Un affascinante… falso. Racconti di un collezionista

di Alessandro Ubertazzi

Anni fa ho avuto modo di riferire, in un testo pubblicato con l’amico architetto Eugenio Guglielmi (nota 1), la vicenda di un curiosissimo mobile che avevo consigliato di comprare a certi miei clienti; qualche tempo dopo l’acquisto di quell’oggetto presso una antiquaria fiorentina, questa mi regalò una stupefacente composizione raffigurante una tremenda battaglia con centauri, uomini e donne (FIGURE 1 e 2).

William Wynne Ryland, Battaglia fra Centauri e Lapiti
William Wynne Ryland, Battaglia fra Centauri e Lapiti

Figura 1 e 2 William Wynne Ryland, Battaglia fra Centauri e Lapiti, acquaforte e acquatinta, Milano, collezione Sandro Ubertazzi.

Nel testo di cui ho parlato, così raccontavo:

Dopo gentili convenevoli e non senza mio imbarazzo, l’antiquaria mi sottopose una cartella di disegni e di stampe di vari soggetti affinché ne scegliessi uno come pegno della vendita che aveva realizzato. Sfogliando quelle tavole, una, per la verità piuttosto danneggiata, mi aveva colpito fra tutte e perciò la sfilai dicendo: “Ecco! Questo disegno mi piace!”.
Probabilmente la signora si sarebbe meno risentita se le avessi dato un schiaffo: “Le ho detto” sentenziò “che intendo sde-bi-tarmi per l’affare che ho concluso grazie a Lei! Certo… se le piace, lo tenga” e qui era davvero irritata “ma Lei non va via di qui senza qualcosa di cui anche io sia contenta!”.

Ma, certo, il disegno più lo guardavo e più mi piaceva.
Se, in un primo tempo, esso mi aveva colpito per la sua straordinaria efficacia plastica nel raffigurare i corpi di un gran numero di uomini, di donne e di centauri in battaglia, col tempo notavo l’estrema finezza di certi dettagli e l’apparente sommarietà di altri segni atti però a rendere con immediatezza la fuggevole natura del groviglio in movimento.
D’acchito mi aveva colpito e fortemente intrigato la formidabile forza con la quale l’allora anonimo autore aveva tratteggiato (in inchiostro seppia scuro con penna d’oca) il tumulto di un’estenuante, furiosa battaglia; e questo ad onta delle lacune e degli apparenti difetti del foglio.
Tornato a Milano, mi ero posto una quantità di domande: ad esempio, perché il foglio recava sul retro l’impronta di un codice miniato? Con tutta probabilità il disegno era servito come “cartone” per qualche opera pittorica. E, poi, indipendentemente dalla diverse tecniche espressive impiegate dall’autore, la riquadratura non era ottenuta con un solo segno bensì mediante una grande quantità di tratti a texture che evidenziavano una estrema accuratezza nella rifinitura dell’opera, come se dovesse essere presentata formalmente a qualche committente di rispetto.
Memore delle rimostranze della signora per aver desiderato un foglio tanto accidentato e frequentando da tempo l’abbazia di San Giorgio a Venezia ove facevo restaurare vecchi libri e stampe, decisi di andarvi dall’amico benedettino padre Andrea [nota 2] (che, a Montevergine, sta ora “curando” le carte dell’Archivio Segreto del Vaticano), un grande esperto di carte antiche malandate: decidemmo con lui di salvare il salvabile fissandolo e proteggendolo con trattamenti appropriati e integrando le mancanze con carta liquida neutra.

Impaziente di vedere dei risultati del suo lavoro, ben sapendo che Andrea avesse molti altri e più cogenti impegni, mi recai a Venezia e poi alla Novalesa (dove, nel frattempo, la comunità benedettina di San Giorgio si era trasferita) per raccogliere notizie e per… curiosare sui suoi lavori. Andrea, non senza un certo sussiego, prese il discorso alla lontana “non è che vuoi venderlo? – “Certo che no! Mi piace moltissimo – “Beh, vedi, nel frattempo mi sono permesso (mi scusi?) di mostrarlo all’amico Valcanover (soprintendente ai Beni Artistici e Storici di Venezia) e lui sostiene che, con tutta probabilità, si tratta di uno dei pochissimi disegni di Tiziano Vecellio cui se ne attribuiscono non più di quarantasei (ancorché non firmati).
Molto emozionato, a Milano consultai il catalogo dei suddetti disegni ed, effettivamente, ve ne era uno in cui la coda e il posteriore di un cavallo erano tecnicamente rappresentati in modo assai simile a quelli di un centauro del mio disegno.
Non ricordo per quale motivo, a restauro avvenuto, mi ero messo in testa di lasciare organizzare un evento culturale nel quale mostrare al mondo quella mia trouvaille.
Interpellai così l’amico Giorgio Soavi (che allora era uno dei consulenti culturali di Olivetti) e lui, incuriosito, si mise in contatto con i massimi esperti di arte rinascimentale italiana del Metropolitan Museum di New York dai quali ricevette l’indicazione di un valore di mercato importante e soprattutto la curiosa ipotesi che l’opera dovesse riguardare piuttosto un seguace genovese di Michelangelo Buonarroti, in sostanza di un nobilissimo “manierista”.
In realtà, nelle affermazioni degli esperti consultati, c’era comunque qualcosa di vero, di verosimile, ma ora le cose stanno in modo ancora diverso… e fanno risalire l’affascinante composizione alla sfera e al contenuto specifici dell’opera di Perin del Vaga. Nottetempo lo straordinario disegnatore di Raffaello, studiava l’opera di Michelangelo tanto da impadronirsi della sua “maniera”; fuggito a Genova, aveva cominciato infatti di lì a diffondere quel modo particolare di concepire e di rappresentare persone e cose che caratterizzò la seconda metà del Cinquecento di tutta l’Europa.
(Ein gelüftetes Geheimnis; das unsichtbare Möbel, pp. 19-26).
A seguito delle riflessioni effettuate con l’amico Eugenio, un esperto iconologo, siamo arrivati comunque a stabilire che, con tutta probabilità, la composizione in questione doveva essere stata realmente concepita da Perin del Vaga. Anzi, essendo molto simile a quella conservata presso il British Museum di Londra, avevamo pensato che poteva essere uno dei “cartoni” cui Giovanni Bernardi (il famoso artista nato a Castel Bolognese) avrebbe dovuto ispirarsi per completare le scene incise in cristallo di rocca mancanti alla cosiddetta “cassetta Farnese” (1548-1561) (nota 3) voluta da Alessandro Farnese, Papa Paolo III (FIGURE 3 e 4).

Manno Sbarri e Giovanni Bernardi da Castel Bolognese, cofanetto (cosiddetta “cassetta Farnese”),
Manno Sbarri e Giovanni Bernardi da Castel Bolognese, cofanetto (cosiddetta “cassetta Farnese”),

Figura 3 e 4 Manno Sbarri e Giovanni Bernardi da Castel Bolognese, cofanetto (cosiddetta “cassetta Farnese”), metà XVI secolo, Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte.

Dopo quelle congetture, mi cullavo nella piacevole sensazione che l’immagine ricevuta fosse realmente di mano del grande disegnatore di Raffaello e, al tempo stesso, cercavo a tutti i costi di sconfiggere le perplessità che mi tormentavano sull’eccessiva similitudine del disegno londinese con il mio: sono arrivato perfino a pensare che quello del British fosse una copia del mio, come se il mio fosse l’originale piuttosto che viceversa.
Ho interpellato tutti gli amici che operano nell’antiquariato dell’arte i quali, di volta in volta, mi hanno presentato valenti esperti di disegni del Rinascimento.

Sulla base di fotografie che avevo fornito, un consulente della mitica Casa d’Aste Sotheby’s conosciuto dall’amico broker dottor Gigi Buttazzoni, specializzato nei disegni italiani del Cinquecento, ha ritenuto che l’opera in mio possesso dovesse essere sicuramente una copia, ancorché particolarmente raffinata, del disegno londinese, quello sì, certamente autografo (FIGURA 5).

Perin del Vaga, Battaglia fra Centauri e Lapiti

Figura 5 Perin del Vaga, Battaglia fra Centauri e Lapiti, disegno, Londra, British Museum. Inv. Ff, 1.62.

Mi sono poi recato dalla dottoressa genovese Elena Parma Armani: come noto, la ricercatrice è una delle massime esperte sull’opera di Perino a proposito del quale ha scritto testi fondamentali (nota 4): alla vista del mio foglio, anch’essa è rimasta particolarmente colpita dalla bellezza della composizione e dalla disarmante analogia con il foglio londinese, al punto che ci siamo lasciati riproponendoci di andare assieme a Londra per effettuare riscontri diretti e puntuali con l’opera la conservata.
Più recentemente, grazie alla gentile presentazione dell’amico monsignor dottor Pier Francesco Fumagalli, uno dei dottori dell’Ambrosiana di Milano, ho dato al professor Giulio Bora (anch’egli esperto, collegato alla VBA, dei disegni italiani del Cinquecento e che ringrazio per la puntualità delle riflessioni che mi ha fornito) alcune foto della composizione; molto gentilmente ma altrettanto fermamente, egli ha escluso che la mia fosse di mano del grande disegnatore mentre doveva trattarsi di una copia.
Così, infatti, mi ha scritto: “Come potrà rilevare, il Suo disegno è assolutamente fedele rispetto all’originale che, come ha visto, è sempre stato ritenuto assolutamente autografo: e qui entra in campo l’analisi della specificità della grafia di Perino che, come mostra l’esemplare del British Museum (insieme ad altri suoi disegni ) si qualifica per una caratteristica sottigliezza e eleganza che non trovo nel Suo disegno. Si tratta di mettere a confronto puntualmente ogni singolo dettaglio e rilevarne le differenze stilistiche. Un esempio,l’anatomia rilevata nella figura inginocchiata a destra è impensabile in Perino e, in genere, la mancanza di quella sua filante sottigliezza e scioltezza oltre a quel certo appesantimento dovuto anche alle acquerellature, assenti nell’originale, tutto questo mi ha fatto subito escludere la mano di Perino. Nel nostro campo, è l’immediata percezione di questi dettagli che ci fa avvertire quelle specificità, da analizzare e approfondire in seguito. Penso che con le immagini che Le allego, e il confronto con il Suo disegno, tutto questo illustrerà molto meglio quanto ho cercato di spiegarLe”.

Proprio qualche giorno fa, dietro suggerimento del dottor Mauro Pavesi (un brillante ricercatore dell’Università Cattolica di Milano cui avevo chiesto consulenza su una tavola dipinta), mi sono recato a Pavia dalla dottoressa Laura Aldovini (conservatore presso i Musei Civici di Pavia), anch’essa ricercatrice proveniente dal suddetto Ateneo milanese. Nel mostrarle il foglio in questione, mi ero permesso di evidenziarle, ad esempio, la meticolosa finezza con la quale l’autore aveva realizzato la cornice: secondo me, infatti, quell’accorgimento intendeva sottolineare l’importanza dell’opera.
Dopo avere essa stessa esaminato la cornice suddetta e prelevata dalla scrivania una banale lente “contafili”  mi ha candidamente detto: “Mi dispiace di deluderla ma questa è… una stampa, una raffinatissima stampa realizzata con grande abilità, forse per farlo ritenere un vero e proprio disegno”.
Da esperta di nielli, xilografie e incisioni del Quattro e Cinquecento, Laura Aldovini ha immediatamente rintracciato un altro esemplare della stampa conservato a Roma (FIGURA 6).

William Wynne Ryland, Battaglia fra Centauri e Lapiti

Figura 6 William Wynne Ryland, Battaglia fra Centauri e Lapiti, acquaforte e acquatinta, Roma.

Mi ha poi raccontato una storia curiosissima che mi ha spinto ad estenderla ai lettori di questa rivista.
La mia Battaglia fra Centauri e Lapiti, è stata realizzata da William Wynne Ryland nel 1765, quando il disegno originale di Perino si trovava nella collezione di John Barnard (da cui, più tardi, giunse al British Museum) come rivelano anche le iscrizioni negli esemplari completi di margini.
L’incisione in mio possesso è il risultato di due tecniche incisorie: i tratti più nitidi (che intendono restituire un’esecuzione a penna e inchiostro seppia) sono effettuati ad acquaforte mentre i toni più morbidi (che vogliono suggerire una sorta di acquerellatura) sono resi mediante il procedimento ad acquatinta: la tavola è stata poi ritagliata al contorno forse per eliminare la depressione che avrebbe evidenziato l’impronta della lastra di rame sul foglio di cartoncino e che, quindi, avrebbe rivelato subito la sua vera natura, e anche per eliminare le iscrizioni che ne avrebbe denunciato reale autoe e inventore.
Ho così appreso che il Ryland (nota 5) è stato un abilissimo incisore al quale viene fatta addirittura risalire la tecnica della maniera “puntinata”. Utilizzò poi, oltre al bulino e all’acquaforte, anche la “maniera nera” cioè un procedimento di acquatinta che consente di ottenere immagini dotate di una morbidezza che non puó essere ottenuta con la semplice acquaforte.
Grazie alla sua perizia tecnica, realizzò diverse riproduzioni di disegni antichi, pubblicate poi in volume, tra cui doveva essere compresa anche la composizione perinesca.

La grande abilità e l’incessante bisogno di denaro per i molteplici debiti che lo attanagliavano, indussero il Ryland a divenire un falsario. Egli, infatti, tentò, fra l’altro, di pagare la Compagnia delle Indie con cambiali da lui stampate. Anche a seguito di quel fatto su di lui fu posta un taglia per plagio e, quando i gendarmi lo scovarono, cercò di nuovo di comprare la libertà con denari falsi; si diede comunque alla fuga ma fu di nuovo acciuffato e, in quella circostanza, tentò il suicidio senza però riuscirvi; venne salvato e, pertanto, subì un processo regolare alla fine del quale fu solennemente impiccato in quanto riconosciuto come falsario secondo le vigenti, severe leggi inglesi.

NOTE

[1] Alessandro Ubertazzi (con E. Guglielmi), Ein gelüftetes Geheimnis; das unsichtbare Möbel/Un arcano rivelato; il mobile invisibile, Edizioni Imagna (collana Scienze, arti e culture), Bergamo, giugno 2011 (Codice ISBN 978-88-6417-024-4).

[2] Padre Andrea Cardin, dopo l’esperienza veneziana è stato abate del Monastero della Novalesa, quindi Direttore della Biblioteca Nazionale della Basilica di Montevergine, e dal 2015 Superiore del Monastero benedettino di San Pietro in Assisi.

[3] La cassetta cosiddetta “Farnese” custodita nella Galleria Nazionale di Capodimonte e che, in questi giorni, è esposta a Milano presso le Gallerie d’Italia a Milano, è stata progettata e realizzata in bronzo da Manno (o Marino o Mariano) Sbarri fra il 1548 e il 1561; essa reca, incastrati, sei ovali incisi da Giovanni Bernardi da Castel Bolognese in cristallo di rocca.

[4] Elena Parma Armani, Perin del Vaga: l’anello mancante. Studi sul manierismo, Sagep, Genova, 1986; Elena Parma Armani, Rapporti artistici tra Genova e le Fiandre nella prima metà del Cinquecento, in Nicole Dacos (a cura di) “Fiamminghi a Roma, 1508-1608: atti del convegno internazionale Bruxelles, 24-25 febbraio 1995. Pagg. 41-62; Elena Parma, La pittura in Liguria: il Cinquecento, Banca Carige-Fondazione Cassa di risparmio di Genova e Imperia, Genova, 1999.

[5] William Wynne Ryland: Londra, luglio 1732 – Tibourn, 29 agosto 1783.

Appendice

Perin del Vaga, Battaglia fra Centauri e Lapiti, disegno, Budapest

Figura A.1 Perin del Vaga, Battaglia fra Centauri e Lapiti, disegno, Budapest, Szépmuvészeti Mùzeum (Sixteenth Century Central Italian Drawings; an exhibition from the Museum’s Collection, by Loran Zentai, Szépmuvészeti Mùzeum, Budapest, September 17 – November 8 1988, pagg. 102-103).

Perin del Vaga, Battaglia fra Centauri e Lapiti, disegno, Londra

Figura A.2 Perin del Vaga, Battaglia fra Centauri e Lapiti, disegno, Londra, British Museum. Inv. 1946,0713.565.

8 Gennaio 2019 © riproduzione riservata