I quattro santi Coronati in un arazzo fiammingo di inizio Cinquecento
della Redazione di Antiqua

Tra i ventuno arazzi della collezione Cagnola di Gazzada (Va), quello raffigurante una Madonna con Bambino, angeli e i quattro santi Coronati [Figura 1] è il più antico e di gran lunga il più complesso e importante.

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Figura 1. Artefice fiammingo (Bruges ?), Madonna con Bambino, angeli e i santi Coronati, 1502 (?), arazzo lana e seta, cm. 95×326, Gazzada (Va), Collezione Cagnola, Inv. AR.01. Non si hanno notizie di come l’arazzo sia pervenuto alla Collezione Cagnola.

Al centro è collocata una Madonna con Bambino in trono attorniata da angeli; uno consegna al Bambino un garofano, simbolo della Passione, gli altri sono intenti a suonare strumenti musicali. Ai due lati del trono sono disposti simmetricamente i cosiddetti santi Coronati, ossia Nicostrato, Sinforiano, Simplicio e Castorio, che la tradizione identifica come quattro marmorari cristiani messi a morte sotto Diocleziano per essersi rifiutati di scolpire idoli pagani; i loro nomi si leggono chiaramente sui cartigli che gli stessi reggono insieme alla palma del martirio.
I vari personaggi sono collocati all’interno di una loggia oltre la quale si vede un paesaggio.
Nell’ottimo saggio all’interno del volume dedicato alle arti decorative della Collezione, Nello Forti Grazzini (Grazzini 1999, p. 11 e ss.) giunge a sostenere che potrebbe trattarsi di un arazzo commissionato nel 1502 dai rappresentanti della Scuola dei SS. Quattro Coronati, che raccoglieva scultori e scalpellini attivi nel Duomo di Milano. L’arazzo, prodotto nelle Fiandre, era destinato a fungere da paliotto per un altare patrocinato da detta Scuola nella stessa Cattedrale, come risulta dai documenti (“fieri fecisse in Fiandra pallium unum ex razza pulchrissima pro altare suo quattuor coronatorum”).
L’analisi stilistica sembra confermare quest’ipotesi in modo del tutto convincente. L’arazzo è di produzione fiamminga, come denunciano la fattura e la cromia, così come fiammingo sarebbe il cartonista per una serie di dettagli figurativi, tra i quali le “case strette e slanciate, con alti timpani gradinati, tipiche dell’area franco-fiamminga” e numerosi confronti con arazzi brussellesi del primo Cinquecento. Per contro, la disposizione delle figure si attiene allo schema compositivo tipicamente italiano della “Sacra conversazione” che vede la Madonna al centro e alcuni santi ai lati. Inoltre, non sfugge la circostanza che i nomi dei santi sono scritti in italiano.
Per la concomitanza di questi fattori, l’arazzo sarebbe stato tessuto su committenza italiana nelle Fiandre, basato sul cartone di un pittore fiammingo aggiornato sui moduli stilistici del Rinascimento italiano, forse per aver soggiornato in Italia, come spesso accadeva nell’ambito del vivace interscambio culturale tra il nostro paese e il Nord dell’Europa tra Quattro e Cinquecento.
Riferiamo per completezza che Grazzini ipotizza un pittore della cerchia di Gérard David, il quale aveva la sua bottega a Bruges dove si registrava una nutrita presenza di mercanti italiani.
L’arazzo Cagnola costituisce una rarità sul piano cronologico e stilistico, ossia, per dirla con Grazzini: “la più precoce testimonianza dell’impiego di stilemi rinascimentali italiani in una tappezzeria tessuta da artisti fiamminghi fuori dall’Italia”.
L’arazzeria fiamminga, come la pittura, tende generalmente ad assiepare più personaggi in uno spazio relativamente ristretto per accentuare il carattere dinamico e partecipativo della scena. Ciò avviene non solo in epoca barocca quando gli arazzi fiamminghi hanno la loro massima diffusione.
Proponiamo un confronto con un arazzo conservato all’interno del Museo del Duomo di Milano fin dalla sua apertura nel 1935 [Figura 2], sottoposto tra l’aprile 2012 e il giugno 2013 a un importante restauro (Nicastro 2014, p. 79-86).

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Figura 2. Artefice fiammingo, Crocifissione, arazzo, Milano, Museo del Duomo.

E’ probabile che il committente sia stato il cardinale Georges I d’Amboise, arcivescovo di Rouen e primo ministro di Luigi XII, spesso presente a Milano durante la dominazione francese tra il 1500 e il 1510, il quale lo fece tessere per il Duomo di Milano dove veniva appeso in occasione del Venerdì santo in Sacrestia Capitolare.
Si noti non solo il numero delle persone sulla scena, ma il loro affaccendarsi; anche i semplici astanti gesticolano e discutono animatamente.
Questa impostazione della cultura fiamminga non viene meno anche quando l’arte italiana viene assunta come fonte di ispirazione quasi letterale. A questo proposito, possiamo mostrare una Deposizione eseguita a Ferrara da Rogier van der Weyden attorno al 1450 [Figura 3] che si ispira alla Deposizione del Beato Angelico dipinta attorno al 1438-40 nella predella per la pala destinata all’altar maggiore della chiesa conventuale di san Marco a Firenze [Figura 4].

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Figura 3. Rogier van der Weyden, Deposizione, 1450 circa, olio su tavola 110×96, Firenze, Uffizi.

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Figura 4. Beato Angelico, Deposizione,1438-40 circa, tavola 38×46, Monaco, Alte Pinakothek.

Si può notare come il legame si risolva nel particolare dell’apertura rettangolare del Sepolcro ma “La composizione pausata e solenne dell’Angelico, ordinata rigorosamente in piani successivi, diviene nell’opera del fiammingo più affollata e complessa” (De Vecchi-Cerchiari 1995, p. 97, figg. 220 e 221 qui riprodotte)

Bibliografia citata
-Nello Forti Grazzini, Fasto lombardo. Gli arazzi di casa Cagnola, in AAVV, La collezione Cagnola. Le arti decorative, Nomos, Busto Arsizio (Va) 1999.
-Viola Nicastro, L’arazzo con la Deposizione dalla Croce del Museo del Duomo di Milano. Problematiche dell’intervento conservativo e della proposta espositiva in Cronache 5. Estratti delle tesi di Laurea Magistrale del Corso quinquennale a Ciclo Unico in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali [La Venaria Reale], Editris, Torino 2014 (vedi anche bibliografia ivi citata).
-Pierluigi De Vecchi-Elda Cerchiari, Arte nel tempo. Dal Tardogotico al Rococò, Bompiani, Milano 1995 (VIII ristampa).