Uno stipo veneziano per Margherita Acquaviva d’Aragona
di Oreste Omar Petilli

La collezione d’arte Cagnola a Gazzada (Va) annovera tra gli arredi d’epoca un nucleo di stipi e monetieri di epoche diverse, testimonianza del raffinato gusto collezionistico della famiglia. Tra questi è di sicuro interesse uno stipo catalogato come manifattura italiana con evidenti influssi spagnoli e genericamente datato al XVI secolo [Figura 1, nota 1].

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Figura 1. Stipo veneziano Acquaviva Aragona, cm. 79x33x43 (Collezione Cagnola, Gazzada, Varese).

La sua peculiarità è il completo rivestimento del mobile in cuoio verniciato rosso, punzonato e inciso in oro, parzialmente dipinto nelle figure. Ciò mi induce a ritenerlo un manufatto veneziano, databile all’ultimo quarto del XVI secolo, quindi un significativo addendum al novero di altri mobiletti simili in collezioni pubbliche e private.
Ha la forma di un piccolo cassone, con anta a ribalta, celante all’interno un castello con sei cassetti, di cui quattro intorno ad un’antina centrale e due più larghi alla base. Dietro lo sportellino centrale si cela un profondo vano, al termine del quale si dispone una fila di tre tiretti, con nastri ripiegati ad occhiello come pomelli (nota 2).
La tecnica costruttiva è ancora quella semplice in uso nel Cinquecento, con assi in legno dolce inchiodate negli spessori per la struttura mentre per i tiretti si può ipotizzare anche l’uso di colle (nota 3). I pomelli a forma di protomi umane sono in bronzo dorato, come la bocchetta a girali e mascherone; le cerniere dell’antina dello scarabattolo sono ad anello; la serratura del piano ribaltabile è incassata e ricoperta dal cuoio.
Sul fronte esterno e interno del piano ribaltabile e sui fianchi si dispiegano articolate scene storiche, sul coperchio due stemmi affiancano un’impresa allegorica. I cassettini sono vivacemente decorati da girali e cornucopie popolate da arpie, fiere e uccelli fantastici affrontati, mentre una figura allegorica centra l’antina interna.
La decifrazione delle storie raffigurate sullo stipo non è stata immediata, a causa della resa delle figure e del paesaggio sì vivace ma talvolta compendiaria.
Le fogge degli abiti e la tipologia delle scene mi hanno comunque indotto a ritenerle narrazioni ispirate all’antico e ho quindi individuato come fonte iconografica le incisioni della Storia di Romolo e Remo, eseguite dal veneto Giambattista Fontana tra il 1573-75 e dedicate all’arciduca d’Austria Ferdinando d’Asburgo (nota 4). Sulla facciata esterna dello stipo troviamo dunque riprodotta, con qualche minima variante, la fondazione di Roma da parte di Romolo, come illustrata nella tavola IX [Figura 2 e 2A]; sul lato interno del piano calatoio la tavola XI, con Romolo che, assiso in trono e stabilite le leggi, designa i primi dodici senatori dell’Urbe [Figura 3 e 3A].
Sul fianco sinistro riconosciamo la tavola X, raffigurante il primo Re di Roma in atto di sacrificare davanti alla statua di Ercole [Figura 4 e 4A]; sul destro la tavola XII con il Ratto delle Sabine, riprodotto ancora una volta con qualche variante [Figura 5 e 5A].

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Figura 2. Veduta del fronte.

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Figura 2A. Romolo fonda Roma, tav. IX dalla serie Storia di Romolo e Remo di G.B. Fontana, 1575.

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Figura 3. Particolare dell’interno dell’anta ribaltabile.

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Figura 3A. Romolo designa i dodici senatori, tav. XI dalla serie Storia di Romolo e Remo di G.B. Fontana, 1575.

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Figura 4. Particolare lato sinistro.

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Figura 4A. Romolo sacrifica a Ercole, tav. X dalla serie Storia di Romolo e Remo di G.B. Fontana, 1575.

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Figura 5. Particolare lato destro.

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Figura 5A. Ratto delle Sabine, tav. XII dalla serie Storia di Romolo e Remo di G.B. Fontana, 1575.

Altra immagine da comprendere è la figura muliebre alata, dal ricco abito, corazza e corona, che regge una bilancia e un fulmine, affiancata da un rapace [Figura 6]. Il tratto veloce, la posa nervosa e l’impaginato stesso richiamano alla mente le graziose figure dei tarocchi rinascimentali.
Se non fosse per le ali, sarebbe immediato il riconoscimento come Allegoria della Giustizia: tuttavia ho riscontrato che in ambito veneto a fine XVI secolo la Giustizia è talvolta raffigurata alata, come ad esempio nel frontespizio di un libro giuridico edito dai Giunta a Venezia nel 1570 [Figura 7, nota 5]. La presenza dell’aquila enfatizzerebbe il carattere “aquilino” della Giustizia stessa, come da tradizione letteraria medioevale e moderna (nota 6).

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Figura 6. Particolare dell’Allegoria della Giustizia.

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Figura 7. Frontespizio dei “Commentaria…” di A. Tartagni per i tipi di Giunta, Venezia, 1570.

Ugualmente utile è stata la decifrazione delle armi araldiche e del motto riportati sul coperchio, per la comprensione del manufatto, l’individuazione di una precisa committenza e di una datazione post quem. [Figura 8].

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Figura 8. Particolari con gli Stemmi Aragona a sinistra, Acquaviva a destra e il motto al centro.

Lo stemma inciso a sinistra indica la casa reale degli Aragona mentre quello a destra con leone rampante la nobile famiglia napoletana degli Acquaviva, solitamente uniti in un unico scudo inquartato a indicare la famiglia Acquaviva d’Aragona (nota 7).
Un dato ulteriore giunge dal motto poetico – apparentemente criptico – che allude ad una Margherita (nota 8) tramite il mito della nascita della perla, così come narrato dagli autori classici secondo lo scrittore latino Ammiano Marcellino.
La storiografia napoletana antica (nota 9) testimonia nell’ultimo quarto del Cinquecento di una Margherita Acquaviva d’Aragona, figlia di Alberto, decimo Duca d’Atri, andata in sposa a Don Diomede IV Carafa, terzo Duca di Maddaloni, esponente dell’illustre famiglia napoletana che diede i natali anche a un papa. La data del loro matrimonio è il 1585 mentre si conosce solo la data di morte del nobiluomo, avvenuta nel 1611.
E’ dunque il 1585 la data post quem utile a datare lo Stipo della collezione Cagnola e la committenza da parte di una famiglia di alto lignaggio, annoverata tra le sette famiglie più antiche e illustri del Napoletano (nota 10). La fedeltà alla casa regnante spagnola conferisce una chiave di lettura al programma iconografico: esaltare le origini mitiche di Roma e quindi dell’Impero romano, e con un erudito e sottile rimando celebrarne come erede l’Impero di Filippo II di Spagna (nota 11).
Grazie a questi dati ritengo che lo stipo veneziano in cuoio in Cagnola sia ad oggi tra i pochi del genere – almeno tra quelli noti – ad avere un riferimento cronologico preciso e una committenza.
Esiste infatti una “famiglia” di stipi tardo-cinquecenteschi ascritti a Venezia ed uno molto simile al nostro per forma, decorazione e particolari costruttivi è conservato al Victoria and Albert Museum; istoriato con storie bibliche e caratterizzato da stemmi è catalogato come veneziano e datato al 1580-1600 [Figura 9, nota 12].

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Figura 9. Stipo veneziano, fine XVI secolo, Londra, Victoria & Albert Museum.

Un altro cabinet in cuoio è custodito al Deutsche Ledermuseum di Offenbach, di dimensioni minori e con scenette dal tratto molto naif, raffiguranti episodi ancora una volta biblici [Figura 10, nota 13].

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Figura 10. Stipo veneziano, fine XVI secolo, Offenbach, Leder Museum.

Altri esemplari sono passati sul mercato, a partire dalla memorabile vendita della collezione dell’antiquario Elia Volpi a New York nel 1916, dove fu esitato un grande cabinet su tavolo, caratterizzato da decori ad arabesco di gusto islamico su tutta la superficie esterna, e da scene con figure e allegorie – non identificabili – sull’articolato castello di ante e tiretti interni [Figura 11, nota 14].

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Figura 11. Stipo veneziano su tavolo, fine XVI secolo, già collezione Elia Volpi, asta New York, 1916.

In aste più recenti sono stati esitati altri stipi veneziani in cuoio, come quello di dimensioni ridotte passato da Piasa nel 2008 (nota 15) e riproposto poi da Sotheby’s nel 2014. Ancora una volta istoriato con allegorie e scene religiose – in questo caso neo-testamentarie – si differenziava dagli esemplari finora menzionati per l’uso dell’argento oltre che dell’oro nei fregi stampati delle cornicette, nonché per i fianchi e il coperchio in legno ebanizzato, probabile esito di un intervento successivo [Figura 12, nota 16].

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Figura 12. Stipo veneziano, fine XVI secolo (asta Sotheby’s, 2014).

Nel 2004 Semenzato propose in asta uno stipo a tema profano [Figura 13, nota 17].

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Figura 13. Stipo veneziano, fine XVI secolo (asta Semenzato, 2004).

Da quanto desumibile dalle foto esso presentava alcuni elementi in comune con l’esemplare di Villa Cagnola: la girale desinente con una sorta di fiore a ventaglio, l’uso di affiancare la scena istoriata dell’antone con bande di fregi, non ultima un’impostazione simile del castello interno. Differiva invece per la decorazione ad arabeschi di gusto islamico su fondo marrone, dispiegata su tiretti e interno dell’antone, molto affine invece – a mio parere – al summenzionato mobile già in collezione Volpi.
L’antiquario Paolo Canelli propose nel 1991 alla XVII Mostra Internazionale dell’Antiquariato di Firenze uno stipetto da tavolo, questa volta con coperchio incernierato oltre alla calatoia frontale (nota 18).
Monique Riccard Cubit, nel suo volume sulla storia degli studioli, rintraccia l’origine della lavorazione del cuoio nell’artigianato persiano, conosciuto dapprima in Spagna e poi a Venezia, dove trova impiego soprattutto nella rilegatura artistica dei libri ma anche nella realizzazione di mobili, suppellettili e rivestimenti (nota 19). Fa menzione di un documento inventariale in cui risulta che Francesco I di Francia possedesse uno stipo in cuoio dorato e arabescato, forse di manifattura ispanica o veneziana, ma che di certo documenta la moda di mobili rivestiti già nei primi decenni del XVI secolo (nota 20). Allo stato attuale delle conoscenze non sappiamo quante botteghe dedite alla lavorazione del cuoio vi potessero essere in Laguna e se al loro interno vi fossero attivi artigiani di origine araba (nota 21). Se si confrontano gli stipi veneziani in cuoio verniciato e bulinato finora menzionati, tra loro non dissimili, si può ipotizzare che non fossero molte, e le tecniche e il repertorio ornamentale fossero abbastanza omogenei.
Il differente livello artistico raggiunto nelle scene istoriate ci induce a pensare che all’interno di una stessa bottega vi fossero artigiani di diversa abilità specializzati nell’incisione “a mano libera”, su cartelle o tiretti, delle immagini tratte da stampe coeve.
Anzi, confrontando lo stipo di Margherita Acquaviva d’Aragona con lo stipo di Semenzato o con quello al Victoria and Albert Museum, si potrebbe pensare che la manifattura sia la stessa e che in alcuni particolari si sia ricorso per i fregi ai medesimi punzoni.
Lo stipo in Cagnola ha forse le scene bulinate su cuoio più belle tra i manufatti noti, e ben rappresenta l’apice di una tecnica, raffinata quanto costosa, che – come avvenuto per la tarsia rinascimentale diversi decenni prima – sembra ad una certo punto declinare a favore dell’avorio inciso, per poi scomparire del tutto in Italia coi primi del XVII secolo.

NOTE

[1] AA.VV., La Collezione Cagnola, vol. II, Mobili e Arredi, Busto Arsizio, 1999, pag. 124, cat. 9.

[2] In base a raffronti con modelli prossimi, come ad esempio lo stipo del Victoria & Albert Museum (vedi oltre), suppongo che il vano dovesse contenere una fila di cassetti estraibili, oggi perduti, dietro cui si celavano gli attuali tre cassettini senza pomelli, che costituivano dunque i segreti dello stipo.

[3] L’uso della colla per l’assemblaggio delle parti più minute oltre che delle pezze di cuoio è descritto anche nella dettagliata scheda di catalogo online relativa allo stipo veneziano del Victoria & Albert Museum: [Vedi ] (ultima consultazione 1 maggio 2015).

[4] Storia di Romolo e Remo, incisioni di Giovan Battista Fontana, Venezia, 1573-75.

[5] Alessandro Tartagni, Alexandri Tartagni Imolensis … Commentaria .., Venetiis, apud Iuntas, 1570, (F.A. Triani 328 – Biblioteca Universitaria di Modena e Reggio Emilia).

[6] I caratteri “aquilini” della giustizia e dell’onnipotenza di Dio sono ben rammentati nella poesia medievale e moderna. Dante stesso, nel Canto XIX del Paradiso, immagina gli Spiriti Giusti schierati nel cielo di Giove in forma di una grande aquila luminosa.  L’aquila, simbolo divino e quindi regale, fu tra l’altro particolarmente adatto a qualificare le “monarchie sacre”.

[7] L’arma degli Acquaviva è d’oro al leone azzurro lampassato di rosso. Il re di Napoli Ferdinando I d’Aragona, con privilegio del 30 aprile 1479, concesse agli Acquaviva di aggiungere al proprio nome l’appellativo “d’Aragona”, quindi l’arme fu inquartata con le insegne della casa regnante: Aragona, d’oro a quattro pali rossi; Ungheria, otto fasce d’argento e di rosso; Angiò, d’azzurro disseminato di gigli d’oro; Gerusalemme d’argento, una H con una I nel mezzo, il tutto di oro (Pompeo Litta, Famiglie celebri italiane, vol. I, Milano, 1843, s.v. Famiglia Acquaviva; Ferdinando Ughelli, Italia Sacra, vol VII, Venezia, 1722, pag. 878).

[8] E’ MARGHERITA CHE DAL CIEL DERIVA BEN CHE NELL’ACQUA VIVA”. Non mi è stato possibile rintracciare la fonte di questo verso.
L’autore vi utilizza il termine margherita nella sua accezione più antica – ma ancora in uso in epoca moderna – di perla. Il nome stesso Margherita infatti deriva dal calco tardo latino del termine greco margherites, che indica appunto la perla.

[9] Baldasarre Storace, Istoria della Famiglia Acquaviva reale d’Aragona…, Roma, 1738, pag. 83; Don Biagio Aldimari, Historia genealogica della famiglia Carafa…, Libro II, Napoli, 1691, pagg. 202-205; Pompeo Litta, Op. Cit., vol. I, Milano, 1843, s.v. Famiglia Acquaviva.

[10] G. B. Di Crollalanza, Dizionario Storico-Blasonico delle famiglie nobili e notabili Italiane estinte o fiorenti, vol. I, Pisa, 1886, pag. 7.

[11] Alcune incisioni del Fontana tratte dalle stessa serie furono utilizzate con medesimo intento di esaltazione dinastica nel famoso stipo napoletano in ebano e avorio, conservato al Museo di Amburgo: cfr. Alvar Gonzales Palacios, Giovanni Battista De Curtis, Jacobo Fiamengo e lo stipo manierista napoletano, in “Antologia di Belle Arti”, II, 1978, n.6, pagg. 136-148; D. Alfter, Ein neapolitanischer Kabinettschrank des Giacomo Fiammingo (?) und Giovanni Battista de Curtis, in “Pantheon”, II, XXXVII, April-Juni 1979, pagg. 135-14.

[12] Victoria & Albert Museum, Londra, Inv. 898-1877.

[13] Il catalogo museale lo attribuisce genericamente ad una manifattura del Nord Italia, anche in virtù di un rivestimento cartaceo sul fondo recante un’incisione con S. Antonio di Padova, che rimanderebbe all’ambiente veneto: cfr. AA.VV., Lederlust. Meisterwerke der angewandten Kunst aus dem Deutschen Ledermuseum Offenbach, Berlin, 2006, pag. 74.

[14] American Art Association, Elia Volpi Collection New York, 22-23 November 1916, lot. 412.

[15] Piasa, Mobiliers et objects d’art. Tapisserie, Parigi, 18 giugno 2008, lot. 42.

[16] Sotheby’s, Curiosité : un Regard Moderne,
Parigi, 26 marzo 2014, lot. 193.

[17] Semenzato, Mobili italiani ed europei, oggetti d’arte : asta a Venezia, 29 febbraio 2004, lot. 140.

[18] Riprodotto in: Monique Riccardi-Cubitt, Mobili da collezione. Stipi e studioli nei secoli, Milano, 1993, pag. 32.

[19] Monique Riccardi-Cubitt, ivi, 1993, pag. 33. Si veda anche: Stefano Carboni (a cura di), Venise et l’Orient, catalogo della mostra presso l’Institut du Monde Arabe, Parigi, 2006, pag. 27.

[20] Un cofanetto da scrittura rivestito in cuoio verniciato e inciso è conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York: testimonia la versatilità di questo genere di decorazione veneziana, che era dunque impiegata anche per oggetti più piccoli, come questo, datato alla seconda metà del XVI secolo: cfr. Wolfram Koeppe, The Robert Lehman Collection. Decorative Arts, Vol. XV, New York, 2012, pp. 284-286.
E’ interessante l’individuazione della famiglia committente, i romani Orsini di Solofra: evidentemente arredi con simile decorazione preziosa e costosa – o forse solo le pezze di cuoio lavorato – erano oggetto di esportazione da Venezia per soddisfare le richieste del patriziato europeo: cfr. Monique Riccardi-Cubitt, Op. Cit. , 1993, pag. 174.

[21] Monique Riccardi-Cubitt, Op. Cit. , 1993, pag. 33-34.