Il Cristo portacroce del museo Baroffio

di Laura Marazzi

L’opera [Figura 1] proviene dal Monastero delle Romite Ambrosiane che si trova presso il Santuario del Sacro Monte sopra Varese.

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Figura 1. Cristo portacroce, Tempera su tela incollata su tavola cm. 90 x 64 (senza cornice cm 56 x 43), XVI secolo, Museo Baroffio e del Santuario del Sacro Monte sopra Varese (Inv. 89).

La didascalia d’epoca, appartenente alla tipologia utilizzata per il primo Museo del Santuario, aperto nel 1900, recita infatti: GESÙ CHE PORTA LA CROCE, OPERA DEL PRINCIPIO DEL 1500, DEPOSITO DEL MONASTERO DELLE MADRI AGOSTINIANE.
Inoltre, in una lettera custodita nell’Archivio del Santuario di S. Maria del Monte (APSMM, Sezione storica, Santuario, cartella V, fascicolo I, 21 febbraio 1901), Lodovico Pogliaghi definisce il dipinto come “Cristo che porta la Croce già depositatovi dal Monastero”. Curiosamente il dato legato alla provenienza non ritorna nel primo catalogo del Museo del Santuario (L. Pogliaghi-L. Riva, Catalogo degli oggetti preziosi d’arte e d’antichità raccolti nel museo appartenente al Santuario di Santa Maria del Monte sopra Varese, Varese, 1905), dove si cita il “Dipinto a tempera su tela rappresentante Cristo che porta la croce, con cornice dell’epoca scolpita, dipinta e dorata. Opera di buon artista della fine del secolo XV”, e neppure nel Del Frate, che riporta la stessa definizione del catalogo Pogliaghi-Riva (C. Del Frate, S. Maria del Monte sopra Varese, Chiavari, 1933, p. 182).
Non è difficile immaginare la pertinenza del Cristo portacroce entro le mura del Monastero delle Romite per la centralità, nella loro vita e spiritualità, della meditazione sulla Passione.
Il dipinto dipende strettamente dalla stampa di anonimo xilografo lombardo, conservata nel Kupferstichkabinett di Berlino e datata tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo [Figura 2], come ha sottolineato Silvia Bianchi durante il convegno L’utilizzo dei modelli seriali nella produzione figurativa lombarda nell’età di Mantegna (Milano, Castello Sforzesco, 10 – 11 giugno 2008) il cui intervento è stato pubblicato negli atti relativi (L’incisione lombarda tra Quattro e Cinquecento: alcune testimonianze di scambi con altri ambiti artistici, in Rassegna di Studi e di Notizie, vol. XXXV – anno XXXIX, Milano, 2012, p. 55 e p. 218).

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Figura 2. Cristo portacroce, xilografia, Berlino, Musei Statali, Gabinetto stampe e disegni (Inv. 82-1883). Crediti fotografici: Volker-H. Schneider, 2013. Foto Scala, Firenze/BPK, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin.

Oltre alle derivazioni pittoriche dall’incisione indicate dalla Bianchi, si segnala ora un Cristo portacroce [Figura 3] del Palazzo Vescovile di Brescia (Nel lume del Rinascimento. Dipinti, sculture ed oggetti della Diocesi di Brescia, Brescia, 1997, n. 17, p. 64).

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Figura 3. Cristo portacroce, olio su tavola cm. 55×45, fine XV secolo, Brescia, Palazzo Vescovile.
Ringraziamo Mirka Pernis e Ivana Ortolani della Curia diocesana di Brescia, Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici, per aver concesso anche a noi di riprodurre l’immagine del Cristo portacroce conservato nel Palazzo Vescovile di Brescia.

Nel complesso si tratta di opere destinate alla devozione privata che testimoniano come nelle botteghe lombarde tra Quattrocento e Cinquecento le incisioni servissero, al pari di disegni e cartoni, per la diffusione di invenzioni artistiche.
L’ultimo restauro, effettuato nel 2000, ha fermato il degrado del Cristo portacroce oggi al Museo Baroffio, restituendo una lettura sufficiente della superficie pittorica, per quanto molto povera e lacunosa.
Cristo è raffigurato a mezzo busto e di profilo. Porta la croce sulla spalla destra con le mani che si dispongono in modo quasi identico all’incisione (è leggermente variata la posizione del pollice sinistro, differenza che si registra anche nel dipinto bresciano). Ha la barba e i capelli lunghi fino alle spalle. Indossa una veste bianca il cui scollo è decorato, analogamente alla stampa, mentre il mantello rosso ha una fascia con decorazioni d’oro non presente nel modello. All’evidente corona di spine fa da contrappunto l’aureola con la croce iscritta. Benché si evidenzi una fascia ridipinta sulla tela in basso, è azzardato ipotizzare che in origine nel dipinto ci fosse la citazione che compare nella parte inferiore della xilografia, in cui è scritto: “Qui vult post me venire abneget semet ipsum et tollat crucem suam et sequatur me” (“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” Matteo 16, 24). È l’identica esortazione che compare nello splendido Cristo Portacroce tra due schiere di monache, attribuito a Bernardino Butinone, che è dipinto sopra la lunga apertura dalla quale le Romite possono assistere alle celebrazioni in Santuario, meta per coloro che, salendo pellegrini al Sacro Monte, come Cristo sul Calvario, chiedono la forza di portare le proprie croci.

L’articolo è la riproposizione pressoché integrale dell’approfondimento apparso in aprile 2014 sul sito del Museo Baroffio [ Vedi].

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, giugno 2014

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