Legnamari e cembalari nella Milano del Settecento

a cura di Andrea Bardelli (con un contributo di Renato Meucci)

Queste note scaturiscono da un breve carteggio intercorso con il prof. Renato Meucci, attuale direttore del Conservatorio di Novara, in relazione a un suo interessantissimo articolo intitolato Zibaldone strumentistico milanese (in Rassegna di Studi e di Notizie del Castello Sforzesco, Milano 2011, p. 291 e ss.). L’articolo merita di essere letto per intero, ma la mia attenzione si è soffermata solo su alcuni temi, quali la relazione tra attività di falegname e quella di costruttore di strumenti musicali e l’abitudine di contrassegnare i manufatti con firme o marchi.
Nell’articolo si parla di un certo Francesco Birger, costruttore di cembali di origine tedesca, il quale firma F.B.F. e data 1735 una spinetta traversa che si trova nel Museo degli Strumenti Musicali al castello Sforzesco di Milano [Figure 1 e 1 bis].

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Figura 1 e 1bis. Francesco Birger, spinetta traversa, 1735, Milano, Castello Sforzesco, Museo degli Strumenti Musicali, inv. 591.

Meucci sostiene con argomentazioni inattaccabili che sia lui l’autore della spinetta e non l’inesistente Francesco Battaglia come tramandato dalla storiografia. Ad esempio, Luisa Bandera Gregori pubblica la spinetta firmata “F.B. Mediolani [sic] 1735”, riferendola probabilmente a Francesco Battaglia, uno dei più noti costruttori milanesi di salteri (Il mobile lombardo tra barocco e rococò, in Settecento Lombardo, Electa, Milano 1991 V.13 p. 482).
Avevo a suo tempo annotato una coppia di cassettoni neoclassici di cui scrive Alvar Gonzales Palacios: “… coppia di cassettoni intarsiati in vari legni, che nel 1969 furono esposti alla Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze. Sono mobili squadrati, dalle sagome assai poco attraenti, il cui interesse risiede tutto nella decorazione pittorica raffigurante scene mitologiche. Si differenziano dai mobili di Maggiolini […]. Uno di essi reca l’iscrizione “FB fecit Mediolano” (Il tempio del gusto, p. 274, ill. 628 p. 301).
Tratto in inganno anche dall’imprecisa citazione della Bandera Gregori, mi ero domandato se potesse esserci un nesso tra i due monogrammisti milanesi F.B., sebbene i cassettoni in questione siano stilisticamente riferibili alla fine del Settecento, quindi lontani dal gusto espresso nella spinetta; infatti, Gonzales Palacios pensa, con qualche riserva, ai fratelli Benzoni, i quali, secondo il Servitore di Piazza, attorno al 1791, erano residenti a Milano nel corso P.N. 1373).
A parte questa specifica questione che forse non merita di essere indagata oltre, mi ha molto colpito che il Birger compaia nel 1762 tra gli ufficiali della corporazione del legnamari di Milano, proprio con l’incarico di rappresentare i cembalari “per li clavezzini e spinette” (nota 1).
Ciò parrebbe confermare i legami tra falegnami e costruttori di strumenti musicali, che ho tentato di indagare con qualche apprezzabile risultato solo per Cremona (nota 2).

Questo aspetto introduce il secondo tema.
A proposito di Antonio Scotti, costruttore di un clavicembalo firmato “Antonio Scotti – in Milano 1753”, che si trova nel Museo degli Strumenti Musicali al castello Sforzesco di Milano [Figura 2], Meucci sostiene che potrebbe trattarsi di un “organista” (termine riservato in quegli anni ai costruttori e non ai suonatori) di nome Giuseppe Antonio Scotti, nato nel 1700.

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Figura 2. Antonio (Giuseppe) Scotti, clavicembalo, 1753, Milano, Castello Sforzesco, Museo degli Strumenti Musicali, inv. 592.

Lo stesso Meucci aggiunge che la costruzione di clavicembali era appannaggio degli organari i quali, in virtù delle protezioni civili ed ecclesiastiche, potevano operare al di fuori del sistema corporativo, apponendo la propria firma “e non un ben più criptico marchio a fuoco, come avveniva invece per molti altri manufatti prodotti nell’ambito del sistema corporativo”.
La questione appare subito di grande importanza perchè potrebbe spiegare:
a) come mai i mobili firmati ante 1773 (anno di abolizione dell’Università dei legnamari) sono rarissimi e di quei pochi la maggior parte è costituita da mobili dipinti (al punto da far pensare che firma fosse quella del “pittore” e non dell’artigiano);
b) la presenza (anch’essa non certo frequentissima) sulle parti interne dei mobili di marchi a fuoco fin’ora interpretati prevalentemente come le inziali del proprietario.
Ci sarebbe da chiedersi, inoltre, come veniva diviso il lavoro tra “strumentista”, falegname e pittore, se il manufatto (strumento musicale o mobile dipinto) veniva realizzato da uno stesso artigiano, da una bottega integrata con varie figure professionali oppure da diverse botteghe più o meno coordinate.

Abbiamo sollecitato un approfondimento allo stesso prof. Meucci (che ringraziamo sentitamente), il quale ci ha fornito una serie di considerazioni inedite, qui di seguito riportate in modo pressoché integrale.

Il punto centrale mi pare essere quello della chiarificazione di alcuni aspetti del sistema corporativo. Pur non essendo io uno storico generale, né uno specialista di ricerche sulla
storia delle corporazioni, ho molto studiato questi argomenti e ne ho fatto ampiamente tesoro nel mio
Strumentaio. Il costruttore di strumenti musicali nella tradizione occidentale (Marsilio, 2008). Il sistema di divisione del lavoro si basava fondamentalmente sul tipo di arnesi impiegati nella lavorazione dei manufatti. Questo spiega da una parte la netta distinzione tra quelli che impiegavano forge o fonderie per i metalli e quelli che usavano pialle, seghe, ecc., come
pure il ruolo separato di quelli che impiegavano il tornio, ecc.; e spiega anche la frequenza delle contestazioni, lunghe e tormentate quanto la storia stessa delle corporazioni. Mi sono progressivamente convinto che, siccome
per costituire una “università” delle arti ci voleva un consistente numero di richiedenti, certi mestieri particolari, come quello del liutaio, non riuscirono mai in Italia a unirsi in corporazione, sfuggendo per un certo periodo di tempo alle stesse modalità corporative. Alcuni liutai, ad esempio, trasferirono le loro attività dalla Baviera all’Italia, come Magno Tieffenbrucker (Venezia), Laux Maler (Bologna), Vendelio Venere (Padova), gli Alberti (Roma), Mango Longo (Napoli), i cui inventari di bottega lasciano sbalorditi per il numero “industriale” di strumenti presenti, evidentemente frutto dell’opera di una moltitudine di apprendisti e lavoranti del tutto inconsueta nel sistema corporativo.
Un altro aspetto è stato da me trattato nel volume suddetto nel paragrafo “marchio di qualità”: si tratta della consuetudine da parte di alcuni liutai di
firmare con un’etichetta non corrispondente al nome dell’autore, ma al più famoso esponente della dinastia (vale anche per gli Amati a Cremona, e per vari altri casi).
La costruzione degli strumenti musicali si differenzia sicuramente da quella dei mobili, in particolare per quanto concerne cembalari e liutai, che non potevano in alcun modo essere confusi con i marangoni o falegnami; il che non vale del tutto invece per i costruttori di fiati ai quali gli altri tornitori sollevavano infatti frequenti contestazioni, giacché il tornio è e rimane pur sempre lo stesso, benché una gamba di tavolino sia ben altra cosa rispetto a un flauto.
Per quello che io so, inoltre, la bottega di un liutaio o di un cembalaro non prevedeva mai la presenza di figure professionali differenti, ma di solito
tutte le componenti dello strumento venivano costruite in sede, tranne probabilmente e in alcuni casi le modanature dei cembali, visto che le pialle per realizzarle eccedevano dal tipo di attrezzi per il resto utilizzati.
A parte ciò, la fine delle corporazioni (già in crisi nera a Milano nella prima metà del Settecento) spiega certamente la possibilità che solo da quel momento in poi sia più frequente trovare mobili firmati; sull’argomento si possono consultare diversi studi sulle corporazioni milanesi di cui Cesare Mozzarelli è stato a lungo capofila (
Renato Meucci).

NOTE

[1] Il documento riferito da Meucci è citato in Carrera-Meroni, Giovanni Maria Anciuti, cit. n. 5 p. 211 e si trova in Milano, ASC, Fondo Materie, cartella 601, Legnajuoli (1646-1801), cartella 601 (vedi anche: http://archivisonori.isti.cnr.it/flauti/images/file/Carreras.pdf)

[2] Gli Antoniazzi. Rapporti tra liuteria ed ebanisteria a Cremona (3.7.2008) [Leggi]; Stradivari inedito (15.1.2009) [Leggi].

Prima pubblicazione: Antiqua.mi, maggio 2013

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