La Capsella di san Nazaro e il Moderno

The San Nazaro Capsella and the Moderno (See english abstract below)

di Attilio Troncavini (*)

La placchetta della Sacra conversazione [Figura 1], in coppia con quella raffigurante la Flagellazione, è tra le opere più note e studiate del Moderno, pseudonimo dietro il quale si cela, per buona parte della critica, l’orafo veronese Galeazzo Mondella.
Entrambe sono fuse in argento e dorate, sono legate dalle medesime vicende collezionistiche e sono attualmente conservate a Vienna presso il Kunsthistorisches Museum (nota 1).

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Figura 1. Moderno, Sacra conversazione, argento dorato, cm. 13,9 x 10,2, 1510 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Kunstkammer, inv. KK 1107.

Concentriamo la nostra attenzione sulla placchetta della Sacra conversazione, esposta nel 2016 alle Gallerie dell’Accademia di Venezia in occasione della mostra su Aldo Manuzio.
La placchetta è stata esaustivamente esaminata in catalogo dello specialista Davide Gasparotto in una scheda alla quale facciamo rimando, con particolare riguardo all’identificazione delle fonti iconografiche relative ai vari personaggi che vi sono rappresentati (nota 2).
Aggiungiamo ad esse l’inedito riferimento a una delle facce di un celeberrimo reliquiario, noto come Capsella di san Nazaro, che si trova al Museo Diocesano di Milano [Figura 2].

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Figura 2. Ignoto orafo argentiere, Capsella di san Nazaro, argento sbalzato con dorature, cm. 20,5 x 20,5 x 20, 6, Milano, Museo Diocesano, inv. MD2004.115.0001.

Il manufatto è in argento sbalzato e dorato ed è pressoché concordemente datato al IV secolo.
La scena raffigurata sul cosiddetto lato C della Capsella [Figura 3] è stata identificata nell’episodio narrato in Genesi (Gen. XLII, 6-8) di Giuseppe che giudica i fratelli accusati di furto, i quali vengono condotti da lui con le mani legate dietro la schiena.

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Figura 3. Capsella di san Nazaro, lato C. L’immagine è tratta da Il Sestiere di Porta Romana. Il culto delle reliquie di Maria Grazia Tolfo, Storia di Milano [Leggi].

Nella placchetta vediamo la Madonna col Bambino al posto di Giuseppe, ma la posizione assunta da da san Giorgio e da san Sebastiano è praticamente identica a quella in cui sulla Capsella sono ritratti, rispettivamente, il fratello giovane e quello anziano di Giuseppe.
La figura di un uomo con le mani legate dietro la schiena si addice perfettamente a san Sebastiano, meno a san Giorgio, il quale riesce infatti a “divincolare” le mani.
Riproponiamo qui sotto le varie figure a confronto per dimostrare visivamente come, al di la dell’ambientazione e di alcuni particolari, le affinità siano evidenti [Figure A, B, C e D].

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Figura A

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Figura B

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Figura C

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Incolla didascalia qui

Poiché tra Capsella, databile come visto al IV secolo, e placchetta, databile attorno al primo decennio del XVI secolo, intercorrono oltre mille anni, ci si domanda quale relazione ci possa essere stata tra i due manufatti.
Nella scheda scritta da Gemma Sena Chiesa per il più recente catalogo del Diocesano di Milano (nota 3), leggiamo che la Capsella, contenente varie reliquie, fu rinvenuta nel 1578 da san Carlo Borromeo (1538-1584) a Milano sotto l’altare della Basilica Apostolorum, oggi san Nazaro, e riconosciuta come il reliquiario deposto nella Basilica da Sant’Ambrogio nel 386.
Ciò sintetizza quanto elaborato in un ampio saggio scritto per una monografia di autori vari sul Tesoro di San Nazaro pubblicata nel 2009 alla quale faremo più volte riferimento (nota 4).
Se, come sostengono anche altri autori (Marco Navoni, Per una storia della Capsella argentea: da Ambrogio a Carlo Borromeo fino ai nostri giorni, in AAVV, Il Tesoro … op. cit., pp. 17-25), il ritrovamento risale al 1578, è impossibile che il Moderno ne potesse aver avuto conoscenza, anche tramite disegni o incisioni (nota 5).
L’ipotesi che sia l’autore della Capsella, sia il Moderno potessero essersi ispirati a un rilievo antico conservatosi fino ai tempi del Moderno e da questi visto durante il suo documentato soggiorno a Roma o altrove, oggi non più rintracciabile, appare poco convincente.
Potrebbe quindi riprendere vigore la tesi sostenuta da alcuni autori che hanno messo in dubbio l’autenticità del pezzo proponendo che sia stato eseguito alla fine del Cinquecento su commissione di San Carlo. La Sena Chiesa, che non ha dubbi sull’autenticità e sulla datazione del pezzo, sostiene che a suscitare alcune perplessità da parte degli autori scettici siano alcune “incongruenze” di tipo iconografico rispetto alla tradizione dell’arte cristiana del IV secolo, alle quali l’autrice ribatte colpo su colpo nel suo saggio del 2009.
A conferma dell’autenticità, riferisce anche di riscontri effettuati in occasione di alcune indagini tecniche (nota 6).

Proviamo a rintracciare qualche indizio nella storia delle placchette.
Gasparotto scrive che “Le due placchette furono impiegate nella seconda metà del Cinquecento come decorazione di un elaborato “studiolo” – un mobile destinato a contenere la collezione di gemme, cammei e monete – che Giovanni Grimani donò nel 1593 alla Repubblica di Venezia e oggi perduto”. Sempre Gasparotto riferisce che, secondo lo studioso Douglas Lewis, il committente originario dei due rilievi argentei possa essere stato il cardinale Domenico Grimani, intellettuale, intenditore d’arte e collezionista.
Domenico Grimani (Venezia 1461-1523) aveva messo insieme un notevole collezione di opere d’arte, tra cui oggetti classici e dipinti di area nord europea, in parte donati nel 1523 alla Serenissima (nota 7).
Il nipote Giovanni Grimani (Venezia 1506-1593), anch’egli avviato alla carriera ecclesiastica senza però mai giungere al cardinalato, era noto per una formidabile collezione di pezzi classici che, in linea con l’esempio dello zio, decide di donare alla Repubblica di Venezia per farne uno dei primi musei pubblici d’Europa, progetto portato a termine nel 1596 dopo la sua morte.
Ai fini del nostro discorso interessa sapere che Giovanni Grimani e Carlo Borromeo si conoscevano.
Accusato di simpatizzare per l’eresia protestante, Giovanni Grimani, esacerbato, decide di lasciare Roma e di recarsi a Trento, dove era in atto una fase del famoso Concilio, per perorare la sua causa.
Il compito di riconvocarlo a Roma per essere giudicato spetta proprio al cardinale Carlo Borromeo, all’epoca non ancora santo e facente funzione di segretario di Stato, il quale l’11 aprile 1562 recapita al nunzio pontificio a Venezia Ippolito Capilupi una citazione del S. Uffizio in virtù della quale il Grimani avrebbe dovuto tornare a Roma a giustificarsi “personaliter (nota 8).
Nonostante quindi i rapporti tra Carlo Borromeo e Giovanni Grimani appaiano conflittuali, non possiamo escludere il Borromeo potesse conoscere lo stipo appartenuto alla famiglia Grimani in cui compare la placchetta di cui stiamo discutendo.
Ciò ovviamente non sarebbe sufficiente a dimostrare che Carlo Borromeo ne sia rimasto così impressionato da ricavarne spunto per la faccia di una Capsella da lui commissionata.
Resta però il fatto incontrovertibile, già sopra enunciato, che il Moderno non poteva conoscere un oggetto riportato alla luce nel 1587.
Segnalo un dettaglio curioso: nel suo lavoro del 2009 (p. 40), la Sena Chiesa, parlando dell’uomo barbuto che compare sulla faccia della Capsella, scrive “… vestito di un chitone stretto in vita e aderente sul petto come una corazza anatomica …”.
Anche se non evidenziato, mi sembra che lo stesso si possa dire del fratello giovane di Giuseppe, la cui veste ricalca la corazza anatomica indossata da san Giorgio che nella placchetta è collocato nella stessa posizione
Questa osservazione, seppur involontariamente, contribuisce ad accreditare la derivazione della Capsella dalla placchetta.
Vi è un ultimo aspetto da considerare che forse potrebbe fornire una spiegazione.
Alla fine di un saggio contenuto nella più volte citata monografia del 2009, dedicato alla schematizzazione dell’apparato decorativo della Capsella, Fabrizio Slavazzi riporta da altre fonti che le scene riprodotte sul coperchio e sul lato A hanno ispirato l’Adorazione dei Magi di Bramantino della National Gallery di Londra databile al 1495 e che lo stesso Bramantino, già impiegato presso un orafo e attivo anche in San Nazaro, avrebbe potuto avere una conoscenza diretta della Capsella.
Non entro nel merito del discutibile confronto, concentrandomi sulla “… possibilità che la capsella fosse visibile prima del ben noto intervento di san Carlo nel 1578”, ossia “… che fosse mostrata in occasioni particolari come le feste solenni …” (nota 9).
Anche se defilata e discordante rispetto a quanto sostenuto a più voci nella stessa monografia sopra riferita, ossia che la “scoperta” della Casella risalga al 1578, l’ipotesi è plausibile.
Si potrebbe allora sostenere un passaggio a Milano del Moderno da collocare in una sua biografia al momento assai poco circostanziata.
I dubbi permangono.

Ringrazio Alessia Devitini del Museo Diocesano di Milano.

* Questo articolo è stato pubblicato su Antiqua.mi nel novembre 2018 siglato A.B.

Abstract

The plaquette The Holy Conversation in gilded silver of Moderno [Fig. 1], kept at the Kunsthistorisches Museum in Vienna together with The Flagellation, both dated around 1510, can be related to the so-called C side of a famous reliquary dated to the fourth century, depicting the episode narrated in Genesis (Gen. XLII, 6-8) of Joseph who judges the brothers accused of theft, which are led by him with their hands tied behind their back [Fig. 2 and 3].
In the plaquette we see the Madonna and Child in place of Joseph, but the position taken by St. George and St. Sebastian is virtually identical to that in which the younger brother and the elder brother of Joseph are portrayed on the Capsella, respectively.
The Capsella, containing various relics, was found in 1578 by St. Charles Borromeo (1538-1584) in Milan under the altar of the Basilica Apostolorum, today Saint Nazaro, and recognized as the reliquary deposed in the Basilica by Sant’Ambrogio in 386.
It would be logical to think that the Modern was inspired by the C side of the Capsella, but how could the Moderno (about 1465-1528) know an object brought to light in 1587?
The thesis sustained by some authors who have questioned the authenticity of the piece, supposing it has been manufactured at the end of the sixteenth century on commission of St. Charles could reaffirm.
The plaquette of the The Holy Conversation, togheter with The Flagellation, were part of a cabinet designed to contain the collection of gems, cameos and coins owned by cardinal Domenico Grimani (Venice 1461-1523), now lost, donated to the Republic of Venice by his nephew Giovanni Grimani (Venice 1506-1593 ), also an ecclesiastical and art collector.
Giovanni Grimani and Carlo Borromeo knew each other.
In 1562, Charles Borromeo, then secretary of state at the Vatican, wrote to the papal nuncio in Venice a letter on behalf of the the S. Uffizio to force the Grimani, meanwhile sheltered in Trento, to return to Rome to be tried on charges of sympathizing with Protestant heresy.
Could Charles Borromeo have known the cabinet with the plaquettes and get inspired for the C side of a Capsella commissioned by him?
Some scholars argue that, in reality, the Capsella was visible before the well-known intervention of St. Charles in 1578; in other words it was shown on special occasions such as solemn feasts.
One could then deduce a journey in Milan of the Moderno to be placed in a biography of him at this time very little circumstantiated.

NOTE

[1] La placchetta della Flagellazione è stata esaminata su Antiqua in due recenti occasioni. Vedi La Flagellazione del Moderno e Michelangelo [Leggi] e La Flagellazione del Moderno (segue)[Leggi].

[2] AAVV, Aldo Manuzio il rinascimento di Venezia, Marsilio, Venezia2016. La scheda è la n. 54 del catalogo è provvidenzialmente in rete [Leggi], insieme alla scheda n. 55 redatta da Giulia Zaccariotto [Leggi], relativa a una medaglia del Camelio richiamata nella prima.
Detto per inciso, Gasparotto propone il 1510 circa come data di esecuzione della placchetta, data che accogliamo anche in considerazione di quanto espresso nei due articoli citati nella nota 1.

[3] Cfr. la scheda di Gemma Sena Chiesa in AAVV, Museo Diocesano, Electa, Milano 2011, pp. 297-299 n. 381).

[4] Gemma Sena Chiesa, La capsella e il suo decoro. Il linguaggio delle immagini fra devozione cristiana e tradizione imperiale, in AAVV (a cura di G. Sena Chiesa), Il Tesoro di San Nazaro, Silvana, Milano 2009 pp. 27-54.

[5] Al Moderno non è ancora stato dedicato uno studio monografico, risulta però attivo tra XV e XVI secolo e alcune fonti indicano che sia nato nel 1467 e morto nel 1528 circa.

[6] Ne da conto Lucia Miazzo nella monografia del 2009 dove si dilunga sugli aspetti tecnici e costruttivi senza però addurre prove concrete circa la datazione (Lucia Miazzo, Indagini tecniche e conoscitive sul tesoro di San Nazaro, in AAVV, Il Tesoro … op. cit. pp. 133-153).
D’altro canto “Non c’è modo di datare i metalli … di essi si può far solo la titolazione, ossia conoscere le percentuali di composizione della lega” (Gianluca Poldi, comunicazione personale, ottobre 2018).

[7] Benzoni Gino-Bortolotti Luca, Grimani Domenico, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 59, 2002 [Leggi].

[8]

Benzoni Gino-Bortolotti Luca, Grimani Giovanni, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 59, 2002 [Leggi].

[9] Fabrizio Slavazzi, La capsella di San Nazaro: indagini sull’apparato figurativo, in AAVV, Il Tesoro … op. cit. pp. 55-61.