Paolo Serafini da Modena

di Anna Limata (con la collaborazione di Liliana Canziani)

L’identità
Di Paolo Serafini si ignora quasi tutto, anche la data di nascita, ipotizzata intorno al 1349, anno del matrimonio del padre, il più noto Serafino de Serafini da Modena (doc. a Modena e a Ferrara 1349-1393), di cui ad oggi nessun documento ricorda il figlio Paolo.
È Paolo stesso che tale si qualifica, unica testimonianza, nel solo dipinto da lui firmato: una tavola bifacciale custodita nella cattedrale di Barletta che raffigura da un lato la Vergine e dall’altro Cristo [vedi oltre Figure 1 e 1 bis].
Infatti, l’iscrizione nel cartiglio sotto la Vergine recita: Paulus filius magistri Serafini de Serafinis pictori de Mutina pinxit”, ossia Paolo, figlio del maestro Serafini de Serafini da Modena dipinse.
Quella di Barletta non è però l’unica opera firmata da Paolo.
La Madonna dell’Umiltà di Modena [vedi oltre Figura 3] è firmata “Paulus de Mutina fecit ord. P.dic”, ossia Paolo da Modena fece (dell’) ordine (dei) Predicatori, vale a dire dell’ordine dei frati domenicani.
Sull’identificazione dei due autori nell’unica persona di Paolo Serafini ci sono tuttora pareri contrastanti.  La sostiene Colasanti (Colasanti 1910, p. 186) e anche Boskovits, il maggior esperto di Paolo Serafini, non ebbe dubbi ad ascrivere a suo tempo la Madonna dell’Umiltà di Modena al nostro (Boskovits 1975, p. 152), mentre la Parenti, nel catalogo della Collezione Cagnola curato dallo stesso Boskovits, lascia la questione ancora aperta (Parenti 1998, pp. 108-109).
Se così fosse, ossia se Paolo Serafini fosse il Paulus de Mutina che firma il dipinto di Modena, potremmo spiegarci sia l’elevato contenuto spirituale delle sue opere, espressione di una cultura raffinata come quella espressa dai domenicani, sia la loro dispersione territoriale. Dalle scarne informazioni che si hanno su di lui si desume, infatti, che la sua attività si sia svolta in Emilia, tra Ferrara e Modena, e in Toscana, in particolare a Pistoia, ma anche in Puglia, segnatamente a Barletta. Si deduce quindi che Paolo si sia spesso trasferito, come d’uso tra varie comunità dello stesso ordine, chiamato ovunque fosse richiesta la sua maestria.
Come scritto sopra, sulla vita di Paolo non ci sono notizie documentate. Probabilmente visse inizialmente con il padre, a Ferrara, dove quest’ultimo, assieme alla famiglia, si trasferì nel 1361 e lì risulta ancora attestato negli anni Settanta. Sappiamo che nel 1385 il padre ritornò a Modena dove lavorò nel Duomo (L’Arte, 1904, Miscellanea p. 291). C’è invero a Ferrara un documento risalente al 1405 in cui è documentata la presenza di un Paolo di Fino da Bologna, pittore che Boskovits ipotizza essere il nostro (Boskovirs 1975, nota 274 alle pp. 152-153).

La formazione
Per quanto riguarda la sua formazione, il padre Serafino de Serafini fu capostipite di una fiorente bottega cui si rivolsero per importanti realizzazioni pittoriche – sia su tavola, come polittici e “altaroli”, sia monumentali – le maggiori corti padane, gli Este e i Gonzaga, i capitoli delle cattedrali di Modena, Piacenza, Reggio Emilia, forse Cremona, infine gli Ordini Mendicanti, soprattutto Francescani e Domenicani (Lorusso Romito 2017, p. 219).
Lo stile del nostro si svincola dai modi gotici del padre, evidenti nel polittico, elaborando una maniera simpaticamente personale, un impasto di cultura emiliana e fiorentina, con accenti senesi come argomenta il critico Colasanti quando analizza lo stile della tavola di Barletta (Colasanti 1910, 1910, p. 187). La sua città, Modena, svolge un ruolo non secondario nella regione: ricordiamo Barnaba (dal 1361-1383) e ancor più Tommaso Barisini, detto Tommaso da Modena (1325/26-1379), artista cruciale e che ha influenzato non solo il nostro Paolo e la pittura emiliana, ma anche quella settentrionale e toscana della seconda metà del XIV secolo.
Sempre Colasanti (op. cit.) dice che l’arte di Barnaba e Tommaso da Modena è in stretto rapporto con l’arte senese e che questo legame si è diffuso più largamente di quel che si pensa sia a Modena che in Emilia. Paolo Serafini è documentato a Bologna per la prima volta nel 1371, come “testimone” insieme ad un altro pittore, bolognese, Simone di Filippo “dei Crocifissi” (morto nel 1399), già documentato Magister nel 1355, allievo ed epigono di quel Vitale degli Equi, noto come Vitale da Bologna (doc. dal 1330 al 1360), che dal 1343 è campione indiscusso tra gli artisti bolognesi contemporanei, titolare di una bottega assai affiatata che da lì a poco si produrrà in importanti imprese pittoriche (Benati 1986, pp. 219 e 221).
Paolo nelle prime opere rivela una convinta adesione ai modi di Vitale e soprattutto a quelli di Simone, più che maestro, suo coevo, per poi elaborare uno stile tutto suo.

Le opere
Come già anticipato, l’apporto Miklos Boskovits alla valorizzazione del nostro artista è stato fondamentale. Grazie a lui il corpus di opere di Paolo è stato ampliato in maniera significativa comprendendo i seguenti dipinti (Boskovits 1975, nota 273 alle pp. 152-153): Madonna col Bambino e Cristo benedicente (Barletta, Cattedrale); Cristo benedicente a figura intera (Barletta, Cattedrale); Madonna dell’Umiltà (Modena, Galleria Estense); Madonna con Bambino e Angeli (Bologna, Pinacoteca Nazionale); Madonna con Bambino e Santi (Bologna, affresco Casa Tagliavini); Madonna con Bambino (Gazzada, Va, Collezione Cagnola); Madonna dell’Umiltà (Pistoia, affresco Chiesa della Madonna dell’Umiltà); Adorazione dei Magi (San Paolo del Brasile).
Nella scheda della Madonna con Bambino della Collezione Cagnola sopra citata, redatta da Daniela Parenti per il catalogo della collezione curato da Boskovits insieme a Giorgio Fossaluzza (Parenti 1998, pp. 108-109), si avanzano dei dubbi sulla Madonna dell’Umiltà di Modena, ma si aggiungono due dipinti: un’Annunciata (Pistoia, affresco Chiesa di San Leopoldo) e una Madonna con Bambino (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche).
Diciamo subito che la Madonna con Bambino e Santi di Bologna sopra citata è probabile non possa essere ascritta al nostro, bensì a Lippo da Dalmasio
Si tratta di un affresco, staccato e ora in collezione privata, precedentemente sito in una casa di Bologna, casa Tagliavini, andata distrutta nella seconda metà del secolo scorso. Quando fu scoperto fortuitamente dallo storico dell’arte Guido Zucchini nel 1934 (Zucchini 1934, p. 54), era irrimediabilmente danneggiato, soprattutto nella parte inferiore [Figura A]. Egli lo attribuì all’ambito di Lippo da Dalmasio (doc. a Bologna e Pistoia 1373-1410).
Boskovits, guardando la pubblicazione di Zucchini del 1935 e la foto in esso contenuta, cambiò questa attribuzione indicandone come esecutore il nostro.

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Figura A. Lippo da Dalmasio, Madonna con Bambino e Santi, Collezione privata (già Bologna, Casa Tagliavini).

Dopo approfondite indagini si è scoperto che il marchese Bolognini Amorini, vedendo di persona l’affresco nel 1843 (quasi cento anni prima) in un antico casale nella località poi riferita anche da Boskovits, riuscì a leggere in basso la scritta “Lippus pinxit” perché verosimilmente l’opera era in condizioni migliori (Bolognini Amorini 1841, p. 46).
Una delle tesi sviluppate in questa breve ricerca è che Paolo Serafini prese dai suoi maestri, ma fu a sua volta un influencer nei confronti dei pittori bolognesi della seconda metà del Trecento e degli inizi del secolo successivo.
Proponiamo quindi di restringere il catalogo di Paolo Serafini a nove opere.

1.
Madonna con Bambino e Cristo benedicente (Barletta, Cattedrale)
Come detto è l’unica tavola autografa ed è anche la più importante e più studiata [Figure 1 e 1 bis].

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Figure 1 e 1 bis. Paolo Serafini, Madonna con Bambino (recto), Cristo benedicente (verso), 1370 circa, tavola bifacciale, cm. 86 x 61, Barletta, Cattedrale di Santa Maria Maggiore.

Boskovits diede per certa la presenza del pittore nella cittadina pugliese dove “dovette recarsi ancora giovanissimo […] per eseguire i dipinti conservati nella Cattedrale, ad una data alta, […] per poi tornare a lavorare tra Emilia e Toscana” (Boskovits 1975, p. 152).
Da una parte si vede la Madonna, a busto intero, col Bambino stretto fra le braccia, il quale, mentre leva la destra in atto di benedire, carezza con la sinistra il mento della Madre; dall’altro lato è il Redentore, pure a busto intero, recante nella mano sinistra una lunga e sottile croce astile ed in atto di benedire alla greca con la destra levata, benedicente. Sotto la Vergine, su di un rotolo spiegato, si legge in caratteri gotici la seguente iscrizione: “Virginis intacte cum veneris ante figuram pretereundo cave ne sileatur Ave gracia plena. Paulus filius magistri Serafini de Serafinis pictoris de Mutina pinxit” (Quando sarai giunto davanti all’immagine della Vergine casta, nel passare oltre, bada che non venga sottaciuta l’ave piena di grazia – Paolo figlio primogenito del pittore Serafino de Serafini di Modena dipinse) che identifica senza ombra di dubbio il nostro Paolo come autore di questa opera.
Qui le influenze di Tommaso da Modena sono percepibili per l’atmosfera di intimità, preziosa ma colloquiale, elaborate in uno stile personale, tentando di dar vita e movimento al piccolo Gesù tra le braccia della Madre.
Nel cartiglio sottostante la retrostante figura di Cristo si legge: “ego sum. rex. regum. et dominus. dominancium: ego sum. lux.mundi: qui sequitur. me. non. ambulat. intenebris. set abebit: lumen. vite: dicit. dominus: alleluya” (Io sono il re dei re e il Signore dei signori: io sono la luce del mondo, chi mi segue non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita. Dice il Signore, alleluia) (nota 1).
La Madonna con Bambino è nota come “Madonna della Sfida” perché nel 1503, portata in festosa processione, accolse il ritorno in città dei tredici italiani vincitori contro i francesi. Si dice anche che prima del combattimento i duellanti si fossero recati davanti a lei chiedendo la sua potente intercessione per ottenere la vittoria.
L’immagine è veneratissima a Barletta; nel 1926 la sua immagine è stata adornata con una cornice d’argento e due corone in argento gemmate poste sul capo della Madonna e del Bambino, e di recente è stata messa dietro l’altare principale della chiesa [Figure 1 ter e 1 quater, nota 2].

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Figure 1 ter e 1 quater. La “Madonna della Sfida” contestualizzata.

2.
Cristo benedicente (Barletta, Museo Diocesano)
La forma e lo stile richiamano il Cristo benedicente della tavola bifacciale (vedi ancora Figura 1 bis). L’opera è ormai pressoché concordemente attribuita dalla critica a Paolo Serafini [Figure 2 e 2 bis].

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Figure 2 e 2 bis. Paolo Serafini, Cristo benedicente (prima e dopo il restauro), Barletta, Museo Diocesano.

3.
Madonna dell’Umiltà (Modena, Galleria Estense)
Di quest’opera si è in parte già detto. Raffigura una Madonna dell’Umiltà allattante, con un frate domenicano in ginocchio, in basso di lato [Figura 3].

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Figura 3. Paolo Serafini, Madonna dell’Umiltà, 1370, firmata “Fra Paolo da Modena”, Modena, Galleria Estense di Modena (n. 479).

La Madonna dell’Umiltà non siede in trono bensì per terra, poiché rappresenta il simbolo della Chiesa, che gli ordini mendicanti, francescani e domenicani, volevano umile e al livello della gente.
Sotto le figure si legge: “LA NOSTRA SIGNORA DUMILTA MCCCLXX F. PAULUS DE MUTINA FECIT ORD.P.dic III I DIE.NAT”. La data è quindi il 1370 e non 1374 come spesso riportato [Figura 3 bis].

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Figura 3 bis. Iscrizione con firma e data, particolare di Figura 3.

L’opera ha ispirato l’avvocato modenese Pietro Bertolotti (Modena 1818-1894), scrittore e studioso della storia culturale e artistica di Modena, che così lo descrive: “Dell’ antico nostro pittore Fra Paolo da Modena avea taciuto la Storia dell’arte, […] è venuta sino a noi una sua tela del 1374 […] prova di non mediocre ingegno e valore artistico […] il nostro pittore sparse di tanta verdezza il suo quadro (a richiamo di Dante e quella donna, la speranza, che era come se le carni e l’ossa fossero state di smeraldo fatte – Purg. XXIX), che non pure le vesti, ma pure verdeggia il campo del quadro, benché figura un firmamento stellato. Fra Paolo volle esprimere in tela, che quella umiltà, la quale rese Maria Madre di Dio, la fece ancora speranza nostra […] acconciamente e intendevolmente espresse”.
Continua: “Quanto a brio e vivacità di colorito Fra Paolo cede a tutti que’ colleghi suoi […] Anche in diligenza e finitezza è dal Serafini (il padre) sorpassato; ma v’ha un punto capitale, in cui si rifa, e che a mio senso gli assicura la palma: l’espressione e la grazia […] ma molto degna e gentile figura […] Il Bambino è altra cosa […] Forse inconsiderati ristauri, falsando ombre e luci, han cresciuta la sgraziata apparenza che ha” (Bortolotti 1874).
È interessante quanto riportato perché mette bene in luce l’importanza nel modo di dipingere di Fra Paolo del fatto che fosse un domenicano, conoscitore colto di Dante, dei simboli e della storia artistica e letteraria del suo tempo, e che fosse umile così come connotava, soprattutto alle origini, il suo ordine di “predicatori” e “mendicanti”. Il donatore è esso stesso un domenicano, l’ipotesi suggestiva è: Fra Paolo si è voluto qui ritrarre?

4.
Madonna con Bambino (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche).
La tavola [Figura 4] si caratterizza per un’iconografia rara: la Madonna, accennando un sorriso, gioca con il piccolo Gesù e con la mano gli tocca delicatamente un orecchio, attraverso il quale, secondo il Vangelo apocrifo armeno (nota 3), è avvenuto il concepimento di Gesù.

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Figura 4. Paolo Serafini, Madonna col Bambino (Madonna dell’Orecchio), 1370 circa, olio su tavola, cm. 67 x 43,5, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, inv. D1990 110.

La Vergine guarda con un ineffabile sorriso il suo bimbo, che ha una folta chioma riccioluta e l’espressione vivace; egli volge lo sguardo verso lo spettatore, con una manina afferra il velo della madre e con l’altra le tocca teneramente il mento. Il mantello di Maria è ornato da stelle disposte sulla superficie con un ritmo regolare.
La tradizionale attribuzione a Vitale da Bologna o al suo ambito portava a datare l’opera intorno al 1345-1350. La Parenti (Parenti 1998, pp. 108-109), la reputa invece tra le più antiche di Paolo, dallo stile goticheggiante, sobrio, tipico di quella tendenza della pittura bolognese che unisce intensità e pacatezza ma anche raffinatezza. Viene quasi in mente il Beato Angelico, vissuto a cavallo tra Trecento e Quattrocento, anche lui frate domenicano (non certamente paragonabile al nostro per talento e ruolo!) ma che, come Fra Paolo, ha messo la fede al servizio dell’arte.
L’adesione allo stile di Simone de’ Crocifissi, al suo fianco “testimone” nel 1371, è così marcata che l’opera fu giudicata una copia ottocentesca della sua Madonna dell’Orecchio.
Vi è una Madonna con bimbo, autografa, in collezione privata a Perugia [Figura B] ed esiste un’altra Madonna dell’Orecchio, attribuita sempre a Simone, esposta al Museo Bardini di Firenze [Figura C].
Il modello iconografico si ripete in tutte e tre le tavole. Guardando l’opera autografa lo stile nel riprodurlo sembra assai diverso da quello di Paolo, sia nei volti che nei drappeggi.

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Figura B. Simone de’ Crocifissi, Madonna dell’Orecchio, Perugia, collezione privata (Catalogo Fondazione Zeri, fototeca online sul web).

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Figura C. Simone de’ Crocifissi, Madonna dell’Orecchio, Firenze, Museo Bardini (Catalogo generale dei Beni Culturali, Codice ICCD 09 00282559).

5.
Madonna con Bambino (Gazzada, Va, Collezione Cagnola)
La tavola della Collezione Cagnola è un fondo oro della fine del XIV secolo non firmata né datata [Figura 5].

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Figura 5. Paolo Serafini, Madonna col Bambino, 1370-1375 circa, tavola, cm. 82 x 47,5, Collezione Cagnola, Gazzada (Va) inv. DI.020 (foto Vivi Papi)

Fu acquistata da Guido Cagnola (1861-1954), umanista, uomo politico, e collezionista, come un dipinto di scuola toscana del XV sec. In seguito, trovandovi analogie con Bernardo Daddi (documentato dall’ultimo decennio del XIII secolo fino alla metà del XIV secolo), venne ascritta alla scuola fiorentina di metà del XIV secolo, quindi ritenuta opera giovanile di Giovanni del Biondo (Ciardi 1965, pp. 27-28).
Le figure sono allungate, così come lo sono gli occhi di Maria, sottili, dallo sguardo dolce e pensoso. L’espressione del bimbo è birichina e arguta; seduto sul braccio destro della madre, volge gli occhi verso di noi e, nel contempo, mostra un tenero amore verso la madre, accarezzandone con una manina il mento e afferrando con l’altra il bordo del suo mantello. Numerosi i riferimenti alla Madonna con Bambino di Urbino (sopra n. 4).
Proprio per questa classicità l’opera è da collocarsi a metà del percorso artistico di Paolo, ancora legato ai modi di Vitale e Simone, ma già pronto a recepire gli influssi fiorentini che comparivano nella sua città e che lo connoteranno maggiormente nelle opere posteriori, quando sarà chiamato a lavorare a Pistoia.

6.
Madonna con Bambino e Angeli (Bologna, Pinacoteca Nazionale)
È un trittico di piccole dimensioni, richiudibile e per la preghiera domestica [Figura 6].

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Figura 6. Paolo Serafini, Madonna col Bambino e Angeli, 1380 circa, tempera su tavola, cm 48 x 44, Bologna, Pinacoteca Nazionale.

Lo stile un po’ irregolare è riconducibile agli affreschi assisiani di Andrea de’ Bartoli ed ha fatto sì che quest’opera fosse a lui ascritta così come riporta la scheda della Pinacoteca di Bologna, consultabile online sul suo sito.
Qui Paolo un po’ ci stupisce. Mostra forme solide ed essenziali, più sgraziate rispetto a quelle a cui eravamo abituati, costrette da una cornice che sembra essere troppo piccola. Ritroviamo, però, il Bambino portato sulla spalla destra, gli occhi allungati della Madonna e lo sguardo di complicità di Gesù, che ricorda la stessa arguzia nell’espressione degli occhi del Gesù della tavola della Collezione Cagnola (sopra n. 5).

7.
Madonna dell’Umiltà (Pistoia, affresco Chiesa della Madonna dell’Umiltà)
È la seconda Madonna dell’Umiltà [Figura 7 e 7 bis]. Paolo la dipinge a Pistoia dove si trova negli anni Ottanta su commissione del vescovo Andrea Franchi. Il suo stile con influsso toscano e senese si spiega perché la città in quegli anni era punto di incontro della cultura fiorentina, bolognese e senese.

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Figura 7. Paolo Serafini, Madonna dell’Umiltà (particolare), 1380-1382 circa, affresco, Pistoia, Basilica della Madonna dell’Umiltà.

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Figura 7 bis. La Madonna dell’Umiltà di Pistoia contestualizzata.

La Vergine è una Madre allattante e il suo capo è coronato da dodici fulgide stelle. Ritroviamo nei suoi occhi la stessa dolcezza, le forme allungate, lo sguardo che volge lontano, e il Bambino che, invece, ci guarda.
In basso di lato si intravede (l’affresco è rovinato, e le immagini non aiutano), una devota in ginocchio, avvolta in un largo e scuro mantello.
Mostriamo per confronto due raffigurazioni dello stesso soggetto di due diversi artisti: Vitale da Bologna [Figura D], maestro di Paolo, riconoscibile per lo stile gotico e raffinato ma espressivo, e Dalmasio di Jacopo degli Scannabecchi [Figura E], dallo stile più morbido, accattivante e toscano, che fu a Pistoia prima del nostro.

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Figura D. Vitale da Bologna, Madonna dell’Umiltà, 1353 circa, tavola cm. 41 x 24, Milano, Museo Poldi Pezzoli.

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Figura E. Dalmasio di Jacopo degli Scannabecchi, Madonna dell’Umiltà, 1390 circa, Londra, National Gallery.

Dalmasio degli Scannabecchi (documentato a Bologna e a Pistoia tra il 1342 e 1373) è padre di Lippo di Dalmasio, il pittore con cui fu scambiato Paolo, esecutore dell’affresco autografo “Lippus pinxit” di cui si è detto sopra.
Lippo e Paolo si conobbero di certo, entrambi hanno lavorato a Pistoia, anzi Lippo vi abitò ed è lì documentato fino al 1389. Operò anche a Bologna, dove gli avevano commissionato lavori importanti nella Basilica di San Petronio, ma gran parte di essi è andata perduta. Come in Paolo il suo stile è una sintesi tra cultura fiorentina e cultura bolognese.

8.
Annunciata (Pistoia, affresco Chiesa di San Benedetto)
L’Annunciata di Paolo Serafini [Figura 8] costituisce la parte destra (per chi guarda) di un affresco collocato nella chiesa pistoiese di San Benedetto.

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Figura 8. Paolo Serafini, Annunciata (particolare dell’Annunciazione), 1380-1382 circa, affresco, Pistoia, chiesa di San Benedetto, già San Leopoldo.

La Chiesa, già in origine dedicata a San Benedetto, fu fondata insieme al Monastero olivetano annesso nel 1380 da Bartolomeo Franchi, “guarda caso” fratello del vescovo di Pistoia, Andrea Franchi, il committente dell’altro affresco pistoiese di Paolo Serafini.
L’intitolazione a San Leopoldo avvenne nel 1782 in onore del Granduca di Toscana, nel 1957 fu nuovamente intitolata a San Benedetto.
L’altare dove si trova l’affresco [Figura 8 bis] appartenne in passato alla famiglia Franchi, ed è noto sin dalle origini come altare dell’Annunciazione. Dalla immagine è evidente che l’Angelo Annunciante è opera posteriore ed è purtroppo una parziale sovrapposizione all’originale. Non si sa quando questo avvenne ma sicuramente durante uno dei due importanti restauri di cui fu oggetto la chiesa, nel Seicento e nel 1786 quando tutti gli altari furono adornati con edicole marmoree.

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Figura 8 bis. Affresco dell’Annunciazione, Pistoia, chiesa di San Benedetto, già San Leopoldo.

9.
Adorazione dei Magi (San Paolo del Brasile)
Cosa ci fa un dipinto di Paolo Serafini in Brasile?!
La tavola [Figura 9] fu donata nel 1947 da Pietro Maria Bardi (La Spezia, 21 febbraio 1900 – San Paolo del Brasile, 1 ottobre 1999), un giornalista, critico d’arte, gallerista italiano.

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Figura 9. Paolo Serafini, Adorazione dei Magi, tavola cm. 21,5 x 28,7, San Paolo del Brasile, Museo de Arte.

Bardi conobbe, durante una esposizione di arte italiana a Rio de Janeiro, un magnate e mecenate brasiliano che lo incaricò di costituire un museo a San Paolo. A tale scopo acquistò nel 1933, in Europa, cento capolavori d’arte in un momento in cui, a causa delle difficili condizioni economiche, venivano messi all’asta senza incontrare molti compratori. Nel 1947 nacque il MASP, il Museo d’arte di San Paolo, il più importante dell’America latina, che raccoglie dipinti di Goya, Raffaello, Tiziano, Van Gogh, Cézanne, Modigliani, P. Gauguin, Renoir e una collezione unica delle sculture di ballerine di Degas.
La tavola è di tutt’altro soggetto rispetto ai precedenti, i modi sembrano più arcaici, nulla si sa di altre diverse attribuzioni, non è né firmata né datata. Sembra essere stata ascritta a Paolo fin da subito.

Conclusioni
Da questa ricerca si evince come Paolo Serafini, con tutta probabilità monaco domenicano, sia un pittore dalle qualità espressive significative, dalla tipica e originale personalità, il cui ruolo non sembra essere per niente secondario.
Sa assecondare le novità di naturalismo e intensità, che connotavano la pittura emiliana della seconda metà del XIV secolo.
Si fa portatore di uno stile che richiama gli accenti fiorentini e senesi del suo tempo, ha rapporti di reciprocità con Lippo di Dalmasio e capace di smarcarsi dal più conosciuto Simone dei Crocefissi. Da ultimo, ma questo è l’aspetto più significativo, le sue opere si contraddistinguono per la spontanea religiosità che comunicano.

NOTE

[1] Sempre a Barletta, nella chiesa di San Giacomo, vi è un’altra tavola a tempera, bifacciale, di autore anonimo, che riproduce lo stesso soggetto, iconograficamente identico ma stilisticamente e qualitativamente molto distante [Figure], a conferma che a Barletta tale modello iconografico era diffuso e molto venerato (Catalogo della mostra Icone di Puglia e Basilicata dal Medioevo al Settecento, Bari, Pinacoteca Provinciale, 1988, p. 131).

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Anonimo, Madonna con Bambino (recto), Cristo benedicente (verso), XIV secolo, Barletta, chiesa di San Giacomo.

[2] Un tempo la Cattedrale era intitolata all’Assunta ed è probabile che la tavola bifacciale fungesse da stendardo processionale, così lo definisce la Parenti (Parenti 1998, p. 108), proprio in occasione della festa dell’Assunzione il 15 agosto. Il Cristo, in particolare, eseguito secondo il modello “ellenistico”, con grandi occhi e sguardo austero, barba e baffi e benedicente alla greca riconduce a una delle tante repliche della veneratissima tavola ad encausto del Salvatore Acheropita della cappella di San Lorenzo ad Sancta Sanctorum in San Giovanni in Laterano a Roma [Figura], a sua volta strettamente connesso alla festa dell’Assunta, la più grande festa religiosa del popolo romano che culminava nel grandioso rito che recava questa icona del Cristo in processione fino a Santa Maria Maggiore (per inciso, nuova titolazione della Cattedrale di Barletta) alla presenza del papa.

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Tavola ad encausto del Salvatore Acheropita, Roma, San Giovanni in Laterano, cappella di San Lorenzo ad Sancta Sanctorum.

[3] Il Vangelo armeno dell’infanzia è un Vangelo apocrifo pervenutoci in lingua armena i cui manoscritti sono stati fatti conoscere per la prima volta, integralmente, da padre Isaia Daietsi nel 1828. Secondo questo Vangelo l’Annunciazione a Maria avvenne prima presso la fontana ma lei fuggì in casa dove ebbe la seconda annunciazione. “Il Verbo di Dio penetrò in lei attraverso l’orecchio”.

Bibliografia
-Antonio Bolognini Amorini, Vite dei pittori ed artefici bolognesi, Tipi Governativi alla Volpe, Bologna, 1841, vol. I, p. 47.
-Pietro Bortolotti, Intorno un antico dipinto di Fra Paolo da Modena Domenicano, Tipografia Carlo Vincenzi, Modena, 1874.
-L’arte: rivista di storia dell’arte medioevale e moderna, luglio 1904 (https://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/arte1904/0342/image).
-Arduino Colasanti, Opere d’arte ignote o poco note, Bollettino d’Arte 1910, vol. V, p. 187.
-Guido Zucchini, Opere d’arte inedite, in Comune di Bologna, dicembre 1934.
-Ciardi Roberto Paolo, La Raccolta Cagnola, Edizioni di Comunità, Cremona 1965.
-Daniele Benati, Pittura del Trecento in Emilia Romagna, in La Pittura in Italia Il Duecento e Il Trecento, vol. II, Electa, Milano 1986, p. 658.
-Miklos Boskovits, Pittura fiorentina, alla vigilia del Rinascimento: 1370-1400, Edam, Firenze 1975.
-Rosa Lorusso Romito, La Madonna della Sfida, in La Disfida di Barletta. Storia, fortuna, rappresentazione cura di Fulvio Delle Donne-Victor Rivera Magos, Viella, Roma 2017, p. 219.

Luglio 2021

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