Diana Scultori “incisora”, notizie riguardanti il padre Giovanni Battista e alcuni artisti “misteriosi”.

di Attilio Troncavini

Nel corso di un precedente contributo dal titolo Rara placchetta in bronzo raffigurante un Compianto (ottobre 2022) [Leggi] era stata presentata per confronto una placchetta raffigurante una Deposizione, attribuita a Giovan Battista Scultori, di cui mostriamo un’immagine inedita [Figura 1].

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Figura 1. Giovan Battista Scultori (attr.), Deposizione, argento dorato, cm. 12 x 7,4, collezione Buttazzoni (già collezione Cicognani).

In quella sede si era scritto, ci ripetiamo, che l’attribuzione Giovan Battista Scultori si deve a Francesco Rossi, secondo il quale la placchetta sarebbe ricavata da un rilievo in argento commissionatogli nel 1562 da Ippolito Capilupi, vescovo di Fano e Nunzio Apostolico a Venezia, inserito in una cornice commissionata dal duca Guglielmo Gonzaga entro il 1565, già facente parte del Tesoro della Basilica di Santa Barbara a Mantova e ora al Museo Diocesano della stessa città (nota 1).
Si era scelto in quell’occasione di non approfondire la figura dello Scultori, per cui provvediamo ora con alcune informazioni.
Le notizie in rete sono scarse e frammentarie (wikipedia): noto anche come Giovan Battista Mantovano, risulta essere un pittore e incisore, nato a Mantova (nota 2) nel 1503 e morto nella stessa città nel 1575, formatosi con Giulio Romano ed esecutore di stucchi su disegni di quest’ultimo per Palazzo Te, sempre a Mantova.
Più famosi di lui sono i figli Adamo e Diana, di cui diremo, i quali, entrambi noti prevalentemente come incisori, si sono meritati una voce ciascuno nel Dizionario Biografico egli Italiani (Treccani) – il padre no – curata da Barbara Furlotti per il volume 91 del 2018. La Furlotti, riferendosi al padre Giovan Battista, lo definisce “da Verona” (vedi ancora nota 2).
Se sull’attività di pittore non sono state reperite conferme, mentre su quella di incisore le testimonianze sono abbondanti, l’attività di stuccatore di Giovan Battista è ribadita in un interessante saggio di Gianni Nigrelli pubblicato sulla rivista Civiltà Mantovana nel 2016, in cui si parla di una sua collaborazione con il pittore Fermo Ghisoni da Caravaggio (1505-1575) nella realizzazione del ciclo decorativo che orna la volta del refettorio nel convento veneziano di San Salvador a Rialto (nota 3).
Vi si legge che Giovan Battista Scultori – identificato, oltre che come Mantovano, anche come Giovan Battista Veronese, Briziano o Giovan Battista di Antonio de’ Spinchieris (nota 4) – era un “noto scultore e plasticatore di origine veronese”. E ancora: l’umanista fiorentino Pietro Carnesecchi (1508-1567), difendendosi nel 1567 davanti al tribunale romano dell’Inquisizione, si riferisce a Giovan Battista come “quello che fa crocifissi di rilievo più eccellente che nissuno altro scultore di tempi nostri” (nota 5) e, contribuendo al “dibattito” sulla sua origine, afferma di averlo conosciuto “primieramente” a Verona in casa dei Torri.
Queste note contribuiscono a individuare un artista multiforme: scultore, plasticatore, forse architetto, incisore (non pittore) e orefice.

La fonte iconografica
Per quanto riguarda la fonte iconografica della placchetta della Deposizione da cui siamo partiti, Rossi (op. cit. p. 384) la individua in area lombarda su “modelli latamente parmigianeschi”, più precisamente in area cremonese, citando la nota Pietà con Santa Caterina di Bernardino Campi (1522-1591), ora nella Pinacoteca di Brera a Milano, anche se specifica che si tratta di un’opera successiva (1572).
La mostriamo non nella versione di Brera, bensì in un disegno attribuito allo stesso Bernardino Campi (che alcuni ritengono una “copia da”) conservato nelle collezioni reali britanniche [Figura 2].

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Figura 2. Bernardino Campi (attr.), Pietà con Santa Caterina d’Alessandria, i profeti Elia ed Eliseo e Gabriele Pizzamiglio da Quinziano, 1570-75 circa, disegno, cm. 21 x 14,2, Royal Collection Trust, RCIN 990124.

Dello stesso Bernardino Campi, si può anche citare, se non altro per una simile composizione piramidale, il Compianto che si trova a Crema nella chiesa di S. Maria della Croce [Figura 3].

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Figura 3. Bernardini Campi (ambito?), Compianto, olio su tela, cm. 215 x 150, Crema (Cr), chiesa di S. Maria della Croce (nota: la scheda ICCD riferita all’immagine indica che si tratta di una replica dell’originale eseguito nel 1575).

L’attribuzione della placchetta a Giovan Battista Scultori – continuiamo a chiamarlo così – viene ribadita nel 2014 nel terzo volume del catalogo dell’Ashmolean Museum di Oxford curato da Jeremy Warren (nota 6), il quale identifica uno stringente confronto tra la placchetta e un’incisione della figlia Diana Scultori (1547 circa-1612) sulla base di una composizione paterna. Ne mostriamo una versione apparsa sul mercato antiquario, siglata DIANA E. in basso a sinistra [Figura 4], ma altre versioni recano la scritta: “Io Baptista Sculptor Mantuanus Inventor/Diana filia incidebat”.

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Figura 4. Diana Scultori (da Giovan Battista Scultori), Discesa dalla Croce, incisione, firmata DIANA E., post 1564, cm. 32,7 x 22,1, marchio: agnello pasquale in un cerchio, mercato antiquario (Nicolaas Teeuwisse).

Diana Scultori
Come già accennato, contrariamente al padre, Diana Scultori, non solo è stata gratificata (così come il fratello Adamo di cui non mi occuperò) da una biografia curata da Barbara Furlotti per il Dizionario Biografico degli Italiani – a cui si fa rimando e da cui sono state tratte numerose notizie qui riportate (nota 7) – ma all’opera grafica dei due fratelli è stato dedicato un volume curato da Paolo Bellini, che la stessa Furlotti definisce “La più completa ricostruzione del catalogo di Diana” (P. Bellini, L’opera incisa di Adamo e Diana Scultori, Neri Pozza, Vicenza 1991).
Come il padre, anche Diana è nota con vari cognomi: Scultori (sebbene mai adottato da lei e non comparente in alcun documento), Briziana (o de’ Briziani), Ghisi (per un equivoco derivante da una supposta parentela con l’incisore mantovano Giorgio Ghisi, 1520-1582), persino Bianchi (o de’ Bianchi, che è il cognome acquisito in seconde nozze dalla vedova del fratello).
Continuiamo a chiamarla Diana Scultori, ma la denominazione che meglio la identifica è quello di Diana Mantovana con cui è raffigurata in una medaglia eseguita dal monogrammista T.R. [Figura 5, nota 8].

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Figura 5. Monogrammista T.R. (Timoteo Refato?), Medaglia di Diana Mantovana, bronzo, post 1567 (1575 circa DIANA MANTUANA T.R.; sul verso: AES UNCIDIMUS (incidiamo il rame), fonte: Nomisma, maggio 2015 lotto. 573.

Questa medaglia fa pendant con una medaglia dello stesso genere dedicata all’architetto Francesco Cipriani detto Volterrano (1535-1594), attivo per i Gonzaga a Mantova e a Guastalla, il quale sposò Diana nel 1567.
Trasferitasi a Roma nel 1575, Diana ottenne da papa Gregorio XIII il privilegio di firmare le proprie opere, prima donna nella storia dell’incisione, e di poterle commercializzare in esclusiva per dieci anni. Dopo che Francesco ebbe ottenuto nel 1579 la cittadinanza di Volterra, Diana cominciò a firmare le proprie incisioni “Diana Mantuana Civis Voilaterrana” (nota 9).
Nella sua attività artistica, Diana è decisamente orientata verso l’incisione di traduzione di opere di altri, piuttosto che di invenzione, e i dipinti di Giulio Romano, alla cui scuola si era formato il padre, costituiscono la sua principale fonte di ispirazione durante il suo periodo mantovano.
Desidero mostrare per prima un’incisione raffigurante una Deposizione, che viene considerata una delle sue ultime opere. Una scritta in basso a sinistra recita: PARISI ROMANO INVENTORE/DIANA MANTUANA INCIDEBAT [Figure 6 e 6bis, nota 10].

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Figure 6 e 6 bis. Diana Scultori (da Paris Nogari), Deposizione, 1588, incisione.

C’è voluto un po’ a capire che il “Parisi romano” a cui si deve l’invenzione del soggetto fosse Paris Nogari (1536 circa-1601), l’altro artista “misterioso” (nota 11).
Nato probabilmente a Roma, il Nogari fu allievo di Raffaellino da Reggio (1550-1578), di cui diremo a breve, ma, contrariamente a quest’ultimo, non viene indicato tra gli artisti dai cui lavori Diana Scultori ha tratto le sue incisioni.
Fu soprattutto autore di affreschi in varie chiese ed edifici romani è l’invenzione tradotta da Diana in questa Deposizione non è stata ancora rintracciata, tuttavia viene citata una Deposizione dipinta da Nogari nella quarta cappella della chiesa di Trinità dei Monti a Roma, ora perduta, che potrebbe essere servita da modello a Diana (vedi ancora la scheda di cui alla nota 11 che menziona Bellini, 1991, op. cit., p. 264, n. 63).
Abbiamo rintracciato un’altra Deposizione di Paris Nogari, restaurata di recente (da Keorestauro di Chiara Munzi e Giuseppe Ammendola, Roma). Si tratta dell’unico suo dipinto su tela ad oggi conosciuto, conservato nella Cattedrale di Santa Maria Assunta a Gallese (Vt) [Figura 7].

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Figura 7. Paris Nogari, Deposizione, 1579, olio su tela, cm. 325 x 190, Gallese (Vt), Cattedrale di Santa Maria Assunta (fonte: Vedi).

La composizione è solo simile a quella che si rileva nell’incisione di Figura 6, così come in tante raffigurazioni del medesimo soggetto, comprese quelle tradotte in placchette in bronzo.
Nel 2010 è apparso sul mercato un disegno attribuito a Paris Nogari, raffigurante un Ecce homo [Figura 8], ma non è da lui, bensì dal suo già citato maestro Raffaellino da Reggio, al secolo Raffaello Motta, che Diana Scultori trae il soggetto per la sua incisione. In particolare, si tratta della fedele riproduzione in controparte di un dipinto di Raffaellino conservato in una collezione privata a cui sono state aggiunte le nuvole nel cielo [Figura 9, nota 12].

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Figura 8. Paris Nogari, Ecce homo, disegno, mercato antiquario (asta non identificata, 27.1.2010 n. 19).

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Figura 9. Diana Scultori (da Raffaellino da Reggio), Ecce homo, post 1586, incisione, cm. 37,9 x 27,5 (lastra), 50,3 x 39,2 (foglio), ristampa Carlo Losi, Roma 1744, Bergamo, Accademia Carrara, Gabinetto Disegni e Stampe.

Questo lavoro è interessante perché riassume alcune delle considerazioni sin qui espresse.
In basso a sinistra si legge “RAPHAEL REGIENSI IN VENTOR”, a conferma della derivazione dall’opera di un altro artista, nello specifico, da Raffaellino da Reggio, la firma DIANA MANTVANA CIVIS VOLATERANA che Diana adotta dopo il 1579 e la pubblicazione nel 1744 da parte della stamperia Carlo Losi – dopo aver abraso, presumibilmente in lastra, l’indirizzo di Orazio Pacifici – segno di una vitalità del soggetto e della sua esecuzione a così tanti anni di distanza dalla sua creazione (nota 13).

NOTE

[1] Rossi Francesco, La collezione Mario Scaglia. Placchette, Lubrina, Bergamo 2011, p. 383-384, ill. X.20 p197 tav. LXXV.

[2] Il sito del British Museum lo definisce anche architetto e originario di Verona, mentre per Rossi sarebbe nato a Brescia (Rossi 2011 op. cit.).

[3] Gianni Nigrelli, Per Fermo Ghisoni e Giovan Battista Scultori a Venezia. Un nuovo documento e una rilettura per la decorazione del refettorio di San Salvador, in Civiltà Mantovana n. 142 2016, p. 18-33; disponibile in rete [Leggi], lo si veda per altre notizie e per i riferimenti bibliografici.

[4] L’identificazione del nostro con Giovan Battista de Spinchiersi spetta a Giuseppe Rebecchini (G. Rebecchini, Sculture e scultori nella Mantova di Giulio Romano, 1: Bernardino Germani e il sepolcro di Pietro Strozzi … in Prospettiva n.108 (2002), pp. 65-79: 72-73). Quindi, “Scultori” non sarebbe un cognome vero e proprio, ma deriverebbe dalla professione.

[5] Ancora Giuseppe Rebecchini, in un saggio questa volta del 2004, citato da Nigrelli, menziona un Crocifisso eseguito da Scultori nel 1562 per Ippolito Capilupi, insieme alla Pace in argento citata in premessa (G. Rebecchini, Sculture e scultori nella Mantova di Giulio Romano, 2: Giovan Battista Scultori e il monumento di Girolamo Andreasi…, in Prospettiva nn. 110-111 (2004), pp. 130-139 e 133-134.

[6] J. Warren, Medieval and Renaissance Sculpture. A Catalogue of the Collection in the Ashmolean Museum, Oxford, vol. III, Plaquettes, Ashmolean Museum Publications, Oxford 2014, p. 892-894, n. 348.
Il lavoro di Warren è encomiabile per stile, profondità e completezza. Alcune considerazioni “originali” svolte dallo scrivente in occasione di vari articoli pubblicati su Antiqua, essendosi basate sulla consultazione di testi in lingua italiana, non hanno adeguatamente tenuto conto delle conclusioni a cui era in precedenza giunto Warren. Ne faccio ammenda, ripromettendomi di dedicare un articolo a questo argomento, affinché ad alcune affermazioni sia riconosciuta la giusta progenitura.

[7] B. Furlotti, Diana Scultori, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 91, Istituto dell’Enciclopedia Italiana (Treccani), Roma 2018 [Leggi].

[8] Il monogrammista T.R. è il primo degli artisti che, nel titolo, abbiamo definito “misteriosi”. Al momento si ritiene che dietro questa sigla si celi il mantovano Timoteo Refato, medaglista, ceroplasta e altro ancora al quale intendo dedicare presto un contributo. Allo stesso modo vorrei approfondire la figura del medaglista piemontese Tommaso Roglia, altro pretendente alla paternità del monogramma T.R. sebbene nessuna medaglia così siglata sia riferibile al Piemonte.

[9] Come vedremo, Diana firmava le incisioni in vari altri modi, ad esempio: come “Diana Mantuana”, oppure come “Diana filia”, riferendosi a un soggetto inventato dal Giovan Battista Scultori. Non siamo riusciti a decifrare la sigla “E.” che accompagna “Diana” in basso a sinistra nell’incisione di Figura 4.

[10] Pensiamo che si tratti della Deposizione di cui parla la Furlotti (op. cit.), datata 1588 al pari di una Visitazione che “… sono generalmente considerate i suoi ultimi bulini”.

[11] È stato possibile grazie alla scheda di una versione conservata presso il Gabinetto Disegni e Stampe dell’Accademia Carrara di Bergamo. L’incisione reca, oltre ai nomi di inventore e incisora, quella dell’editore romano Orazio Pacifico, ma si tratta di una ristampa della lastra originale curata, sempre a Roma, dall’editore Carlo Losi (ante 1757-post 1805).

[12] Cfr. la scheda dell’Accademia Carrara [Vedi] e quella del British Museum [Vedi]. Entrambe le schede datano l’incisione al 1586, ma riportano l’iscrizione: … INCIDEBAT ROMAE ANNO M.D.XXXXVI che retrodaterebbe la datazione a un impossibile 1546, dal momento che Diana nasce l’anno successivo.

[13] Per chiudere idealmente il cerchio, si potrebbe fare un confronto tra questo Ecce homo e una placchetta raffigurante una Presentazione di Cristo di cui all’articolo Placchetta della Presentazione (?) di Cristo (aprile 2013) a cui si rimanda [Leggi].

Novembre 2022

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