Un antico goblet inglese in argento

di Gianni Giancane

È stato sottoposto all’attenzione di chi scrive un particolare bicchiere, identificabile come una piccola coppa, meglio ancora un calice, realizzato in Inghilterra nel XIX secolo, come stiamo per vedere, e piuttosto interessante, non solo dal punto di vista stilistico-costruttivo ma anche, e soprattutto, da quello storico-sociale.
Definito nel linguaggio d’oltremanica con lo specifico termine di goblet, caratterizzato da pregevole motivo decorativo ad incisione, esso si presenta in tutto il suo splendore e in uno stato di conservazione impeccabile [Figure 1 e 2].

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Figura 1.  Fronte del goblet con medaglione centrale sovrastato da punzonatura, per un’altezza di 16,8 cm, diametro all’orlo superiore di 8 cm e 165 grammi di peso, interno vermeil (collezione privata).

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Figura 2.  Retro del goblet con riserva mistilinea a campo liscio.

Considerazioni tecnico-stilistiche essenziali
Nel manufatto è possibile individuare tre parti distinte ma armoniosamente integrate: coppa, stelo, piede.
Non a caso un esile stelo liscio, rastremato al centro e ivi perlinato, raccorda elegantemente la coppa, dal profilo conico e ricca decorazione polimorfa, con il piede a base circolare, adornato da un sobrio festone a motivi vegetali lungo il bordo perimetrale [Figura 3].

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Figura 3. L’elegante incisione sul piede del goblet, chiuso a sua volta da perlinatura a filo continuo.

La celebrazione stilistica del calice è particolarmente apprezzabile lungo i due versanti laterali della coppa, con identico motivo decorativo a volute, girali, nastri e racemi, realizzati interamente a mano con una particolare tecnica incisoria, il Bright-Cut (letteralmente taglio-luce o taglio-brillante) [Figura 4].

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Figura 4. Versante laterale sinistro del calice, rispetto al fronte con medaglione della Figura 1, qui appena visibile sul profilo a destra.

La percezione immediata emanata dall’oggetto è quella di una forte e diffusa luminosità, assicurata sì dalle sezioni lisce e scevre da decorazione, ma ancor più dalle restanti parti, le quali, sottoposte alla speciale incisione del Bright-Cut, trasferiscono all’osservatore mirabili “colpi di luce”, rendendola una delle più belle espressioni artistiche di decoro/rifinitura di un manufatto in argento.
Questa lavorazione consiste nell’incidere il metallo in profondità, con taglio obliquo, ottenendo un disegno luminoso per effetto della conseguente riflessione della luce sulle sfaccettature così create; si utilizza a tale scopo uno strumento particolare, un bulino a due facce, una a incidere l’argento, l’altra a brunirne l’intaglio (nota 1).

La provenienza
Ma da chi, dove, e quando è stato fabbricato il particolare calice in argento?
A fornirci le corrette risposte interviene la punzonatura che ha mantenuto intatte le caratteristiche di definizione e leggibilità [Figura 5].

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Figura 5. La parte alta del goblet con la splendida, completa ed anglosassone punzonatura del calice. Il dettaglio consente anche di apprezzare la lavorazione totalmente manuale dell’incisione.

A un primo esame, generico, essa risponde alle caratteristiche tipologiche degli argenti inglesi mostrando tutti i punzoni da questi “richiesti” e normalmente presenti su opere sicuramente originali.
Li scorgiamo sotto il bordo del calice, oculatamente armonizzati con i tratti decorativi circostanti ed apposti in una sequenza lineare scandita da cinque elementi, così come da protocollo.
Per verificare la bontà, tuttavia, occorre accertarne la congruenza e pertanto, da sinistra a destra, vanno singolarmente interpretati.
Il primo riporta le lettere R ed M sovrastanti E ed H, tutte racchiuse in contorno polilobato a quadrifoglio, per i maestri (silversmiths) Richard Martin & Ebenezer Hall, attivi a Sheffield al 53 di Broad Street Park, dal 1854 con la denominazione sociale di Martin, Hall & Co (nota 2); punzone della manifattura in uso dal 1863 al 1880.
Segue il famoso “leone passante”, in contorno mistilineo con cuspide inferiore, a certificare la bontà e il titolo dell’argento, pari a 925/1000 (argento sterling).
Il punzone al centro della serie indica il city mark, la città sede dell’Assay Office (l’Ufficio per l’“assaggio”, vale a dire l’insieme delle analisi chimico-fisiche per l’accertamento del metallo e del suo il titolo), una testa di leopardo in scudetto, vista frontalmente, per la città di Londra.
Il quarto punzone rappresenta la lettera dataria (date letter), qui la “q” per il 1871.
Chiude la sequenza un particolare punzone, il punzone del dazio (duty mark), con l’effigie della regina Vittoria vista di profilo, rivolta a sinistra e racchiusa in ovale. Tale punzone, istituito nel 1784 e in vigore sino al 1890, rappresenta l’avvenuto pagamento di una gabella dovuta al sovrano di turno in relazione al peso dell’oggetto.
Tali risultati certificano l’originalità dei punzoni, temporalmente congruenti (nota 3) e perfettamente in linea, in fatto di protocollo, con i canoni formali delle argenterie inglesi (tra cui completezza della serie e punto di apposizione).
Resta soltanto da chiedersi come mai nella punzonatura compaia il city mark di Londra (la testa di leopardo) e non quello di Sheffield (una corona), vista l’ubicazione dell’opificio dei nostri argentieri in quest’ultima città [Figura 6].

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Figura 6.  La fabbrica in una stampa del 1900 circa, con la mutata denominazione sociale dal 1866 di Martin Hall & Co Ltd (Shrewsbury Works), nella città di Sheffield.

Il motivo è presto detto.
L’importante sodalizio di Martin & Hall aveva registrato successi tali da “obbligare” i due silversmiths ad aprire filiali a Birmingham, Glasgow, e perfino a Sidney, mentre era già attivo uno showroom a Londra (Bouverie Street, Fleet Street), città dove avvenne sicuramente la fase dell’assaggio e registrazione (oltre alla commercializzazione) del nostro goblet, per la paternità del quale stabiliamo in sintesi e con assoluta certezza: Martin, Hall & Co Ltd, Londra, 1871.

Per un particolare evento
Il fronte del calice, come evidenziato in fase di presentazione, è arricchito da un decoro aggiuntivo che determina di fatto la destinazione finale del prezioso oggetto.
A differenza di altre e più consuete modalità di attestazione ottenute sui manufatti in argento quasi sempre per incisione (quali iscrizioni, monogrammi, blasoni), sul nostro calice compare invece uno stemma in rilievo indicante il logo di un particolare evento sportivo per il quale era stato concepito, la Barnes and Mortlake Regatta, un’importante regata di canottaggio a Londra, con 170 anni di storia alle spalle [Figura 7].

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Figura 7. Apposto nella riserva centrale, splendidamente lavorato a bulino e cesello, campeggia il logo dell’evento: la Barnes and Mortlake Regatta.

Tale competizione, al 2023 ancora in corso, fu fondata nel 1852 ed esordì come regata amatoriale riscuotendo da subito un buon successo.
La maggiore notorietà, tuttavia, si deve a un’importante figura del mondo sportivo anglosassone (e non solo), Ebenezer Cobb Morley (Hull, 16.08.1831 – Richmond, 20.11.1924) [Figura 8], fondatore della più nota FA (Football Association) e padre del calcio moderno (nota 4).

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Figura 8. Ebenezer Cobb Morley in età avanzata.

Da grande sportivo, dopo aver preso parte come vogatore all’edizione del 1858, prese in mano le redini della competizione diventandone tesoriere nel 1860 e segretario dal 1862 al 1880, conferendole ulteriore risalto ed importanza, visto l’elevato livello della sua figura, una sorta di sponsor moralmente ineccepibile e alquanto influente.
Sin dalla prima edizione la regata si svolge ogni anno sul Tamigi (nota 5) nei pressi delle aree di Barnes e Mortlake, su un percorso che nel tempo ha subito lievi modifiche sia in termini di distanze che di punti di partenza ed arrivo.
Nei primi decenni, sicuramente fino al 1885 circa, il tratto di gara si estendeva per circa un miglio e mezzo tra la rimessa delle barche a Strand-on-the-Green (nei pressi di Oliver’s Island) e il Barnes Railway Bridge, il ponte ferroviario di Barnes.
In tempi più recenti, ridotto a 1000 metri, il campo di gara va dal ponte ferroviario di Kew, il Kew Rail Bridge, al ponte di Chiswick, il Chiswick Bridge, e viceversa.
Di norma la competizione è scandita in tre distinti momenti della giornata prescelta – al mattino, nel primo pomeriggio e nel tardo pomeriggio – in discesa o risalita lungo il Tamigi per obbligato adattamento alle variabili condizioni orarie di marea lungo il fiume.
Al pari di altre analoghe competizioni sul Tamigi, pur non rivestendo l’importanza della più celebre Oxford-Cambridge, la Barnes and Mortlake Regatta ha sempre affascinato i londinesi e gli inglesi in generale, visto il nutrito numero delle squadre partecipanti.
Va comunque rimarcata, in qualsiasi competizione legata al canottaggio sul fiume, la costante partecipazione del pubblico ad assistere straripante lungo le sponde, come sistematicamente riferito dalle cronache locali.
Ne riportiamo testimonianza, a titolo d’esempio, grazie ad un’antica stampa [Figura 9] raffigurante il Barnes Bridge e la numerosa popolazione ad acclamare il transito dei concorrenti in occasione di una delle tante regate sul Tamigi; correva l’anno 1872. Si noti il pubblico stipato in ogni angolo, persino sulle travate del ponte, in barba a qualsiasi regola e principio di sicurezza.

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Figura 9. Stéphane Pannemaker (1847-1930) da Gustave Doré (1832-1883), Barnes Bridge, 1872, incisione, cm. 9,7 x 16,2, Londra, Royal Academy of Arts.

Al termine della competizione, ciascun componente dell’equipaggio vincitore, per una determinata categoria, riceveva in premio (e riceve ancora ovviamente) un goblet o un mug o ancora un tankard o similare oggetto, normalmente in argento sterling, realizzato dai migliori argentieri del periodo e ad essi commissionato dalla società organizzatrice; tale oggetto ha da sempre riportato il logo della manifestazione [Figura 10].

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Figura 10. Un tankard molto recente (probabilmente 2023) con il logo della manifestazione. Si noti come il simbolo dell’evento non sia cambiato per niente nei secoli.

Nell’anno di nostra competenza, 1871, la vittoria nella categoria Senior Four Oared (4 remi senior), la Challenge-cup, del valore di 75 £, andò al London Rowing Club.
Non è per niente certo (vista la presenza nella competizione di diverse categorie), ma nemmeno da escludere, che il nostro goblet possa rappresentare il modello più piccolo dello stesso trofeo, dato ad ogni vogatore dell’equipaggio vincente.

Breve considerazione finale
Per il 1871, come sopra documentato, fu affidata la fabbricazione del trofeo per la Barnes and Mortlake Regatta, il calice oggetto della nostra disamina, alla Martin, Hall & Co Ltd.
Trovo piuttosto interessante, rappreso in un singolo oggetto quale il goblet esaminato, il riuscitissimo connubio evento-manifattura in un condensato storico-artistico di tutto rilievo, rimarcando comunque l’elevato livello qualitativo palesato dall’oggetto, oggi sicuramente interessante anche dal punto di vista venale.
Tuttavia …
Nel campo degli oggetti d’antiquariato sovente si celebra il valore commerciale di un’opera, quasi sempre a discapito di altri, ben più nobili, valori.
Il bel calice del lettore appartiene, a mio parere, a quella nutrita schiera di manufatti che andrebbero maggiormente apprezzati per il contributo storico-artistico-culturale da essi apportato, ancor più della valenza economica, spesso sbandierata da alcuni operatori del settore come motivo primario di un qualunque intervento commerciale strettamente connesso.
E il motivo stesso per cui oggi, dopo un secolo e mezzo di storia, ne abbiamo in tal modo parlato, ne è la migliore testimonianza.

NOTE

[1] Il Bright-Cut fu utilizzato in Inghilterra nel tardo Settecento su molta argenteria neoclassica, soprattutto da Hester Bateman (1708 – 1794), l’artista più eminente di questo stile decorativo, e per gran parte dell’Ottocento dai migliori argentieri del periodo sui pezzi di particolare pregio.

[2] Piuttosto articolata è la storia dell’opificio inglese che qui proponiamo in sintesi.
Le origini risalgono al 1820, quando Henry Wilkinson e John Roberts, argentieri, fondarono a Sheffield la manifattura con il nome di Wilkinson & Roberts.
Il primo dei due abbandonò il sodalizio nel 1836 lasciandone al solo Roberts la titolarità.
Bisogna attendere il 1846 quando un apprendista della manifattura (fino a quel momento) Ebenezer Hall entrò in partnership con John Roberts avviando la Roberts & Hall.
La variazione più significativa avvenne però nel 1854, quando due altri argentieri, Richard Martin (già titolare della Martin Brothers & Co a Sheffield) e Joshua Hall (fratello di Ebenezer) entrarono in società rimodulando la ragione sociale in Martin, Hall & Co.
Nel 1857 John Roberts lasciò la società che successivamente, nel 1866, divenne una Ltd assumendo la nuova e definitiva denominazione di Martin, Hall & Co Ltd con crescente successo in patria e oltremanica per diversi altri decenni.
Le continue variazioni condizionarono ovviamente la punzonatura con modifiche cangianti nei diversi periodi.
L’attività manifatturiera fu alquanto prolifica e, oltre a numerose tipologie di prodotti realizzati in argento sterling di elevata qualità, la fabbrica produsse anche oggetti più economici ma altrettanto richiesti dai mercati, quali gli elettroplaccati e altri ancora ottenuti con una particolare lega brevettata chiamata “Martinoid” (una sorta di metallo bianco).
Tantissimi furono i punti vendita sparsi nell’intero pianeta, Asia e Oceania comprese, e le fortune commerciali si protrassero anche nel XX secolo, almeno fino alla Grande Guerra, successivamente alla quale iniziò una fase inversa e le sorti dell’azienda, declinando, finirono con il condurla al fallimento nel 1936 (John Culme, 1987, ad vocem).

[3] Riferisco di punzoni temporalmente congruenti perché ognuno di essi deve risultare compatibile con un determinato momento storico identico a tutti gli altri.
Se la lettera dataria ci dice, per esempio 1857 (individuabile grazie al carattere e al profilo), allora il leone passante, il city mark e il duty mark dovranno essere quelli contemplati per quella fascia di anni nella quale ricade il 1857, avranno cioè una particolare conformazione grafica corrispondente a quel periodo e che risulterà differente da altre fasce temporali.
Ovviamente, anche il merco dell’argentiere dovrà presentare una sagoma registrata per un periodo contenente all’interno il 1857.
Qualsiasi testo specializzato sulle punzonature inglesi fornirà le apposite tabelle, suddivise per città e periodi storici, facilmente consultabili.

[4] Nato a Hull nello Yorkshire nel 1831, Ebenezer Cobb Morley si trasferì nel 1858 a Londra nel quartiere di Barnes dove, pur non possedendo un diploma di laurea (pare non avesse frequentato nessuna Università), esercitò la professione di solicitor, una particolare consulenza legale a terzi – soprattutto povera gente e in tal caso in forma gratuita – ma senza patrocinio dinanzi ad una Corte.
In rappresentanza di Barnes, fu membro del Consiglio della Contea di Surrey dal 1903 al 1919 e giudice di pace dal 1906.
Figura poliedrica e molto versatile amava la caccia alla volpe e lo sport in generale, ma oltre al canottaggio (pare vogasse fino a tarda età sul Tamigi) fu nel calcio che tirò fuori il meglio di sé, con iniziative tanto importanti da riscrivere la storia del gioco più amato del pianeta diventando un caposaldo per quello che sarebbe stato il calcio moderno.
Innanzitutto, nel 1862 fondò la locale squadra di calcio, il Barnes Football Club (diventandone anche motivato giocatore), pur già percependo nell’ambiente calcistico molte problematiche e pratiche agonistiche a suo parere non congeniali.
Furono proprio queste perplessità che generarono di fatto le premesse per un cambiamento epocale.
Fino agli inizi degli anni Sessanta del XIX secolo, infatti, questo sport viveva di assoluta improvvisazione e mancanza di regole codificate. Sembrava una versione goliardica di rugby, palla toccabile con le mani, calcioni consentiti (si fa per dire) negli stinchi (!), agonismo violento e altro ancora; prima di ogni incontro si concordava qualcosa tra le squadre, ma era ben poca cosa…, e le “assurdità” potrebbero continuare, ma preferiamo fermarci qui.
L’esperienza diretta maturata da calciatore gli fece capire che non poteva persistere una situazione del genere e iniziò a muoversi per cambiare significativamente il tutto.
Dopo aver contattato la redazione di un giornale sportivo dell’epoca, il Bell’s Life of London, “suggerendo la creazione di un organo di governo dello sport con il potere di stabilire regole comuni”, il 26 ottobre del 1863 indisse una riunione presso la Taverna Massonica nel quartiere di Holborn, istituendo in quella sede ed in quel momento la Football Association (FA di Londra) della quale venne eletto contestualmente segretario con il consenso dei partecipanti (rappresentanti delle varie squadre, ed addetti ai lavori). Seguirono altre cinque riunioni nei 44 giorni successivi per stabilire finalmente quelle regole comuni (non senza controversie ed accesi dibattiti) che avrebbero scritto via via la storia di un calcio finalmente razionale, moderno e più consono alla nostra idea di questo sport, separandolo da quella visione molto vicina al rugby che pertanto rimase uno sport a sé stante con la creazione di una Rugby Football Union nel 1871.
Le regole pensate da Ebenezer Cobb Morley erano 13, scritte nella sua casa di Barnes, e racchiuse nel FA’s 1863 Minute Book. Questo documento, conservato nella British Library, di importanza storica, gode di una valutazione di 2,5 milioni di sterline!
Secondo Melvin Bragg, una figura di grande rilievo nel panorama culturale inglese, le regole di Morley sono tra i dodici “scritti più influenti di sempre”.
Viste le conseguenze da esse apportate non soltanto per il gioco del calcio in senso stretto, ma anche e soprattutto per le implicazioni socio-territoriali storicamente associate a tale sport, non si può non condividere.
Ovviamente quelle prime regole sono state via via incrementate, modificate, aggiornate e adeguate alle necessità di una società in continua evoluzione, ma senza quei primi fondamentali passi …
Ebenezer Cobb Morley fu segretario della FA dal 1863 al 1866 e Presidente dal 1867 al 1874.
Morì nella sua casa di Barnes all’età di 93 anni.

[5] Tranne pochissime eccezioni relative a qualche annualità nel passato e più recentemente nel 2020 per le note vicende legate alla pandemia da Covid-19.

Bibliografia essenziale
-John Culme, The Directory of Gold & Silversmiths, Jewellers & Traders 1838-1914, Antique Collectors’ Club, Woodbridge, 1987.
-John Bly, Miller’s Silver And Sheffield Plate Marks, R.C.Books Ltd , London, 1993.
-Joel Langford, Argento, Rusconi Libri, 1998.

Sui marchi degli argenti inglesi si può consultare l’articolo Argenti inglesi: identificazione dell’epoca (aprile 2011) [Leggi].

Febbraio 2024

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