Il nome della rosa. Riflessioni tra arte e teologia

della Redazione di Antiqua 

Il Museo del Louvre conserva una delle opere giovanili di Botticelli, una Madonna con Bambino e San Giovannino, nota anche come Madonna del roseto [Figura 1].

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Figura 1. Sandro Botticelli, Madonna del roseto, 1468, tempera su tavola, cm. 93 x 69, Parigi, Louvre.

In una recente pubblicazione divulgativa dedicata a Botticelli, curata da Philippe Daverio per il Corriere della Sera, a proposito di questo dipinto si legge: “La soluzione iconografica adottata sottolinea la figura della Madonna come ‘mater amabilis’, che si esprime nell’accentuata tenerezza del rapporto fra la Madonna e il Bambino. La presenza di san Giovannino è ricorrente nelle opere fiorentine, dal momento che il Battista è patrono della città. Le rose e il libro sono attributi peculiari dell’iconografia mariana. La spalliera del roseto sul fondo ha valore di quinta architettonica, che delimita l’’hortus conclusus’, il giardino chiuso simbolo della verginità di Maria” (nota 1).
Potremmo aggiungere che l’albero spezzato, il primo che si vede da sinistra, rappresenta un presagio di morte, quindi prefigura la Crocifissione, mentre gli alberi con dei grossi rami recisi da cui spunta un virgulto, si collegano all’albero di Iesse i cui germogli preannunciano la venuta salvifica di Cristo (nota 2).

Probabilmente, guardando lo stesso dipinto, la studiosa texana Renée Mulcahy, di cui abbiamo recensito il libro Messaggi dei Maestri [Leggi], ne trarrebbe osservazioni del tutto diverse.
Il Bambino ha le caviglie incrociate e questo particolare farebbe riferimento agli obblighi di segretezza a cui erano tenuti gli appartenenti alle associazioni di arti e mestieri (pp. 33-34); inoltre, le gambe incrociate rientrano in un tipo di  postura comune ai cavalieri templari (p. 85). Similmente, la mano del Bambino portata alla gola di Maria diventa un “importante promemoria per i membri, di assoluta discrezione e riservatezza all’interno della Corporazione degli artigiani” (p. 19).
Infine, la rosa, simbolo di Iside, madre di Orus o Arpocrate, raffigurato nelle sculture antiche “… con un dito sula bocca per invitare al silenzio e alla segretezza”. Alcuni scultori adottavano la rosa come loro simbolo collocandola al di sopra di porte e nicchie (p. 26 e ss).

Su vari significati della rosa è disponibile in rete un esauriente articolo dal titolo La rosa nei miti, nelle religioni, nelle leggende e nei simboli, pubblicato dall’Associazione Compagnia delle Rose. Della rosa come simbolo di silenzio e di riservatezza si scrive: “… una rosa era infatti appesa o raffigurata, nelle sale di consiglio per indicare riserbo e discrezione. Per questo motivo papa Adriano VI fece scolpire sui confessionali una rosa a cinque petali, simbolo del sacro vincolo della segretezza che ogni sacerdote deve mantenere nei riguardi dei penitenti che si rivolgono a lui nella confessione, e la locuzione latina sub rosa aveva appunto il significato di una cosa rivelata in assoluta segretezza e confidenza” [Leggi].

Forse non a caso, Umberto Eco ha intitolato In nome della rosa il suo celebre romanzo uscito per Bompiani nel 1980.
Il romanzo termina con una frase che pare Eco abbia fatto inserire poco prima che il romanzo andasse in stampa: “Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa: stat rosa pristina nomine, nomine nuda tenemus”.
Se ne parla in un breve articolo dal titolo Il “nome della rosa” in TV: il significato del titolo del libro di Umberto Eco, pubblicato in data 4 marzo 2019 dalla Redazione Cultura del sito fanpage.it [Leggi].
La frase Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus, tradotta in italiano come “la rosa primigenia esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi”, risulta essere la “manipolazione” della frase Stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus (“Roma antica esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi”) contenuta nel De contemptu mundi di Bernardo di Cluny, monaco benedettino vissuto nel XII secolo. L’articolo conclude che “… tradotto letteralmente, il verso di Eco intende sottolineare che al termine dell’esistenza della rosa particolare non resta che il nome dell’universale”.

In un clima di segretezza, sfuggito ai più che hanno letto il libro solo come un avvincente romanzo, viene evocato lo spettro del nominalismo, avversato violentemente dalla Chiesa.
Di cosa si tratta e quali sono le ragioni di questa avversione.
Il nominalismo è una dottrina filosofica che si colloca nella cosiddetta disputa degli universali (concetti), la quale a sua volta è la più importante questione filosofici-teologica della Scolastica (termine con il quale, per semplicità, si definisce la filosofia cristiana medioevale).
La disputa degli universali si sviluppa nel XII secolo e vede contrapporsi due tesi, quella dei realisti, i quali sostengono che gli universali, ossia il concetto che si ha di una “cosa”, continuano ad esistere anche dopo che la cosa (particolare) ha esaurito la sua esistenza e quella dei nominalisti, appunto, secondo i quali, gli universali (concetti) non posseggono una loro propria esistenza primigenia scollegata dalle cose, ma esistono solo collegati alle cose, al di fuori delle quali si possono concepire solo come semplici nomi.
In altre parole, secondo i realisti gli universali (concetti generali di cui si fa uso, come “rosa” esistono in un mondo astratto indipendente dagli oggetti fisici definiti (il fiore della rosa), secondo i nominalisti, invece, quando l’oggetto fisico cessa di esistere, ciò che ne resta è solo il suo nome.
Nello scrivere che non esiste un concetto universale di rosa, sganciato dalla rosa come fiore materiale (particolare), Eco afferma pertanto la sua adesione al nominalismo.
La principale conseguenza dell’approccio nominalista è la seguente: poiché i concetti universali non esprimono la realtà ma sono solo frutto del pensiero, ciò che essi dicono vale solo se può essere verificato dall’esperienza.
Ciò che viene messo in discussione dai nominalisti è, in ultima analisi, la possibilità di spiegare l’esistenza di Dio, se non può esistere un concetto astratto (che non sia una mera attività di pensiero) sganciato da un elemento materiale. Si può pensare a Dio, ma non provare la sua esistenza.

NOTE

[1] Philippe Daverio racconta Sandro Botticelli 1445-1510, Corriere della Sera, Milano dicembre 2020.

[2] Iesse era il padre di Davide da cui discende Gesù. Il ceppo senza vita di un tronco è il simbolo dei peccati della dinastia davidica, ma il profeta Isaia dice: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici” (Is. 11.1).

Marzo 2023

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