Rocco Schiavone, Leon Battista Alberti e Giovanni Battista Della Porta

di Redazione di Antiqua

Che cosa lega uno dei poliziotti letterari più famosi d’Italia, l’eclettico architetto (e non solo) Leon Battista Alberti e l’incrediblmente poco noto scienziato (e non solo) Giovanni Battista Della Porta?
Proviamo a scoprirlo in una sorta di gioco a incastro.
Il vicequestore Rocco Schiavone, creato dallo scrittore Antonio Manzini, nel romanzo Ah l’amore l’amore, ultimo della serie di cui è protagonista, identifica l’aiuto primario Gerardo Petitjaques con un tapiro sudamericano, “Il naso prominente quasi gli finiva in bocca e gli occhi, grandi e distanti, lo imparentavano, proprio come quel mammifero, con i rinoceronti e i cavalli” (nota 1).
Queste associazioni, che Rocco Schiavone fa spesso quando incontra per la prima volta una persona con particolari tratti del viso, sono un’invenzione di Giovanni Battista Della Porta, un incredibile personaggio nato a Vico Equense (Na) nel 1535 e morto a Napoli nel 1615.
Difficile sintetizzare la vita e le opere di un uomo che è stato scienziato, naturalista, alchimista, letterarato e drammaturgo. E’ stato indgato dall’Inquisizione, ha frequentato Tommaso Campanella, Paolo Sarpi e forse Giordano Bruno e per un certo tempo ha rivendicato l’invenzione del telescopio resa nota in quegli stessi anni da Galileo (nota 2).
Per quanto ci riguarda più direttamente, è l’autore del De humana physiognomonia che avuto la sua prima edizione in latino nel 1586, in quattro volumi con numerose illustrazioni, proprio a Vico Equense presso un editore che si chiamava Giuseppe Cacchio.
La prima edizione in italiano è quella di Longo, Napoli, 1592, con 100 nuove illustrazioni, mentre per trovare un’altra edizione tradotta bisogna attendere il 1601.
Leggendo una ristampa moderna dell’edizione del De humana … pubblicata a Padova in sei volumi da Pietro Paolo Tozzi del 1627, quindi pubblicata  postuma (nota 3), lo scultore, iconografo e divulgatore Guerrino Lovato ha un”intuizione geniale: a pagina 41 del Libro Secondo viene fatto dire a un “certo” Alberto: “Le vene d’intorno alle tempie &  alle parti dietro al collo rosse, dimostrano nell’huomo tanta iracondia, che è quasi vicino alla pazzia”. Sotto si vede un’immagine incisa in cui si vedono due personaggi di profilo, caratterizzati da “Capo eminente dinanzi, e di dietro” [FIGURA 1].

Un piccolo inciso: nell’edizione princeps in latino del 1586 compare (più volte) la stessa figura, ma in controparte, ossia con gli stessi personaggi, ma in posizione invertita. L’immagine è rovesciata perché si tratta di un’edizione anastatica, cioè l’immagine è stata fotografata dall’edizione del 1627 e impressa a specchio (nota 4).
Lo stesso Alberto “interviene” anche nella pagina successiva: “Il capo un poco più lungo dinanzi, e di dietro, che ha somiglianza di un martello, dimostra huomo prudente, e circonspetto”, in quella ancora successiva, a proposito di persone con il “capo aguzzo”: “Il capo troppo disonestamente lungo è segno di sfacciatezza, e nella parte dinanzi insolenza” E coloro che hanno il capo aguzzo sono senza vergogna” e in altre pagine.
Chi può essere l’Alberto di turno se non Leon Battista Alberti (1404-1472), architetto e trattatista?
Questa ipotesi è resa plausibile da tre motivi.
Il primo è che nell’edizione del 1627 compaiano anche i ritratti di altri uomini del Rinascimento, come il letterato Pico della Mirandola (1464-1494) e l’umanista Angelo Poliziano (1454-1494), quest’ultimo accostato al rinoceronte “di cui sopra” [FIGURA 2].

Il secondo è che Leon Battista Alberti e Giovanni Battista Della Porta condividevano la stessa passione per la crittografia: nel 1476 circa l’Alberti scrive il De cifris in cui crea il disco cifrante,  primo sistema di cifratura polialfabetica, nel 1563 Della Porta pubblica il De Furtivis Literarum Notis, per ilquale è ritenuto il maggiore crittografo del Rinascimento.
Il terzo e più  convincente motivo è la somiglianza del personaggio di destra nell’incisione di Figura 1 con quello ritratto nella celebre placchetta con la presunta effige dell’Alberti [FIGURA 3] realizzata da Matteo de’ Pasti nel 1446-50 (nota 5).

Si noti il profilo, la forma delle orecchie e soprattutto la pettinatura con la corolla di riccioli che lascia scoperto collo e tempie rasate, anche se nella placchetta lo sguardo è decisamente fiero, mentre è piuttosto mesto nell’incisione.
Delusione: come si deduce in un’altra parte del libro, l’Alberto in questione non è l’Alberti, ma Alberto Magno (1206-1280), dottore della chiesa, anche se resta la suggestione che Giovanni Battista della Porta, per raffigurare uno dei due personaggi con il “capo eminente” abbia utilizzato o si sia ispirato proprio al noto ritratto dell’Alberti in omaggio al gioco delle allegorie, delle allusioni, e dei significati nascosti (chi meglio di lui) che caratterizzavano la cultura del suo tempo.

NOTE

[1] Antonio Manzini, Ah l’amore l’amore, Sellerio, Palermo 2020, p. 70.

[2] Per un primo approccio alla vita e alle opere di Giovanni Battista Della Porta:

da Wikipedia [Leggi]
da Enciclopedia Treccani [Leggi]

[3] Nel frontespizio dell’edizione patavina del 1627 si legge, non senza una punta di regionalismo: “Tradotti [i sei libri] di Latino in Volgare, e dall’istesso Autore cresciuti di figurae, e di passi necessari a diverse parti dell’opera: et hora in questa Quarta & ultima Edizione migliorati in più di mille luoghi, che nella stampa di Napoli si leggevano scorrettissimi”.

[4] Devo al bibliofilo Sergio Bisi, questa e altre informazioni sulle varie edizioni del De humana

[5] da Wikipedia [Leggi]

1 Maggio 2020 © riproduzione riservata