musei e pubblicati in letteratura continuassero a recare come titolo il Giudizio di Paride e non la Leggenda del re di Mercia come suggeriscono Molinier e altri, pur nel ristretto ambito delle placchette in bronzo.
Penso che gli artisti che abbiamo citato come Dürer e Cranach e altri pittori che hanno trattato il soggetto, non a caso in prevalenza nordici, abbiano voluto adattare un’iconografia a loro famigliare per tradizione, quella della Leggenda del re di Mercia per rappresentare il Giudizio di Paride, facendo derivare quindi il Giudizio dalla Leggenda e non viceversa (nota 3).
Tornando alle placchette, se ne conclude che entrambi i titoli, a seconda dei punti di vista, possono risultare corretti. In altre parole, se le considerassimo tutte delle raffigurazioni della Leggenda del re di Mercia, dovremmo rivedere i titoli di centinaia di dipinti sparsi per il mondo.
L’ipotesi di un adattamento dell’iconografia della Leggenda per rappresentare il Giudizio, sebbene plausibile nei termini sopra evidenziati di una reazione “anti-classica”, sconta tuttavia una grossolana ignoranza, spero deliberata, proprio della cultura classica.
Non vorrei peccare di presunzione e soprattutto non vorrei semplificare troppo la questione, ma mi pare che vi siano alcuni aspetti incontrovertibili finora trascurati o poco considerati.
Paride viveva come un pastore e anche se verrà coinvolto nella guerra di Troia, il fatto di rappresentarlo armato di tutto punto mi sembra un errore filologico (senza contare che veste un’armatura medioevale).
Ma ancor più, la raffigurazione di tre fanciulle nude, dovendosi trattare delle tre dee che si sottopongono al giudizio di Paride, si addice sicuramente a Venere e forse a Giunone, ma è profondamene in contrasto con l’indole di Minerva che viene tramandata come vergine guerriera e pudicissima (nota 4).

NOTE

[1] Ho semplificato al massimo la narrazione traendola da più fonti che, in entrambi i casi, variano sensibilmente.

[2] Non ho avuto modo di verificare, ma potrebbe essere l’incisione oggi attribuita a Jorg Breu il giovane (1540 circa) citata sia da Rossi, sia da Toderi e Vannel a proposito della placchetta di Figura 4.

[3] Si tenga presente che in tutte le immagini considerate (tranne che nel dipinto di Kranach di Figura 7), compare una fontana, identificabile con la Fonte della giovinezza, leggendaria sorgente simbolo d’immortalità ed eterna giovinezza che appare spesso nella mitologia medioevale.

[4] È risaputo che Minerva ci tenesse molto a vincere la sfida con le altre dee e che, a seguito del giudizio di Paride, fece di tutto per avvantaggiare i Greci nella guerra di Troia [Vedi].
Ciò che è meno noto è che per competere alla pari, soprattutto con Venere, pare che Minerva si fosse presentata nuda e con la pelle resa lucida con l’olio e questo contrasterebbe con la sua pudicizia.
Lo si può desumere dall’inedita traduzione di un brano degli Inni di Callimaco (per cui ringrazio Eugenia Fantone); nell’inno V (Per i lavacri di Pallade), alla vigilia del Giudizio di Paride, al verso 25, si legge: “… [Pallade-Atena-Minerva] con arte esperta si massaggiò usando semplici unguenti, stirpe del suo stesso virgulto [ossia l’olio, sacro ad Atena], o fanciulle, e il rossore si diffuse sulla pelle …”. Poco oltre, al verso 100, alludendo all’accecamento di Tiresia per averla vista nuda, si legge: “… Chiunque, se non lo scelga il dio stesso, un immortale guardi, a gran prezzo paga tale visione”, come a dire “mi mostro nuda solo a chi voglio io!”.

Bibliografia citata
-Emile Molinier, Les bronzes de la Renaissance. Les plaquettes, catalogue raisonné, Parigi 1886.
-Francesco Rossi, Musei Civici di Brescia. Placchette. Secoli XV-XIX, Neri Pozza, Vicenza 1974.
-Giuseppe Toderi-Fiorenza Vannel, Fiorenza, Placchette secoli XV-XVIII nel Museo nazionale del Bargello, SPES, Firenze 1996.

Maggio 2021

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Post scriptum
(6.1.2024)
Ci è stato segnalato che l’incisione di Figura 5 è attribuibile all’incisore (xilografo) Hans Springinklee (1490/1495 circa- 1540 circa), tedesco di Norimberga, allievo di Albrecht Durer.